Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

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Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Sentenza 21 giugno 2007, n.2288

Il diploma rilasciato in esito a Corso di perfezionamento
universitario in “Islamistica”, volto all’approfondimento degli
aspetti religiosi dell’Islam ed ai riflessi del credo e della
spiritualità islamiche nella cultura dei popoli musulmani, non può
essere valutato tra i titoli utili ai fini del punteggio nelle
graduatorie per l’insegnamento nelle scuole secondarie di secondo
grado, relativo alla classe di concorso A050 (materie letterarie). Dai
programmi ministeriali, infatti, si evince – oltre all’esiguità
dello spazio dedicato, nell’ambito della materia “storia”,
all’approfondimento della cultura islamica – che tale studio è
volto principalmente a fornire informazioni, limitatamente al periodo
del Medio Evo e Rinascimento, sull’espansione dell’impero degli
Arabi in Europa e sull’influsso da questi esercitato nella civiltà
occidentale del tempo, valorizzando dunque una prospettiva diversa da
quella suddetta, diretta invece all’approfondimento dell’aspetto
religioso dell’Islam e dell’influenza della religione islamica
sulla cultura dei popoli musulmani.

Sentenza 04 maggio 2007, n.3926

Le doti di equilibrio ed imparzialità del magistrato si affiancano
– quali elementi indispensabili – alla competenza professionale ed
all’impegno (nel caso di specie, la Corte adita respingeva il
ricorso per l’annullamento di delibera del C.S.M., con cui veniva
confermata la dichiarazione di non idoneità del ricorrente ad essere
ulteriormente valutato ai fini della nomina alle funzioni direttive
superiori, per avvenuta precedente affiliazione alla Massoneria).

Sentenza 14 maggio 2007, n.1482

Il Protocollo addizionale all’Accordo del 18 febbraio 1984 – al n. 5,
lett. a) – dispone che l’insegnamento della religione cattolica
nelle scuole pubbliche non universitarie di ogni ordine e grado “è
impartito – in conformità alla dottrina della Chiesa e nel rispetto
della libertà di coscienza degli alunni – da insegnanti che siano
riconosciuti idonei dall’autorità ecclesiastica, nominati,
d’intesa con essa, dall’autorità scolastica”. Ciò premesso,
non pare dubbio dunque che, ai fini dell’eventuale partecipazione a
concorso riservato per l’insegnamento della religione cattolica, sia
necessario il possesso del riconoscimento di tale idoneità,
valutazione spettante esclusivamente alla Chiesa cattolica, secondo le
intese concordatarie raggiunte. Pertanto, in mancanza di ciò,
l’Autorità amministrativa italiana non può in ogni caso surrogarsi
all’Autorità ecclesiastica, anche qualora si supponga che
quest’ultima abbia indebitamente opposto un rifiuto
all’interessato. La procedura di revoca, infatti, è interna
all’ordine ecclesiastico, e l’eventuale violazione delle norme
canoniche non è sindacabile dall’Amministrazione civile, che si
deve limitare a prendere atto della mancanza del riconoscimento
stesso.

Ordinanza 02 novembre 2006, n.3631

Nella materia dell’insegnamento della religione cattolica nelle
scuole pubbliche, il Protocollo addizionale all’Accordo del 18
febbraio 1984 – al n. 5, lett a) – impegna l’Autorità civile a
consentire l’insegnamento della religione soltanto a soggetti
graditi all’ Autorità ecclesiastica. Ciò comporta che
quest’ultima sia implicitamente invitata a collaborare affinché la
Scuola possa adempiere tale onere e, nel caso, conseguentemente a
coadiuvare il giudice chiamato a stabilire se, in una particolare
fattispecie, l’Amministrazione scolastica abbia correttamente
attuato il proprio impegno, escludendo un aspirante dalla procedura
concorsuale destinata proprio alla stabilizzazione degli insegnanti di
religione, ritenendolo privo dell’approvazione ecclesiastica (nel
caso di specie, in conformità a quanto consentito dall’art. 21, VII
comma, della l. 6 dicembre 1971, n. 1034, s’invitava la Curia
episcopale di Padova, a fornire, entro i sessanta giorni seguenti alla
comunicazione in via amministrativa della ordinanza, ogni utile
documento idoneo a stabilire se alla ricorrente fosse stata revocata o
meno dalla stessa Curia l’idoneità all’insegnamento della
religione cattolica presso le scuole dell’infanzia primaria).

