Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

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Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Ordinanza 01 febbraio 2006, n.741

Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio, Sez. III quater. Ordinanza n. 741 del 1 febbraio 2006. MARIO DI GIUSEPPE Presidente LINDA SANDULLI Cons. UMBERTO REALFONZO Cons. , relatore ha pronunciato la seguente ORDINANZA nella Camera di Consiglio del 01 Febbraio 2006 Visto il ricorso 413/2006 proposto da: (…) rappresentato e difeso da: (…) contro MINISTERO ISTRUZIONE, […]

Sentenza 24 novembre 2005

Il decreto del Direttore Generale per il Personale della Scuola, del 2
febbraio 2004, d’indizione del concorso riservato, per esami e
titoli, a posti d’insegnanti di religione cattolica compresi
nell’ambito territoriale delle singole diocesi nella scuola
secondaria di primo e di secondo grado, all’art. 2, co. 1 ed all. 5,
non prevede l’attribuzione di alcun punteggio per titoli di servizio
in relazione all’insegnamento prestato nelle scuole legalmente
riconosciute. Tale esclusione, testuale ed inequivocabile, è stata
riconosciuta legittima dalla giurisprudenza del Consiglio di Stato
(cfr. sentenza, Sez. VI, n. 831 del 21 maggio 1994) secondo cui:
“Agli effetti del riconoscimento dell’anzianità di servizio,
l’insegnamento nelle scuole legalmente riconosciute non può essere
equiparato a quello svolto nelle scuole statali pareggiate o
parificate”. Al riguardo, deve pertanto ritenersi manifestamente
infondata la questione d’illegittimità costituzionale della
normativa citata, nella parte in cui prevede un diverso trattamento,
ai fini della valutazione del servizio prestato, tra l’insegnamento
prestato presso le scuole legalmente riconosciute e l’insegnamento
prestato presso le scuole statali e paritarie, in ragione della
discrezionalità del legislatore in materia. Nè le sopra esposte
conclusioni possono essere revocate in dubbio, sulla base della
considerazione che la decisione se prestare servizio presso scuole
private ovvero presso scuole statali, risulta di competenza
dell’Ordinario Diocesano. Tale designazione infatti non può rilevare
ai fini della valutazione del servizio stesso, rispetto alla quale –
come detto – il legislatore rimane libero di determinarsi
discrezionalmente. Le suddette particolari modalità di designazione
non costituiscono, dunque, una ragione sufficiente per discriminare,
all’interno della categoria dei docenti che hanno prestato servizio
presso scuole legalmente riconosciute, gli insegnanti di religione
cattolica da quelli d’ogni altra disciplina.

Sentenza 03 novembre 2005, n.5528

Ai sensi del punto 2.7 dell’”Intesa tra autorità scolstica italiana
e Conferenza Episcopale italiana per l’insegnamento della religione
cattolica nelle scuole pubbliche”, resa esecutiva dal d.P.R. n. 202
del 23 giugno 1990, il voto del docente di religione nello scrutinio
finale, ove determinante, si trasforma in giudizio motivato, senza
tuttavia per ciò perdere, secondo quanto già rilevato dalla
giurisprudenza amministrativa (Tar Puglia, sez. Lecce, I, 5 gennaio
1994, n. 5; Tar Toscana, sentenza 20 dicembre 1999, n. 1089), il suo
carattere decisionale e costitutivo della maggioranza (Nella caso di
specie, veniva accolto il ricorso presentato da un insegnante di
religione a cui era stato impedito in sede di consiglio di classe di
votare in ordine all’ammissione di uno studente alla classe superiore,
ritenuto a verbale che in tale caso specifico il voto si lmitasse a
divenire giudizio motivato, senza entrare nel punteggio).

