Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

Olir

Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Sentenza 11 settembre 2007

La Repubblica federale di Germania è venuta meno agli obblighi ad
essa incombenti – in forza degli artt. 18 CE, 39 CE, 43 CE e 49 CE –
per aver escluso, senza prevedere deroga alcuna, le rette scolastiche
relative alla frequenza di una scuola stabilita in un altro Stato
membro dell’Unione europea, dalla deduzione fiscale per oneri
straordinari previsti all’art. 10, n. 1, punto 9, della legge
relativa all’imposta sul reddito (Einkommensteuergesetz), del 19
ottobre 2002.

Sentenza 27 giugno 2006

Non contrastano con l’esercizio dei diritti umani fondamentali, ed in
particolare con il diritto al rispetto della vita familiare, le
deroghe che la direttiva comunitaria 2003/86/CE prevede in tema di
ricongiungimento familiare, in favore degli Stati membri, riguardanti
tempi e limiti di età riferiti alle richieste di ingresso e di
soggiorno dei figli minori dei cittadini dei Paesi tezi legalmente
residenti nella Comunità europea. Tali deroghe offrono agli Stati
membri sia la possibilità di esaminare le condizioni per
l’integrazione, nei casi in cui si tratti di minorenni di età
superiore a 12 anni che raggiungono in modo indipendente il resto
della loro famiglia (art. 4, n. 1, ult. comma); che quella di
concedere la presentazione della domanda di ricongiungimento per i
soli minori che non abbiano ancora compiuto il quindicesimo anno di
età, secondo quanto previsto dalla rispettiva legislazione vigente al
momento dell’attuazione della direttiva e, in caso contrario, di
autorizzare l’ingresso e il soggiorno per motivi diversi dal
ricongiungimento familiare (art. 4, n. 6). Al riguardo occorre,
tuttavia, rilevare come la possibilità di limitare il diritto al
ricongiungimento familiare per minori di età superiore a 12 anni è
volta a tenere conto della capacità di integrazione dei minori di
più giovane età e garantisce che essi acquisiscano l’educazione e le
conoscenze linguistiche necessarie. Il legislatore comuniario ha
infatti ritenuto che, al di là dell’età dei 12 anni, l’obiettivo
dell’integrazione non possa essere raggiunto in misura altrettanto
agevole ed ha pertanto previsto per lo Stato membro interessato la
facoltà di prendere in considerazione un livello minimo di capacità
di integrazione nell’ambito della decisione in merito
all’autorizzazione, all’ingresso ed al soggiorno in base alla
direttiva. Quanto al dettato dell’art. 4, n. 6, non risulta che la
scelta dell’età di 15 anni costiutisca un criterio contrario al
principio di non disciminazione in funzione dell’età, nè può essere
ritenuto in contrasto con l’obbligo di prendere in considerazione
l’interesse superiore del minore.

Sentenza 07 gennaio 2004

Nel Regno Unito la legge del 1973 sul matrimonio considera nulla ogni
unione in cui i coniugi non siano rispettivamente di sesso maschile e
femminile, intendendosi come sesso di una persona quello risultante
sull’atto di nascita; la legge sulla registrazione delle nascite e dei
decessi vieta, inoltre, salvo nel caso di errore di scrittura o di
errore materiale, ogni modifica del registro degli atti di nascita. Al
riguardo, occorre ricordare che la Corte europea dei diritti dell’uomo
ha giudicato che l’impossibilità per un transessuale di contrarre
matrimonio con una persona del sesso al quale egli precedentemente
apparteneva, dipendente dal mancato riconoscimento della nuova
identità sessuale negli atti dello stato civile, costituisce una
violazione del suo diritto di contrarre matrimonio ai sensi dell’art.
12 della CEDU. Conseguentemente, una legislazione, che, come nel caso
di specie, impedisce ad una coppia di soddisfare la condizione del
matrimonio, necessaria affinché uno di essi possa godere di un
elemento della retribuzione dell’altro (ovvero, nella fattispecie in
esame, della pensione di reversibilità), dev’essere considerata, in
linea di principio, incompatibile con le prescrizioni di cui all’art.
141 CE, il quale prevede che venga assicurato, in ciascuno Stato
membro dell’Unione europea, il principio della parità di
retribuzione tra i lavoratori di sesso femminile e maschile. Tuttavia,
posto che spetta al legislatore statale determinare le condizioni per
il riconoscimento giuridico del cambiamento di sesso di una persona,
compete al giudice nazionale verificare se, in un’ipotesi quale quella
in esame, possa o meno invocarsi l’art. 141 CE.