Sentenza 11 giugno 2007, n.589

Nel caso in cui l’“esumazione straordinaria”, possa essere chiesta
– secondo regolamento comunale di polizia mortuaria – dai
“familiari” del de cuius, detta espressione deve intendersi nel
senso della esclusione da tale possibilità dei soggetti privi di un
rapporto di parentela (artt. 74/76 c.c.). I legittimati a tale
richiesta possono, pertanto, venire individuati unicamente nella
discendenza e/o ascendenza e collateralità, fino al sesto grado (art.
77 c.c.), mentre una sicura preminenza ha il “matrimonio”, quale
società naturale (art. 29 cost.), che si scioglie con la morte, al
pari di ogni altro rapporto parenterale (mors omnia solvit), fermo
restando gli effetti giuridici della “vedovanza” sul piano del
concetto di “familiare” (Nel caso di specie, veniva ritenuta
legittima la richiesta della vedova, di riesumazione e traslazione
della salma del de cuius, essendo il rilascio dell’autorizzazione in
questione rivolto in favore di un “familiare” particolarmente
qualificato, il coniuge superstite esercente la potestà sulla figlia
minore).

Sentenza 27 luglio 2007, n.3015

Il trattamento dei dati idonei a rivelare lo stato di salute o la vita
sessuale è consentito sole se la situazione giuridicamente rilevante,
che si intende tutelare con la richiesta di accesso ai documenti
amministrativi, è di rango almeno pari ai diritti dell’interessato
ovvero consiste in un diritto della personalità o in un altro diritto
o libertà fondamentale ed inviolabile. In questo senso, il fine dello
scioglimento del vincolo matrimoniale costituisce una situazione
giuridica di rango almeno pari alla tutela del diritto alla
riservatezza dei dati sensibili relativi alla salute (cfr. Consiglio
di Stato n. 6681/2006
[https://www.olir.it/ricerca/index.php?Form_Document=4183;]).

Sentenza 27 agosto 2007, n.2786

La famiglia anagrafica è nozione ben distinta da quella di famiglia
c.d. “nucleare” o “civile”, ossia composta da persone unite in
matrimonio con effetti civili riconosciuti, con la conseguenza che la
famiglia anagrafica e la famiglia nucleare o civile possono anche non
coincidere. Secondo l’art. 4 del D.P.R. 223 del 1989, infatti,
“agli effetti anagrafici per famiglia si intende un insieme di
persone legate da vincoli di matrimonio, parentela, affinità,
adozione, tutela o da vincoli affettivi, coabitanti ed aventi dimora
abituale nello stesso comune”. La distinzione concettuale tra
famiglia nucleare e famiglia anagrafica è stata in particolare
ribadita dal Consiglio di Stato, Sez. V, (sentenza 13 luglio 1994 n.
770), che evidenziato come mentre la famiglia anagrafica è istituto
giuridico esclusivamente finalizzato alla “raccolta sistematica
dell’insieme delle posizioni” relative alle persone che hanno
fissato nel Comune la propria residenza (cfr. art. 1 D.P.R. 223 del
1989 cit.), la nozione giuridica di famiglia “nucleare” , ossia
componibile da genitori e da figli, risulta presupposta e tutelata nel
nostro ordinamento interno dagli artt. 29, 30 e 31 Cost., dagli artt.
144 e 146 c.c. e dall’art. 570 c.p., e – sotto il profilo della
necessaria conformazione dell’ordinamento medesimo “alle norme del
diritto internazionale generalmente riconosciute” (lo ius gentium
richiamato dall’art. 10, primo comma, Cost.) – anche dall’art. 12
della predetta Convenzione europea dei diritti dell’uomo,
dall’art. 16 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo
approvata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 10 dicembre
1948, nonché dall’art. 10 del Patto internazionale sui diritti
economici, sociali e culturali reso a sua volta esecutivo
nell’ordinamento italiano con L. 25 ottobre 1977 n. 881. Ciò
rilevato, occorre sottolineare che se – da un lato – l’art. 33,
comma 1, del D.P.R. 223 del 30 maggio 1989 dispone che
“l’Ufficiale dell’anagrafe rilascia a chiunque ne faccia
richiesta, fatte salve le limitazioni di legge, i certificati
concernenti la residenza e lo stato di famiglia”, dall’altro, il
comma 2 dello stesso articolo dispone che “ogni altra posizione
desumibile dagli atti anagrafici, […] può essere attestata o
certificata, qualora non vi ostino gravi o particolari esigenze di
pubblico interesse, dall’ufficiale di anagrafe d’ordine del
Sindaco”. In questo senso, l’Amministrazione Comunale può,
mediante propri provvedimenti di carattere generale conseguenti ad una
valutazione degli spazi di discrezionalità ad essa lasciati liberi
dalla sovrastante disciplina di fonte statuale, impiantare nel proprio
ambito territoriale un “sistema” finalizzato ad attestare,
integrando con propri modelli la modulistica anagrafica standard
predisposta dall’Amministrazione Statale, la sussistenza di una
famiglia anagrafica costituita da persone legate da vincoli affettivi,
così come liberamente dichiarata dai medesimi interessati all’atto
della costituzione ovvero della variazione della famiglia medesima.
Tuttavia, la dichiarazione resa in ordine alla sussistenza di vincoli
affettivi quale presupposto per la formazione di una famiglia
anagrafica non può essere oggettivamente riscontrata dall’Ufficiale
d’anagrafe e non può – quindi – che essere rimessa alla
dichiarazione resa dall’interessato all’Ufficiale medesimo al
momento della costituzione ovvero del subentro della famiglia
anagrafica. Di qui, la conseguenza che la sussistenza dei vincoli in
questione non può, di per sé, formare oggetto di certificazione
anagrafica da parte della Pubblica Amministrazione, ai sensi
dell’art. 33, comma 1, e dell’art. 35 del D.P.R. 223 del 1989, ma
può soltanto essere attestata dalla Pubblica Amministrazione, ai
sensi dell’art. 33, comma 2, del medesimo D.P.R., sulla scorta della
stessa dichiarazione di colui che l’ha resa e che l’ha poi
confermata al momento della richiesta della relativa attestazione (Nel
caso di specie, la Corte adita ha ritenuto illegittimi i moduli
anagrafici predisposti dal Comune resistente, in quanto generanti il
possibile rischio di confusione tra il concetto di famiglia
“anagrafica” e di famiglia “nucleare”, nonchè in particolare il
modello recante l’attestazione di iscrizione nell’anagrafe della
popolazione, quale famiglia anagrafica costituita da persone
coabitanti legate da vincoli affettivi, formulato in via del tutto
generica, inducendo così a scambiare tale attestazione per un vero e
proprio certificato anagrafico)

