Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

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Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Sentenza 08 luglio 2015, n.14225

L'esenzione prevista dall'art. 7, comma primo, lett. i), del
d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, è subordinata alla compresenza
di un requisito oggettivo, rappresentato dallo svolgimento esclusivo
nell'immobile di attività di assistenza o di altre
attività equiparate, e di un requisito soggettivo, costituito
dal diretto svolgimento di tali attività da parte di un ente
pubblico o privato che non abbia come oggetto esclusivo o principale
l'esereizio di attività commerciali (art. 87, comma primo,
lett. e), del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, cui il citato art. 7
rinvia). La sussistenza del requisito oggettivo deve essere accertata
in concreto, verificando che l'attività cui l'immobile
è destinato, pur rientrando tra quelle esenti, non sia svolta
con le modalità di un'attività commerciale (Nel caso
di specie, la Suprema Corte ha accolto il ricorso presentato dal
Comune circa l'applicazione dell'ICI rispetto ad un istituto
paritario gestito da religiosi, in considerazione del fatto del
pagamento da parte degli studenti di un corrispettivo per la
frequenza, pur risultando detta gestione di fatto in perdita). In
questo stesso senso cfr.: Corte
di Cassazione, Sezione V Civile, sentenza 8 luglio 2015, n. 14226
(pdf)

Sentenza 21 maggio 2015, n.10481

L'attribuzione della personalità giuridica alle chiese ex
conventuali comportava, ai sensi del Concordato del 1929, il diretto
trasferimento della proprietà del complesso degli edifici sacri
dal Fondo Edifici di Culto, successore dell'originario Fondo per
il Culto, al riconosciuto ente – chiesa. Tutto ciò con
conseguente irrilevanza della stessa successione, nel tempo, dei
suddetti Fondi e con conseguente identificazione del complesso dei
beni in questione fra quelli aventi specifica destinazione vincolata
all'esercizio del culto (e, quindi, come tali assegnati a quei
Fondi). Va, in proposito, rammentato come solo le chiese ex
conventuali, già appartenenti alle case religiose a suo tempo
soppresse con le leggi eversive e – si badi – chiuse al culto,
potevano essere attribuite al demanio dello Stato e, quindi,
considerate demaniali e diversamente utilizzate; pertanto nella
fattispecie in esame non si verte in ipotesi di tal genere attesa la
vincolante e continuativa destinazione della chiesa all'esercizio
delle funzioni religiose.

Sentenza 06 luglio 2015, n.13883

In tema di delibazione della sentenza ecclesiastica dichiarativa della
nullità di un matrimonio concordatario per difetto di consenso,
le situazioni di vizio psichico assunte dal giudice ecclesiastico come
comportanti inettitudine del soggetto, al momento della manifestazione
del consenso, a contrarre il matrimonio non si discostano
sostanzialmente dall'ipotesi d'invalidità contemplata
dall'art. 120 c.c., cosicchè è da escludere che il
riconoscimento dell'efficacia di una tale sentenza trovi ostacolo
in principi fondamentali dell'ordinamento italiano. In
particolare, tale contrasto non è ravvisabile sotto il profilo
del difetto di tutela dell'affidamento della controparte,
poichè, mentre in tema di contratti la disciplina generale
dell'incapacità naturale dà rilievo alla buona o
malafede dell'altra parte, tale aspetto è ignorato nella
disciplina dell'incapacità naturale, quale causa
d'invalidità del matrimonio, essendo in tal caso preminente
l'esigenza di rimuovere il vincolo coniugale inficiato da vizio
psichico.

Sentenza 21 aprile 2015, n.8097

La Corte Costituzionale, con sentenza
n. 170 del 2014
, ha dichiarato l’illegittimità degli
artt. 2 e 4 della l. n. 164 del 1982, nella parte in cui non prevedono
che la sentenza di rettificazione dell’attribuzione di sesso di
uno dei coniugi consenta, comunque, ove entrambi lo richiedano, di
mantenere in vita un rapporto di coppia giuridicamente regolato da
altra forma di convivenza registrata, che tuteli adeguatamente i
diritti ed obblighi della coppia, con le modalità da statuirsi
dal legislatore. In questo senso, dunque, nel caso di specie, la Corte
di Cassazione ha ritenuto necessario, al fine di dare attuazione alla
declaratoria di illegittimità suddetta, accogliere il ricorso
de qua e conservare alle parti ricorrenti il riconoscimento dei
diritti e doveri conseguenti al vincolo matrimoniale fino a quando il
legislatore non consenta loro di mantenere in vita il rapporto di
coppia, con altra forma di convivenza registrata che ne tuteli
adeguatamente diritti ed obblighi.