Sentenza 24 febbraio 2005, n.C-320/04

Corte di Giustizia delle Comunità Europee. Sentenza 24 febbraio 2005: “Lussemburgo: mancata attuazione della direttiva 2000/43/CE”. ARRÊT DE LA COUR 24 février 2005 «Manquement d’État – Directive 2000/43/CE – Non-transposition dans le délai prescrit» Dans l’affaire C-320/04, ayant pour objet un recours en manquement au titre de l’article 226 CE, introduit le 27 juillet 2004, […]

Sentenza 24 febbraio 2005, n.C-327/04

Corte di Giustizia delle Comunità Europea. Sentenza 24 febbraio 2005: “Mancato adeguamento della Finlandia alla Direttiva 2000/43/CE”. ARRÊT DE LA COUR 24 février 2005 «Manquement État – Directive 2000/43/CE – Non-transposition dans le délai prescrit» Dans l’affaire C-327/04, ayant pour objet un recours en manquement au titre de l’article 226 CE, introduit le 27 juillet […]

Sentenza 21 marzo 2000

La direttiva del Consiglio 23 aprile 1990, 90/220/CEE, sull’immissione
deliberata nell’ambiente di OGM, come modificata dalla Direttiva della
Commissione 18 giugno 1997, 97/35/CE, deve essere interpretata nel
senso che, qualora a seguito della trasmissione alla Commissione di
una domanda di immissione in commercio, nessuno Stato membro abbia
sollevato obiezioni, o qualora la Commssione abbia adottato una
decisione favorevole, l’autorità nazionale competente è tenuta a
rilasciare il consenso scritto, che permette l’immissione in commercio
del prodotto. Tuttavia, ove lo Stato interessato sia entrato in
possesso di informazioni nuove che lo inducano a ritenere il prodotto
nocivo o pericoloso per la salute delle persone e dell’ambiente, non
sarà tenuto a dare il proprio consenso, ma ad informare
immediatamente la Commissione e gli altri Stati membri.

Sentenza 12 novembre 1996

L’articolo 5, secondo alinea, della direttiva 93/104/CE che prevede di
includere in linea di principio la domenica nel periodo di riposo
settimanale, pur lasciando in definitiva all’apprezzamento degli stati
membri la decisione in materia, tenendo conto in particolare della
diversità dei fattori culturali, etnici e religiosi operanti nei
differenti paesi, è tuttavia carente di giustificazione logica
perché non spiega in che cosa la domenica come giorno di riposo
settimanale, presenterebbe un legame più stretto con la salute e la
sicurezza dei lavoratori rispetto ad un altro giorno della settimana.
Per questi motivi è da accogliere la richiesta, avanzata in via
subordinata dal governo interessato, di annullare detta previsione,
che è isolabile dalle altre disposizioni della direttiva.

Sentenza 11 agosto 1995, n.C-453/1993

L’art. 13, punto A, n. 1, della direttiva CE n. 77/388, in materia
di armonizzazione delle legislazioni degli stati membri relative alle
imposte sulla cifra di affari – Sistema comune di imposta sul valore
aggiunto: base imponibile uniforme, deve essere interpretata nel senso
che un imprenditore, privato non può avvalersi di un’esenzione ai
sensi della lettera g) di tale disposizione, esenzione espressamente
riservata agli organismi di diritto pubblico e agli altri organismi
riconosciuti come aventi carattere sociale.

Sentenza 16 ottobre 2003, n.C-32/02

Inadempimento di uno Stato – Direttiva 98/59/CE – Nozione di datore di
lavoro – Legge nazionale che esclude dall’ambito di applicazione della
direttiva le attività senza fini di lucro – Attuazione incompleta