Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

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Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Sentenza 12 giugno 2012, n.9546

L’art. 155 c.c., in tema di provvedimenti riguardo ai figli nella
separazione personale dei coniugi, consente al giudice di fissare le
modalità della loro presenza presso ciascun genitore e di adottare
ogni altro provvedimento ad essi relativo, attenendosi al criterio
fondamentale rappresentato dal superiore interesse della prole, che
assume rilievo sistematico centrale nell’ordinamento dei rapporti di
filiazione, fondato sull’art. 30 Cost.. L’esercizio in concreto di
tale potere, dunque, deve costituire espressione di conveniente
protezione (art. 31 Cost., comma 2) del preminente diritto dei figli
alla salute e ad una crescita serena ed equilibrata e può assumere
anche profili contenitivi dei rubricati diritti e libertà
fondamentali individuali (nel caso di specie, il diritto di libertà
religiosa), ove le relative esteriorizzazioni determinino conseguenze
pregiudizievoli per la prole che vi presenzi, compromettendone la
salute psico-fisica e lo sviluppo; tali conseguenze, infatti, oltre a
legittimare le previste limitazioni ai richiamati diritti e libertà
fondamentali contemplati in testi sovranazionali, implicano in ambito
nazionale il non consentito superamento dei limiti di compatibilità
con i pari diritti e libertà altrui e con i concorrenti doveri di
genitore fissati nell’art. 30 Cost., comma 1, e nell’art. 147 c.c.

Sentenza 11 luglio 2012, n.11644

Il quadro normativo attuale, a seguito dell’introduzione della legge
n. 40 del 2004, per come formulata e per come interpretabile alla luce
delle sempre più incisiva affermazione del principio del favor
veritatis, si è arricchito di una nuova ipotesi, per certi versi
tipica, di disconoscimento della paternità, che si aggiunge a quelle
previste dall’art. 235 c.c., e che si fonda – stante la non piena
assimilabilità dell’inseminazione artificiale alle previsioni di tale
norma – sulla esigenza, sempre più avvertita, di affermare la
primazia del favor veritatis.In questo senso, in tutte le ipotesi non
contemplate dall’art. 9, comma 1 della legge in esame (“qualora si
ricorra a tecniche di procreazione medicalmente assistita di tipo
eterologo in violazione del divieto di cui all’art. 4, comma 3, il
coniuge o il convivente il cui consenso è ricavabile da atti
concludenti non può esercitare l’azione di disconoscimento della
paternità nei casi previsti dall’art. 235, comma 1, nn. 1 e 2 c.c.,
né l’impugnazione di cui all’art. 263 dello stesso codice”), nelle
quali difetti l’elemento ostativo alla legittimazione costituito dal
consenso preventivo alla fecondazione eterologa, l’azione di
disconoscimento deve ritenersi ammissibile. L’integrazione, nei
termini sopra indicati, delle ipotesi previste dall’art. 235 c.c., non
può infine non raccordarsi, stante l’identità della ratio e,
comunque, per evidenti ragioni sistematiche, alle ipotesi di decadenza
previste dall’art. 244 c.c. con riferimento al momento in cui si sia
acquisita la certezza del ricorso a tale metodo di procreazione (Nel
caso di specie, il giudice adito respingeva il ricorso del coniuge per
avvenuta decadenza dell’attore dalla proposizione dell’azione di
disconoscimento della paternità per decorso del termine annuale).

Sentenza 28 marzo 2012, n.4961

Il servizio pre-ruolo prestato, quale insegnante di attività
alternative alla religione cattolica, è riconoscibile ai fini della
ricostruzione della carriera, sempre che tale servizio sia stato
prestato con il possesso del titolo di studio prescritto o comunque
riconosciuto valido per effetto di apposito provvedimento legislativo.