Sentenza 01 aprile 2015, n.6611

In tema di delibazione della sentenza ecclesiastica dichiarativa della
nullità di un matrimonio concordatario per difetto di consenso,
le situazioni di vizio psichico assunte dal giudice ecclesiastico come
comportanti inettitudine del soggetto, al momento della manifestazione
del consenso, a contrarre il matrimonio non si discostano
sostanzialmente dall’ipotesi d’invalidita’
contemplata dall’articolo 120 c.c., cosicchè è da
escludere che il riconoscimento dell’efficacia di una tale
sentenza trovi ostacolo in principi fondamentali
dell’ordinamento italiano. Le Sezioni Unite hanno inoltre
specificato i caratteri che deve assumere, per i fini che qui
interessano, la convivenza coniugale, sotto il profilo della
riconoscibilità dall’esterno – attraverso fatti e
comportamenti che vi corrispondano in modo non equivoco -,
nonchè della stabilità – individuando, sulla base
di specifici riferimenti normativi (Legge n. 184 del 1983, articolo 6,
commi 1 e 4) una durata minima di tre anni. Nel caso di specie,
invece, il legame coniugale era gia’ dissolto – se non prima –
certamente dopo un solo anno dalla celebrazione del matrimonio,
cioè entro un arco temporale inferiore rispetto a quello
individuato dalle Sezioni Unite ai fini della tutela del
matrimonio-rapporto (cfr. SU Cassazione, sentenze nn. 16379 e 16380
del 17 luglio 2014). [La redazione di OLIR.it ringrazia per la
segnalazione del documento Antonio Angelucci, Università degli
Studi dell'Insubria].

Sentenza 09 febbraio 2015, n.2400

Nel nostro sistema giuridico il matrimonio tra persone dello stesso
sesso è inidoneo a produrre effetti perché non previsto
tra le ipotesi legislative di unione coniugale. Il nucleo relazionale
che caratterizza l’unione "omoaffettiva", invece,
riceve un diretto riconoscimento costituzionale dall’art. 2
Cost. e mediante il processo di adeguamento e di equiparazione imposto
dal rilievo costituzionale dei diritti in discussione può
acquisire un grado di protezione e tutela equiparabile a quello
matrimoniale in tutte le situazioni nelle quali la mancanza di una
disciplina legislativa determina una lesione di diritti fondamentali
scaturenti dalla relazione in questione. L’insussistenza di un
obbligo costituzionale ad estendere il vincolo coniugale alle
unioni omoaffettive è stata del resto ribadita dalla sentenza
n. 170 del 2014
della Corte Costituzionale, nella quale è
stata dichiarata l’illegittimità costituzionale della
disciplina normativa che faceva conseguire in via automatica, alla
rettificazione del sesso, lo scioglimento o la cessazione degli
effetti civili del matrimonio, senza preoccuparsi di prevedere per
l’unione, divenuta omoaffettiva, un riconoscimento e uno statuto
di diritti e doveri che ne consentisse la conservazione in una
condizione coerente con l’art. 2 Cost. (e 8 Cedu). La Corte ha
in questo senso evidenziato che il contrasto in tale fattispecie si
determina il “passaggio da uno stato di massima protezione
giuridica ad una condizione di assoluta indeterminatezza", con
conseguente necessità di un tempestivo intervento legislativo.