Sentenza 25 giugno 2007, n.6842

Se, da un lato, le norme concordatarie hanno affidato in via esclusiva
al giudizio dei competenti organi ecclesiastici la dichiarazione di
idoneità all’insegnamento della religione cattolica nelle scuole
statali (di tal che il giudice italiano non può censurare “ex se”
l’atto dichiarativo relativo, che deve essere qualificato come atto
“endoprocedimentale” finalizzato alla nomina, che resta invece di
competenza dell’autorità scolastica italiana), dall’altro,
l’esercizio del potere di emettere il giudizio d’idoneità non può
essere sottratto – affinché possa costituire valido presupposto per
la legittimità dell’atto di ammissione od esclusione da una procedura
concorsuale – ad un riscontro del corretto esercizio del potere
secondo criteri di ragionevolezza e di non arbitrarietà.

Sentenza 24 maggio 2007, n.795

L’articolo 2 del bando di concorso per esami e titoli a posti di
insegnante di religione cattolica, approvato in data 2 febbraio 2004
con decreto del Direttore Generale del Dipartimento per
l’Istruzione, prevede che – per la determinazione del periodo utile
ai fini della ammissione – “il servizio è considerato come anno
scolastico intero se ha avuto la durata di almeno 180 giorni oppure se
sia stato prestato ininterrottamente dal 1° febbraio fino al termine
delle operazioni di scrutinio finale. Il servizio è utile anche se
prestato in ordini dei gradi diversi purché con il possesso dei
titoli o in condizioni personali prescritti e per un orario mediamente
non inferiore, nel quadriennio continuativo, alla metà di quello
d’obbligo”. La norma del bando di concorso non può, dunque, che
essere interpretata nel senso che è necessario che il candidato
possegga entrambi i requisiti ivi stabiliti, ossia abbia prestato
servizio continuativamente, nel quadriennio di interesse, per almeno
180 giorni o ininterrottamente dal 1° febbraio fino al termine delle
operazioni di scrutinio finale e “per un orario mediamente non
inferiore alla metà di quello d’obbligo”. (Nel caso di specie, il
ricorrente aveva prestato, invece, solo 93 giorni di servizio, anche
se con un orario mediamente pari a 18 ore settimanali).

Ordinanza 12 aprile 2006, n.2148

TAR Lazio. Ordinanza 12 aprile 2006, n. 2148: “Difetto di istruttoria del provvedimento di diniego di rilascio del permesso di soggiorno”. In OLIR: TAR Lazio. Sezione II quater. Sentenza 19 giugno 2007, n. 5560 (I grado) TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER IL LAZIO – ROMA – SEZIONE SECONDA QUATER nelle persone dei Signori: ITALO RIGGIO Presidente […]