Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

Olir

Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Ordinanza 19 gennaio 2007, n.1133

L’immunità giurisdizionale di cui gode la Santa Sede con i suoi
organi ed enti centrali, quale titolare di personalità giuridica
internazionale, non riguarda le controversie di lavoro subordinato
aventi ad oggetto prestazioni rese sul territorio italiano, quando
queste siano di tipo ausiliario ed estranee all’attività ecclesiale e
nemmeno quando, indipendentemente dalla natura delle mansioni, vengano
in discussione aspetti esclusivamente patrimoniali, senza incidenza
sull’organizzazione e sulle funzioni del datore di lavoro (cfr. Cass.,
Sez. Un. 15 aprile 2005, n. 7791
[https://www.olir.it/ricerca/index.php?Form_Document=2265]).

Sentenza 20 luglio 1988, n.4700

La delibazione delle sentenze del tribunale ecclesiastico dichiarativa
della nullità del matrimonio concordatario per esclusione unilaterale
di uno dei bona matrimonii, manifestata all’altro coniuge, deve
riteenrsi possibile, nella disciplina di cui agli art. 1 della l. 27
maggio 1929 n. 810 e 17 della l. 27 maggio 1929 n. 847 (nel testo
risultante a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 18
del 1982), anche se detta nullità sia stata dichiarata su domanda
proposta decorso più di un anno dalla celebrazione, ovvero dopo il
verificarsi della convivenza dei coniugi successivamente alla
celebrazione stessa, a differenza di quanto affermato dall’art. 123
comma 2 c.c. in tema d’impugnazione del matrimonio per simulazione,
posto che entrambe tali norme, pur avendo carattere imperativo, non
configurano espressione di principi e regole fondamentali con le quali
la Costituzione e le leggi dello Stato delineano l’istituto del
matrimonio, non costituendo eprtando contrarietà con l’ordine
pubblico italiano.

Sentenza 05 febbraio 1988, n.1212

Il procedimento per rendere esecutiva nell’ordinamento italiano la
sentenza canonica dichiarativa della nullità del matrimonio
concordatario, dopo l’entrata in vigore delle modifiche al Concordato
lateranense, non può più essere instaurato d’ufficio ma postula
l’iniziativa di entrambi i coniugi congiuntamente o di uno di essi:
nel primo caso, l’atto introduttivo deve rivestire la forma del
ricorso, con il conseguente rito camerale della relativa procedura,
mentre nel secondo caso è necessario l’atto di citazione a cui segue
l’instaurazione di un giudizio che segue il rito ordinario; pertanto,
tutti i procedimenti di delibazione aperti d’ufficio sotto la vigenza
della nuova normativa sono insanabilmente nulli ed altresì è da
negare ogni rilevanza alla circostanza che uno dei coniugi in sede di
convocazione personale originata dalla Corte d’Appello abbia affermato
di aderire alla richiesta di esecutività, poichè tale enunciazione,
anche se per ipotesi dovesse essere munita dei connotati della domanda
giudiziale, non potrebbe comunque costituire valido atto di impulso
processuale, per la rilevata inammissibilità della forma del ricorso
e del rito camerale quando non vi sia una concorde istanza di entrambi
i coniugi.

Sentenza 26 novembre 2006, n.22216

E’ ammissibile il ricorso straordinario per cassazione contro i
provvedimenti di ingresso e permanenza in Italia del familiare di un
minore straniero per i gravi motivi di cui all’art. 31, comma 3, del
d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286. Detti provvedimenti hanno infatti
carattere decisorio in quanto non hanno per oggetto esclusivo
l’interesse del minore, ma prendono in considerazione un delicato e
complesso equilibrio di posizioni giuridiche diverse facenti capo, da
una parte, al minore il quale, avendo il diritto a restare in Italia,
ha anche il diritto ad esservi assistito da un familiare ancorché
privo del permesso di soggiorno, e, dall’altra, al familiare che ha
il diritto di assistere il minore in Italia.