Sentenza 27 gennaio 2015, n.1495

Secondo la sentenza della Corte di
Cassazione, S.U., n. 16379 del 2014
, la convivenza come coniugi,
protrattasi per almeno tre anni dalla data di celebrazione del
matrimonio "concordatario" regolarmente trascritto,
connotando nell'essenziale l'istituto del matrimonio
nell'ordinamento italiano, è costitutiva di una situazione
giuridica disciplinata da norme costituzionali, convenzionali ed
ordinarie, di "ordine pubblico italiano" e, pertanto, anche
in applicazione del principio supremo di laicità dello Stato,
è ostativa alla dichiarazione di efficacia nella Repubblica
Italiana delle sentenze definitive di nullità di matrimonio
pronunciate dai tribunali ecclesiastici, per qualsiasi vizio genetico
del matrimonio accertato e dichiarato dal giudice ecclesiastico
nell'ordine canonico nonostante la sussistenza di detta convivenza
coniugale. Nella medesima sentenza tuttavia è anche affermato,
nel paragrafo 4.3. lett. b) , che "secondo la speciale disciplina
dell'Accordo, occorre distinguere due ipotesi, a seconda che la
delibazione sia proposta "dalle parti" oppure "da una
di esse" (alinea dell'art. 8, n. 2 dell'Accordo)" e
che nella prima ipotesi non possono sussistere dubbi circa la
tendenziale delibabilità della sentenza canonica di
nullità, anche nel caso in cui già emergesse ex actis
una situazione di convivenza coniugale, potenzialmente idonea a
costituire ostacolo alla delibazione. Deve, pertanto, ritenersi che la
proposizione di un ricorso "congiunto" volto ad ottenere il
riconoscimento dell'efficacia nel nostro ordinamento di una
sentenza di nullità del matrimonio canonica pronunciato dal
tribunale ecclesiastico, escluda l'interferenza della condizione
ostativa costituita dalla convivenza così come precisamente
configurata dalle Sezioni Unite.

Sentenza 02 febbraio 2015, n.1788

Le S.U. della Corte di Cassazione, componendo un contrasto sorto nella
giurisprudenza civile, hanno individuato nella convivenza stabile e
duratura tra gli sposi, successiva alla celebrazione del matrimonio, e
dunque attinente al matrimonio-rapporto, un limite generale di ordine
pubblico alla delibabilità delle sentenze ecclesiastiche in
materia matrimoniale (Cass., S.U. nn. 16379
e 16380
del 2014). La convivenza costituisce dunque un limite generale di
ordine pubblico, indipendente dal vizio genetico del matrimonio
dichiarato dal Tribunale ecclesiastico. Diversamente opinando,
infatti, il Giudice italiano porrebbe in essere una inammissibile
invasione nella giurisdizione ecclesiastica in materia di
nullità matrimoniale.

Sentenza 02 febbraio 2015, n.1789

Ai fini della delibazione della sentenza ecclesiastica di
nullità matrimoniale, la prolungata convivenza tra i coniugi,
dopo la celebrazione delle nozze non può venire rilevata
d'ufficio dal giudice, nè eccepita dal Pubblico Ministero.
Si tratta infatti di una eccezione "in senso tecnico" che
deve essere formulata,a pena di decadenza, con la comparsa di
costituzione e risposta, ai sensi degli artt. 166 e 167 c.p.c.

Sentenza 02 febbraio 2015, n.1790

La contrarietà alla filiazione costituisce un elemento della
sfera intima e strettamente personale del soggetto, privo di indici
esteriori di riconoscibilità. Ne consegue che la conoscenza di
tale opzione personale può solo desumersi dalle dichiarazioni
dirette della parte o di un terzo che dalla parte l'abbia appreso
e lo riferisca al destinatario. In quest'ultima ipotesi è
necessaria una specificazione puntuale del contesto spazio – temporale
nel quale la circostanza è riferita. Il numero e la
qualità delle persone a conoscenza della circostanza, peraltro
appartenenti alla sfera relazionale del soggetto che ha assunto il
vincolo coniugale con tale riserva mentale costituiscono elementi del
tutto inidonei a fondare la presunzione di conoscibilità in
capo all'altro coniuge. E' necessario, pertanto, che venga
indicato come dal complessivo materiale istruttorio possa affermarsi
che sia pervenuta nella sfera di conoscenza dell'altro coniuge
l'esclusione del bonum prolis. (Nel caso di specie si è
ritenuto che la congiunzione causale o più esattamente il nesso
di univocità tra il fatto noto tra amici e parenti e
l'apprensione di esso da parte dell'altro coniuge fosse stata
meramente affermata dalla sentenza impugnata, senza alcun sostegno
argomentativo).