Sentenza 15 febbraio 2005, n.119

Il permesso di soggiorno, dopo che siano venute meno le ragioni del
primo rilascio, può essere rinnovato in virtù di sopraggiunti nuovi
motivi, differenti dagli originari, che ne consentano l’emissione. In
particolare, possono considerarsi tali le ragioni religiose e, nella
specie, pastorali poste alla base della richiesta di rinnovo (Nella
fattispecie in esame, un ministro di culto cattolico, svolgente la
propra attività sacerdotale presso una parrocchia italiana e titolare
di un permesso di soggiorno rilascito per motivi di studio, si vedeva
negare alla scadenza prevista – avendo terminato il corso di
formazione religiosa annuale in forza del quale detto permesso era
stato disposto – il rilascio di detto rinnovo)

Sentenza 26 settembre 2005, n.4060

Per “pubblicazione scientifica valutabile” deve intendersi non una
qualsiasi riproduzione dei lavori del candidato, ma l’opera
pubblicata da un editore il quale ne curi non solo la stampa ma anche,
e soprattutto, la diffusione fra il pubblico e la divulgazione nella
comunità scientifica. Non costituisce quindi pubblicazione valutabile
a fini comparativi, secondo una scelta insindacabile del legislatore,
quella priva di un editore di riferimento; ciò al fine di evitare che
lavori, frettolosamente redatti all’immediata vigilia della
procedura comparativa, possano essere esibiti dai candidati e valutati
da commissioni o commissari compiacenti. In particolare, la differenza
che intercorre fra “stampato” non valutabile e “pubblicazione
scientifica” valutabile è stata individuata anche dal Consiglio di
Stato (VI Sez. 22 aprile 2004 n. 2364 e 14 gennaio 2003 n. 116), per
il quale la produzione scientifica pubblicata valutabile è solo
quella “uscita dalla sfera particolare del suo autore per essere
diffusa fra il pubblico”. Qualora, oltre alle pubblicazioni già edite
al momento della scadenza del bando, venga disposto che siano
considerati valutabili anche gli “estratti di stampa”, tali
disposizioni debbono intendersi riferite a quegli opuscoli contenenti
scritti comparsi in periodici o miscellanee, e costituiti da pagine
della tiratura originale. In tali casi, infatti, l’opuscolo,
derivando materialmente dall’originale, non presenta alcuna
particolarità idonea a distinguerlo dalla pubblicazione “edita”.

Sentenza 21 settembre 2005, n.15342

Qualora la norma di un concorso universitario individui fra gli
oggetti di specifica valutazione le “pubblicazioni scientifiche”, essa
richiede proprio che la produzione scientifica del candidato sia stata
riversata in una “pubblicazione”, ossia che sia stata “edita”, per
essere resa pubblica. Deve ritenersi quindi illegittima la valutazione
di un lavoro che, al momento della presentazione della domanda di
ammissione, risulti privo del codice ISBN, difettando così di un
sicuro ed oggettivo elemento indicatore della sua diffusione
all’interno della comunità scientifica.

Sentenza 17 febbraio 2005, n.137/2005

Tribunal Superior de Justicia de Cataluña (Sala de lo Contencioso-Administrativo, Sección 1ª), Sentencia de 17 febrero 2005, núm. 137/2005. En la ciudad de Barcelona, a diecisiete de febrero de dos mil cinco. VISTO POR LA SALA DE LO CONTENCIOSO-ADMINISTRATIVO DEL TRIBUNAL SUPERIOR DE JUSTICIA DE CATALUÑA (SECCIÓN PRIMERA), constituida para la resolución de este recurso, […]

Sentenza 11 aprile 2005, n.3687

Il possesso del titolo di studio di “Baccalaureato in Sacra
Teologia”, riconosciuto quale diploma universitario in “Sacra
Teologia” dall’ordinamento italiano, per effetto della L. n.
121/85 e del D.P.R. n. 175/94, giusto scambio di note tra l’Italia e
la Santa Sede del 25.1.1994, non comporta che sia stata
automaticamente sancita anche una equipollenza dello stesso con
diplomi di laurea in altre discipline, prescritti come necessari e
sufficienti per la partecipazione a concorso pubblico per titoli ed
esami. Al riguardo, occorre infatti un atto di riconoscimento
generale, che stabilisca detta equipollenza mediante legge o decreto
ministeriale. Nè quest’ultima può ritenersi sussistente solo in
forza di parere espresso dal C.U.N. in un caso analogo, posto che
detto organo elettivo di rappresentanza delle autonomie universitarie
nient’altro rappresenta che un sia pure autorevole orientamento,
indirizzato al Ministro su molte questioni relative ai settori
scientifico disciplinari ed agli atenei, ivi comprese quelle inerenti
alla equipollenza dei titoli culturali accademici.