Sentenza 08 febbraio 2012, n.1780

Pur meritando adesione l’indirizzo giurisprudenziale, secondo cui la
successiva convivenza prolungata è da considerarsi espressiva della
volonta di accettazione del matrimonio-rapporto con conseguente
incompatibilità dell’esercizio postumo dell’azione di nullità (cfr.
Cass., Sez. I, 20 gennaio 2011, n. 1343
[https://www.olir.it/documenti/?documento=5571]; e Cass., S.U., 18
luglio 2008, n. 19809 [https://www.olir.it/documenti/?documento=4915]),
si deve ritenere che esso trovi applicazione nei casi in cui, dopo il
matrimonio nullo, tra i coniugi si sia instaurato un vero consorzio
familiare e affettivo, con superamento implicito della causa
originaria di invalidità. In tale ricostruzione interpretativa, il
limite di ordine pubblico postula, pertanto, che non di mera
coabitazione materiale sotto lo stesso tetto si sia trattato, – che
nulla aggiungerebbe ad una situazione di mera apparenza del vincolo –
bensì di vera e propria convivenza significativa di un’instaurata
affectio familiae, nel naturale rispetto dei diritti ed obblighi
reciproci tale da dimostrare l’instaurazione di un matrimonio-rapporto
duraturo e radicato, nonostante il vizio genetico del matrimonio-atto.

Sentenza 05 marzo 2012, n.3378

Se, da un lato, il giudice italiano è tenuto ad accertare la
conoscenza o l’oggettiva conoscibilità dell’esclusione di uno dei
bona matrimonii da parte dell’altro coniuge con piena autonomia,
trattandosi di profilo estraneo, in quanto irrilevante, al processo
canonico, senza limitarsi al controllo di legittimità della pronuncia
ecclesiastica di nullità, dall’altro, la relativa indagine deve
essere condotta con esclusivo riferimento alla pronuncia da delibare
ed agli atti del processo medesimo eventualmente acquisiti,
opportunamente riesaminati e valutati, non essendovi luogo, in fase di
delibazione, ad alcuna integrazione di attività istruttoria.

Sentenza 15 marzo 2012, n.4184

La diversità di sesso dei nubendi è — unitamente alla
manifestazione di volontà matrimoniale dagli stessi espressa in
presenza dell’ufficiale dello stato civile celebrante – secondo la
costante giurisprudenza di questa Corte, requisito minimo
indispensabile per la stessa esistenza del matrimonio civile come atto
giuridicamente rilevante (cfr., ex plurimis, le sentenze nn. 1808 del
1976, 1304 del 1990 cit., 1739 del 1999, 7877 del 2000).
Questo requisito – pur non previsto in modo espresso né dalla
Costituzione, né dal codice civile vigente (a differenza di quello
previgente del 1865 che, nell’art. 55 ad esempio, stabiliva, quanto
al requisito dell’età: «Non possono contrarre matrimonio l’uomo
prima che abbia compiuto gli anni diciotto, la donna prima che abbia
compiuto gli anni quindici»), né dalle numerose leggi che,
direttamente o indirettamente, si riferiscono all’istituto
matrimoniale — sta tuttavia, quale ‘postulato’ implicito, a
fondamento di tale istituto, come emerge inequivocabilmente da
molteplici disposizioni di tali fonti e, in primo luogo, dall’art.
107, primo comma, cod. civ. che, nel disciplinare la forma della
celebrazione del matrimonio, prevede tra l’altro che l’ufficiale
dello stato civile celebrante «riceve da ciascuna delle parti
personalmente, l’una dopo l’altra, la dichiarazione che esse si
vogliono prendere rispettivamente in marito e in moglie» (si veda
anche l’art. 108, primo comma).
— Pertanto — sul piano delle norme, di rango primario o
sub-primario, applicabili alla fattispecie in prima approssimazione
—, alla specifica questione, consistente nello stabilire se due
cittadini italiani dello stesso sesso, i quali abbiano contratto
matrimonio all’estero, siano, o no, titolari del diritto alla
trascrizione del relativo atto nel corrispondente registro dello stato
civile italiano, deve darsi, in conformità con i su menzionati
precedenti di questa Corte, risposta negativa.
Al riguardo, deve essere infine precisato che, nella specie,
l’intrascrivibilità di tale atto dipende non già dalla sua
contrarietà all’ordine pubblico, ai sensi dell’art. 18 del d.P.R.
n. 396 del 2000, ma dalla previa e più radicale ragione,
riscontrabile anche dall’ufficiale dello stato civile in forza delle
attribuzioni conferitegli, della sua non riconoscibilità come atto di
matrimonio nell’ordinamento giuridico italiano. Ciò che,
conseguentemente, esime il Collegio dall’affrontare la diversa e
delicata questione dell’eventuale intrascrivibilità di questo
genere di atti per la loro contrarietà con l’ordine pubblico.
 

