Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

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Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Sentenza 01 agosto 2011, n.16847

L’immunità di giurisdizione prevista dall’art. 11 del Trattato
Lateranense a favore degli enti centrali della Chiesa cattolica non si
estende agli istituti ecclesiastici di educazione e di istruzione (nel
caso di specie, un Collegio Ecclesiastico della Santa Sede, annoverato
nell’Annuario Pontificio tra gli Istituti Ecclesiastici di Educazione
ed Istruzione che svolgono la propria funzione istituzionale di
seminario e collegio per candidati al sacerdozio). La funzione da essi
svolta in concreto non appare, infatti, compatibile con la nozione di
enti centrali della Chiesa, che è riferita all’organizzazione
centrale del governo della Comunità ecclesiale, cui appartengono le
istituzioni e gli uffici della Curia romana.

Ordinanza 06 luglio 2011, n.14839

Il giudice italiano difetta di giurisdizione rispetto ad una azione
risarcitoria promossa da un cittadino nei confronti del giudice
ecclesiastico per supposti comportamenti, non penalemnte rilevanti,
produttivi di danno che quest’ultimo avrebbe tenuto nel processo
canonico per la dichiarazione di nullità di un matrimonio che sia
stato celebrato a norma dell’art. 8 dell’Accordo di Villa Madama del
18 febbraio 1984, ratificato con legge 25 marzo 1985, n. 121.
L’attività esercitata dal giudice ecclesiastico nel processo
canonico, gli atti da lui compiuti e la conformità dei medesimi al
diritto canonico in generale ed alle regole processuali canoniche in
particolare, non possono infatti essere oggetto, in quanto tali e fino
a quando detti atti restino funzionali all’attività processuale ed
interni al processo stesso, di un sindacato da parte del giudice dello
Stato, in omaggio sia alla riserva esclusiva di giurisdizione
ecclesiastica sulla violazione delle leggi ecclesiastiche espressa dal
can. 1401 c.i.c., sia alla regola fondamentale della separazione ed
indipendenza degli ordini espressa dall’art. 7 della Costituzione,
separazione ed indipendenza che costituiscono l’essenza stessa del
principio di laicità dello Stato.

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La redazione di OLIR.it ringrazia per la segnalazione l’Avvocato
Ecclesiastico Maurizio Bogetti

Sentenza 14 marzo 2011, n.5924

La laicità dello Stato rappresenta un interesse diffuso e come tale
adespota, perchè facente capo alla popolazione nel suo
complesso. Proprio per la suddetta natura degli interessi diffusi, la
tutela degli stessi è affidata agli enti esponenziali della
collettività nel suo complesso, salvo che la tutela non sia anche
rimessa ad associazioni o enti collettivi in specifiche ipotesi
previste dalla legge (L. 7 agosto 1990, n. 241, art. 9, L. 8 luglio
1986, n. 349, art. 18). Tuttavia la condivisibile giurisprudenza di
questa Corte (Cass. S.U. n. 2207/1978; Cass. S.U. n. 1463/1979) ha
ritenuto configurabili accanto agli interessi cosiddetti diffusi, da
parte di collettività unitariamente considerate, anche la titolarità
di interessi individuali, da parte dei singoli coinvolti dal
procedimento stesso. In questi casi il titolare di ogni singolo
diritto soggettivo inviolabile leso ha azione per la sua tutela. Da
ciò consegue che, mentre la lesione di un proprio diritto soggettivo
inviolabile può essere fatta valere nell’ambito del rapporto di
impiego anche in via di autotutela, allorchè tale lesione del diritto
soggettivo è esclusa, non può invece essere fatta valere, come causa
giustificante, la lesione di un interesse diffuso.
Nel caso di specie, dunque, poichè la Sezione disciplinare ha
affermato la responsabilità del ricorrente solo in relazione ai
disservizi verificatisi per il rifiuto di tenere udienze in stanze o
aule prive del crocifisso, e quindi in situazioni che – secondo
l’accertamento fattuale della Sezione – non potevano comportare la
lesione del suo diritto di libertà religiosa, di coscienza o di
opinione, non può intentare causa giustificante di tale rifiuto la
pretesa tutela della laicità dello Stato o dei diritti di libertà
religiosa degli altri soggetti che si trovavano nelle altre aule di
giustizia della Nazione, in cui il crocefisso era esposto.
Infine, appare infondata anche la censura secondo cui il rifiuto del
ricorrente di tenere udienza poteva ritenersi giustificato dalla
mancata autorizzazione ad esporre nelle aule giudiziarie la menorah,
simbolo della religione ebraica. Per poter accogliere tale pretesa è
infatti necessaria una scelta discrezionale del legislatore, che allo
stato non sussiste. E’ vero infatti che sul piano teorico il principio
di laicità è compatibile sia con un modello di equiparazione verso
l’alto (laicità per addizione) che consenta ad ogni soggetto di
vedere rappresentati nei luoghi pubblici i simboli della propria
religione, sia con un modello di equiparazione verso il basso
(laicità per sottrazione). Tale scelta legislativa, però, presuppone
che siano valutati una pluralità di profili, primi tra tutti la
praticabilità concreta ed il bilanciamento tra l’esercizio della
libertà religiosa da parte degli utenti di un luogo pubblico con
l’analogo esercizio della libertà religiosa negativa da parte
dell’ateo o del non credente, nonchè il bilanciamento tra garanzia
del pluralismo e possibili conflitti tra una pluralità di identità
religiose tra loro incompatibili.