Sentenza 25 maggio 2005, n.6634

L’art. 49, della legge n. 222 del 20 maggio 1985, recante
“Disposizioni sugli enti e beni ecclesiastici in Italia e per il
sostentamento del clero cattolico in servizio nelle diocesi”, prevede
l’istituzione di “una apposita commissione paritetica, nominata
dall’autorità governativa e dalla Conferenza episcopale italiana”,
finalizzata – al termine di ogni triennio successivo al 1989 – alla
“revisione dell’importo deducibile” delle erogazioni liberali in
favore dell’Istituto centrale per il sostentamento del clero e alla
“valutazione del gettito” derivante dall’otto per mille, per la
predisposizione “eventuali modifiche”. Detta Commissione svolge dunque
un’attività essenzialmente propositiva, i cui destinatari non possono
che essere il Governo o il Parlamento, quali titolari rispettivamente
della funzione di indirizzo politico e di quella legislativa, in
ragione sia della incidenza degli apprezzamenti di detta Commissione
sulle concrete modalità di funzionamento del sistema di finanziamento
in questione, sia della mancata attribuzione a tale Commissione di una
funzione amministrativa in senso stretto (non risultando dalla legge
che ad essa sia demandata la cura di un interesse pubblico specifico
mediante un procedimento destinato a sfociare in un qualche tipo di
atto provvedimentale). Pertanto, posto che la giurisprudenza
amministrativa si è ormai pacificamente attestata nel senso della
inammissibilità di una domanda di accesso che non abbia “ad oggetto
documenti ed attività qualificabili come amministrative, quanto meno
in senso oggettivo e funzionale”, negando la proponibilità dell’actio
ad exhibendum in relazione ad atti attinenti l’esercizio della
funzione giurisdizionale “o di altro potere dello Stato diverso da
quello amministrativo” (così Cons. Stato, sez. IV, 22 giugno 2004, n.
4471), deve escludersi nel caso di specie l’accesso ai documenti
relativi alla suddetta Commissione, la cui peculiare composizione –
sei membri, nominati per metà dalla Conferenza episcopale italiana e
per metà dal Presidente del Consiglio dei ministri – dimostra, anche
sotto il profilo soggettivo, l’estraneità della stessa
all’organizzazione amministrativa in senso proprio.

Sentenza 16 giugno 2005, n.9378

Gli incarichi di insegnamento della religione non comportano la
copertura, sia pure provvisoria, di posti previsti in organico o
comunque corrispondenti a quelli individuati a mezzo delle classi di
concorso. Tale interpretazione appare conforme alla normativa
contenuta nella L. 25 marzo 1985 n. 121 (di ratifica ed esecuzione
dell’accordo che apporta modificazioni al Concordato Lateranense) e
nel punto 5 lett. b) del relativo protocollo addizionale, i quali
configurano chiaramente l’insegnamento della religione come meramente
facoltativo e prevedono che per esso la provvista di personale avvenga
in base ad un procedimento del tutto peculiare, nel corso del quale
assume funzioni preminenti un soggetto del tutto estraneo alla
Pubblica amministrazione, quale l’Ordinario diocesano. Pertanto, posto
che l’art. 2, comma 4 della L. 3 maggio 1999 n. 124 prevede – ai fini
dell’ammissione alla sessione riservata di esami per l’insegnamento –
che il servizio precedentemente prestato dai docenti concerna
“insegnamenti corrispondenti a posti di ruolo o relativi a classi di
concorso”, si deve ritenere pienamente legittimo il provvedimento
dell’Amministrazione di esclusione, da tale abilitazione riservata,
degli insegnanti di religione, in forza della diversità di condizione
di questi ultimi rispetto a quella di tutti gli altri insegnanti
precari.