Sentenza 01 marzo 2012, n.3227

Il giudice civile ai fini della delibazione può dissentire dalla
valutazione dei fatti espressa dal tribunale ecclesiastico, ma ciò
può fare dando conto delle ragioni del diverso convincimento da
conseguire sulla scorta degli elementi istruttori posti in evidenza
nella sentenza oggetto del riconoscimento statale, incorrendo
altrimenti in un palese vizio motivazionale.

Sentenza 22 agosto 2011, n.17465

La sentenza ecclesiastica che abbia pronunciato la nullità del
matrimonio per esclusione, da parte di uno dei coniugi, dei bona
matrimonii è delibabile purchè tale divergenza tra volontà e
dichiarazione sia stata manifestata all’altro coniuge o da questo
conosciuta o comunque conoscibile con ordinaria diligenza. Nel caso di
specie, il fidanzamento interrotto da una relazione con altra donna, i
tratti caratteriali del coniuge sensibile al fascino di altre donne e
alieno da legami stabili e duraturi, l’induzione al matrimonio per
intervenuta gravidanza e la convinzione, espressa in varie sedi, che
vi sarebbe stata comunque la possibilità di divorzio, sono apparsi
elementi idonei a ritere insussistente la violazione del principio
dell’affidamento incolpevole.

Sentenza 16 giugno 2011, n.13240

Pur tenendo conto “del favore particolare al riconoscimento che lo
Stato italiano s’è imposto con il protocollo addizionale del 18
febbraio 1984, modificativo del Concordato” (S. U., n. 19809/2008
[https://www.olir.it/documenti/?documento=4915]), il giudice interno,
cui sono inibiti riesame del merito ed assunzione di ulteriore
istruttoria in ordine alla sussistenza della riserva mentale, ha però
il potere d’accertarne in piena autonomia la conoscenza o l’oggettiva
conoscibilità da parte di un coniuge, sulla base degli atti del
processo canonico eventualmente prodotti (per tutte Cass. n. 3339/2003
[https://www.olir.it/documenti/?documento=1331]). Il corollario esclude
il giudicato formatosi in sede ecclesiastica in ordine al menzionato
requisito.

Sentenza 10 giugno 2011, n.12738

La tutela di interessi riguardanti la costituzione di un rapporto –
quello matrimoniale – oggetto di rilievo e tutela costituzionale, in
quanto incidente in maniera particolare sulla vita della persona e su
istituti e rapporti costituzionalmente rilevanti” (Cass. n.
3339/2003), impongono alla Corte d’appello di verificare, rendendone
conto con adeguata motivazione, se il coniuge che abbia apposto la
condizione al matrimonio, abbia anche reso partecipe l’altro coniuge
del suo contenuto effettivo, se cioè – nel caso di specie – egli
volendo effettivamente subordinare il vincolo matrimoniale ed il suo
mantenimento alla fissazione della residenza coniugale nel luogo da
lui prescelto, abbia espresso questa sua precisa volontà alla moglie,
o quanto meno le abbia consentito la percezione di tale riserva con
fatti concludenti, dai quali fosse univocamente desumibile con
ordinaria diligenza.

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Per approfondire in OLIR.it
Corte di Cassazione. Prima Sezione Civile, Sentenza 6 marzo 2003, n.
3339 [https://www.olir.it/documenti/?documento=1331]