Ordinanza 09 settembre 2010, n.19247

Spetta al giudice amministrativo la giurisdizione esclusiva sulla
domanda di carattere inibitorio consistente nel divieto di impartire
lezioni di educazione sessuale agli alunni di una scuola investendo
tali domande il potere dell’amministrazione in ordine
all’organizzazione ed alle modalità di prestazione del servizio
scolastico.

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Cfr. Corte di Cassazione. Sezioni Unite. Ordinanza 25 maggio – 10
luglio 2006, n. 15614 [https://www.olir.it/documenti/?documento=3751]:
“Esposizione del crocifisso nelle aule scolastiche e giurisdizione
esclusiva del giudice amministrativo”.

Ordinanza 27 gennaio 2010, n.1625

Le controversie riguardo al provvedimento di cancellazione (o al
rifiuto di iscrizione) dall’Anagrafe delle Onlus, di competenza
dell’Agenzia delle entrate, deve ritenersi attribuite al giudice
tributario, ai sensi dell’art. 2 del D.Lgs. n. 546/1992, avendo ad
oggetto un atto di revoca (o diniego) di agevolazioni (art. 19, lett.
h, del D.Lgs. n. 546/1992).

Sentenza 20 marzo 2009, n.6771

La L. n. 205 del 2000, all’art. 6, ha devoluto alla giurisdizione
esclusiva del giudice amministrativo tutte le controversie relative a
procedure di affidamento di lavori, servizi o forniture svolte da
soggetti comunque tenuti, nella scelta del contraente o del socio,
all’applicazione della normativa comunitaria. Ora, la Parrocchia non
è soggetto tenuto all’applicazione della normativa comunitaria.
Infatti, tanto la direttiva 89/665/CEE, che coordina le disposizioni
legislative, regolamentari ed amministrative relative all’applicazione
delle procedure di ricorso in materia di aggiudicazione degli appalti
pubblici di forniture e di lavori, quanto le successive direttive del
Consiglio 92/50 e 93/36/CEE (forniture) e 93/37 (lavori pubblici)
richiedono per la insorgenza di detto obbligo che la stazione
appaltante rientri nella categoria degli organismi di diritto pubblico
ai sensi dell’art. 1, lett. b) di dette disposizioni; e che per
acquistare tale qualifica il soggetto debba possedere cumulativamente,
come più volte precisato dalla Corte di giustizia, i seguenti tre
requisiti: a) essere dotato di personalità giuridica; b) essere un
organismo istituito per soddisfare specificamente bisogni di interesse
generale aventi carattere non industriale o commerciale; c) essere
dipendente strettamente dallo Stato, da enti pubblici territoriale o
da altri organismi di diritto pubblico. Ciò rilevato, per quanto la
Parrocchia sia un ente ecclesiastico riconosciuto ai sensi della L. 20
maggio 1985, n. 222, con effetto anche ai fini civilistici, per il
disposto dell’art. 2 di detta Legge deve ritenersi che la stessa abbia
esclusivamente fine di religione o di culto e che la sua attività sia
rivolta a soddisfare bisogni esclusivamente religiosi, salvo venga
data prova che la medesima persegua anche “attività diverse da quelle
di religione o di culto” o comunque taluna di quelle indicate
nell’art. 15 e art. 16, lett. b della stessa legge, che in astratto
potrebbero essere “specificamente” dirette a soddisfare bisogni di
interesse generale.