Sentenza 27 marzo 1992

Il principio della religione cattolica come sola “religione dello
Stato” consacrato nell’art. 1 dello Statuto del Regno 4 marzo 1848 e
riaffermato dall’art. 1 del Trattato fra la Santa Sede e l’Italia
11 febbraio 1929, è stato abolito in seguito alla sostituzione dello
Statuto albertino con la Costituzione repubblicana e non già con
l’entrata in vigore della legge 25 marzo 1985, n. 121 (ratifica ed
esecuzione dell’Accordo, con protocollo addizionale, fra la
Repubblica italiana e la Santa Sede). Ne consegue che la disposizione
di cui all’art 1 del protocollo addizionale alla legge 25 marzo
1985, n. 121, che ha considerato non più in vigore il principio
“della religione cattolica come sola religione dello Stato italiano”,
non ha inciso sull’ambito di operatività dell’art. 724, 1 comma,
cod. pen., dal momento che tale ultima norma tende non già a tutelare
il sentimento religioso, ed in particolare quello cattolico, bensì a
proteggere il buon costume contro i comportamenti pubblici volgari e
sconvenienti, tenuti in presenza di due o più persone, e fa oggetto
della sua previsione il dato sociologico che l’uso del bestemmiare
in Italia concerne normalmente (o per meglio dire, esclusivamente)
oltre alla divinità, le persone ed i simboli della religione
cattolica.

Ordinanza 10 luglio 2006, n.15614

In mancanza di un’espressa previsione di legge impositiva
dell’obbligo di affissione del crocifisso nelle scuole, così come
rilevato dal giudice delle leggi nell’ordinanza n. 389/2004, trova
applicazione – ai fini della giurisdizione – l’art. 33 del D.Lgs
80/1998, sostituito dall’articolo 7 della legge 204/2000, nel testo
risultante dalla sentenza 204/2004 della Corte Costituzionale (e con
le puntualizzazioni contenute nella recente sentenza 191/2006), che
nella materia dei pubblici servizi attribuisce al giudice
amministrativo la giurisdizione esclusiva se in essa la pubblica
amministrazione agisce esercitando il suo potere autoritativo ovvero
si avvale della facoltà riconosciutale dalla legge di adottare
strumenti negoziali in sostituzione dei potere autoritativo. Non è
infatti contestabile che l’affissione del crocifisso nelle scuole
avvenga sulla base di provvedimenti dell’autorità scolastica
conseguenti a scelte dell’Amministrazione, contenute in regolamenti
e circolari ministeriali, riguardanti le modalità di erogazione del
pubblico servizio, e quindi riconducibili, pur nella complessità
delle implicazioni e nella rilevanza e delicatezza degli interessi
coinvolti alla potestà organizzatoria della stessa. La ritenuta
giurisdizione del giudice amministrativo si estende dunque alla
consequenziale domanda risarcitoria proposta, secondo il disposto
dell’articolo 35 del D.Lgs 80/1998, come sostituito dall’articolo
7 della legge 205/2000 (Nella fattispecie in esame, i ricorrenti, in
proprio e quali esercenti la potestà genitoriale sui figli minori,
chiedevano – previo accertamento della lesione del diritto assoluto di
libertà religiosa in relazione al principio di uguaglianza e di
laicità dello Stato – che il Ministero dell’Istruzione fosse
condannato al risarcimento dei danni in forma specifica, mediante la
rimozione del crocifisso dall’ambiente scolastico, nonchè al
risarcimento del danno per lesione del diritto alla libertà ed al
libero sviluppo psichico dei minori).