Sentenza 18 luglio 2008, n.19809

Corte di Cassazione. Sezioni Unite Civili. Sentenza 24 giugno – 18 luglio 2008, n. 19809: "Matrimonio concordatario e vizi del consenso". SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE SEZIONI UNITE CIVILI (Presidente Carbone – Relatore Forte) Svolgimento del processo Con sentenza del 4 dicembre 2002, la Corte d'appello di Trieste ha rigettato la domanda di G. D., proposta […]

Sentenza 13 novembre 2008, n.27145

E’ inammissibile – per difetto di legittimazione – il ricorso proposto
dal Pubblico Ministero avverso provvedimento emesso in seguito a
giudizio civile, avente ad oggetto l’istanza rivolta a disporre
l’interruzione del trattamento di sostegno vitale artificiale di
paziente in stato vegetativo permanente. Tale fattispecie, infatti,
non rientra tra le cause “sullo stato e capacità delle persone”,
essendo quest ultime esclusivamente quelle riguardanti la posizione
soggettiva dell’individuo come cittadino o nell’ambito della comunità
civile o familiare, e non, invece, anche le questioni attinenti ad
ulteriori diritti aventi a presupposto la posizione soggettiva stessa.
La dimensione così circoscritta del potere di impugnazione del P.M.
presso il giudice del merito neppure può, infine, dar luogo a dubbio
alcuno di legittimità costituzionale, per il profilo della mancata
sua estensione alla ipotesi che qui ne riguarda, in relazione ai
precetti della eguaglianza e della ragionevolezza, di cui all’art. 3,
commi primo e secondo, della Costituzione, stante l’evidente
ragionevolezza, invece, del non identico trattamento di fattispecie in
cui viene in rilievo un diritto personalissimo del soggetto di
spessore costituzionale (come, nella specie, il diritto di
autodeterminazione terapeutica in tutte le fasi del la vita, anche in
quella terminale) – all’esercizio del quale è coerente che il P.M.
non possa contrapporsi fino al punto della impugnazione di decisione
di accoglimento della domanda di tutela del titolare – e fattispecie
viceversa connotate da un prevalente interesse pubblico (come quelle
cui fa rinvio l’art. 69 c.p.c.), solo in ragione del quale si
giustifica l’attribuzione di più incisivi poteri, anche impugnatori,
al Pubblico Ministero.

Ordinanza 06 febbraio 2008, n.2656

Il diritto fondamentale dei genitori di provvedere alla educazione ed
alla formazione dei figli trova il necessario componimento con il
principio di libertà dell’insegnamento dettato dall’art. 33 della
Cost. e con quello di obbligatorietà dell’istruzione inferiore. E’
pertanto ravvisabile un potere dell’amministrazione scolastica di
svolgere la propria funzione istituzionale con scelte di programmi e
di metodi didattici potenzialmente idonei ad interferire ed anche
eventualmente contrastare con gli indirizzi educativi adottati dalla
famiglia senza che alle opzioni didattiche così assunte sia
opponibile un diritto di veto dei singoli genitori.

Sentenza 02 aprile 2007, n.8088

Le norme ed i principi di tutela, operanti per i rapporti di lavoro
subordinato di diritto privato, non trovano alcun limite alla loro
applicazione nel rapporto del personale dipendente presso enti
ecclesiastici civilmente riconosciuti, esercenti attività ospedaliera
e classificati ai fini della loro inserzione nel servizio sanitario
pubblico. Tale stato di cose, in difetto di disposizioni espresse in
tal senso, non comporta infatti l’assoluta parificazione della
regolamentazione dei suddetti rapporti di lavoro a quelli dei
dipendenti degli enti pubblici ospedalieri. La cognizione delle
eventuali controversie relative a tali rapporti appartiene, quindi,
alla cognizione del giudice ordinario.