Sentenza 27 gennaio 1994, n.5213

Con la ratifica dell’intesa conclusa con l’Unione delle Chiese
Avventiste del 7 giorno (L. 22 novembre 1988, n. 5169), lo Stato
italiano ha riconosciuto a queste ultime la piena autonomia in materia
di organizzazione interna e, specificamente, in materia “disciplinare
e spirituale”, escludendo dunque ogni possibilità di sindacato
dell’Autorità Giudiziaria in tale ambito. Nel caso specifico la Corte
afferma quindi la carenza di giurisdizione del giudice italiano,
dichiarando precluso ogni sindacato sul provvedimento di espulsione di
un membro della Chiesa Avventista (anche nel caso in cui si limiti ad
un controllo di legittimità alla luce delle stesse norme statutarie),
in quanto tale genere di provvedimento, di carattere
religioso-disciplinare, è espressione della piena autonomia
istituzionale protetta dal principio di “non ingerenza” sancito con la
L. 5169/1988.

Sentenza 09 ottobre 1990, n.9928

Il titolare del cosiddetto “diritto al Banco in Chiesa” non ha tutela
giurisdizionale, davanti al giudice italiano, contro atti
dell’autorità ecclesiastica che ne escludano o menomino l’esercizio
(nella specie, trasferimento del banco in altro luogo, con perdita
della possibilità di assistere alle funzioni con “praeminentia”),
dato che gli atti medesimi ineriscono ad interessi pubblicistici,
nell’ambito della destinazione dell’edificio al culto, e, quindi,
esprimono potere discrezionale e sovrano di detta autorità.
———————————————— Riferimenti
nomarativi: Codice civile art. 832, art. 1168, art. 1170 Costituzione
Repubblica art. 7 Codice procedura civile art. 9, art. 37, art. 100
Legge 25 marzo 1985 n. 121 art. 1, art. 2, art. 5 Legge 20 maggio 1985
n. 222 l.

Ordinanza 13 dicembre 2001, n.3027

Dopo l’emanazione del d.P.C.M. 16 febbraio 1990 (la cui legittimità
risulta sancita dalla sentenza n. 466 del 1990 Corte cost.), alle
istituzioni assistenziali regionali ed infraregionali deve essere
riconosciuta natura privatistica qualora ne risulti accertato,
alternativamente, il carattere associativo, quello di istituzione
promossa ed amministrata da privati, l’ispirazione religiosa, ovvero
qualora ricorrano, congiuntamente, le circostanze 1) che l’atto
costitutivo (o la tavola di fondazione) sia posto in essere da
privati; 2) che disposizioni statutarie prescrivano la designazione da
parte di associazioni o soggetti privati di una quota significativa
dei componenti dell’organo deliberante; 3) che il patrimonio risulti
prevalentemente costituito da beni risultanti dalla dotazione
originaria o dagli incrementi o trasformazioni della stessa, ovvero da
beni conseguiti in forza dello svolgimento dell’attività
istituzionale. Ne consegue che, nel caso di specie, all’Ospizio
“beneficio Madonna delle Grazie” di Galatina va riconosciuto il
carattere di istituzione di assistenza e beneficenza con personalità
giuridica di diritto privato, data la riconducibilità all’iniziativa
privata della sua nascita, della relativa disciplina e dei
finanziamenti ricevuti, così che le controversie inerenti ai rapporti
di lavoro con i dipendenti devono ritenersi devolute alla competenza
giurisdizionale dell’a.g.o.

Sentenza 16 gennaio 2003, n.5075

Incorre in responsabilità disciplinare l’avvocato che, designato
dalla Commissione per il gratuito patrocinio per l’incarico di
difensore di una parte ammessa al beneficio, adducendo “motivi di
coscienza personale”, alquanto pretestuosi, si rifiuti di difenderla,
in quanto tale comportamento, in considerazione del fatto che
l’incarico affidato al professionista è obbligatorio ed ufficioso,
non fiduciario, viola il dovere di difesa stabilito dall’art. 11 del
codice deontologico forense. Infatti l’indicazione di “motivi di
coscienza personale” da parte dell’avvocato designato, senza alcuna
ulteriore esplicazione, non è idonea ad integrare quei “motivi gravi
e giustificati” che rendono legittimo il rifiuto del professionista.