Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

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Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Sentenza 13 ottobre 2000, n.13651

Cassazione. Prima Sezione Civile. Sentenza 13 ottobre 2000, n. 13651. MOTIVI DELLA DECISIONE La sentenza impugnata ha dichiarato efficace nella Repubblica italiana la bolla di scioglimento del matrimonio rato e non consumato relativa al matrimonio contratto dalle parti col rito concordatario, ritenendo il rescritto pontificio di dispensa, suscettibile di delibazione, a norma dell’art. 797 c.p.c.. […]

Sentenza 16 maggio 2000, n.6308

Cassazione. Prima Sezione civile. Sentenza 16 maggio 2000, n. 6308. (A. Sensale; M.G. Luccioli) MOTIVI DELLA DECISIONE Con il primo motivo di ricorso, denunciando violazione dell’art. 8 n. 2 dell’Accordo del 18 febbraio 1984, modificativo del Concordato Lateranense dell’11 febbraio 1929, con riferimento all’art. 360 n. 3 e 5 c.p.c., si deduce che la Corte […]

Sentenza 16 novembre 1999, n.12671

Per effetto dell’Accordo di revisione del Concordato dell’11 febbraio
1929 con la Santa Sede, stipulato a Roma il 18 febbraio 1984 (e reso
esecutivo con legge 25 marzo 1985 n. 121), deve ritenersi abrogata la
riserva di giurisdizione, a favore dei tribunali ecclesiastici, sulle
cause di nullità dei matrimoni concordatari, già prevista dall’art.
34 del suddetto Concordato, poiché l’art. 13 dell’Accordo di
revisione ha disposto l’abrogazione delle precedenti norme
concordatarie non riprodotte nel proprio testo ed in quest’ultimo non
v’è più alcuna disposizione che preveda la riserva, senza, peraltro,
che tale conclusione possa essere superata dalla opposta
interpretazione data dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 421
del 1993. Il venir meno della riserva di giurisdizione ha determinato
il sorgere del concorso della giurisdizione italiana e di quella
ecclesiastica sulle controversie inerenti alla nullità del matrimonio
concordatario. Tale concorso deve essere risolto secondo il criterio
della prevenzione, il quale, tuttavia, con riferimento ad una
situazione di vigenza dell’art. 3 del cod. proc. civ. del 1942 (e di
inapplicabilità della norma dell’art. 7 della legge n. 218 del 1995,
nonché dell’art. 21 della Convenzione di Bruxelles del 27 settembre
1968), non deve essere intesa alla stregua dell’art. 39 cod.proc.civ.,
bensì (oltre che secondo la norma dell’art. 797 n. 5) secondo la
norma dell’art. 797 n. 6 cod.proc.civ., richiamata dall’art. 8, n. 2,
lettera c) dell’Accordo di revisione, di modo che l’instaurazione
avanti al giudice italiano di un giudizio avente il medesimo oggetto
rispetto alla sentenza ecclesiastica sulla nullità preclude la
favorevole delibazione di quest’ultima ove detto giudizio sia stato
introdotto prima del passaggio in giudicato di detta sentenza. A
seguito dell’abrogazione della riserva di giurisdizione esclusiva
ecclesiastica sulle controversie relative alla nullità del matrimonio
concordatario, per effetto dell’Accordo di revisione del Concordato
del 18 febbraio 1984, reso esecutivo in Italia con legge n. 121 del
1985, l’insorgenza del concorso fra la giurisdizione italiana e quella
ecclesiastica e la conseguente applicazione, nella vigenza dell’art. 3
cod. proc. civ., delle norme dell’art. 797 n. 5 e n. 6 del cod. proc.
civ., comporta che, nel giudizio di delibazione della sentenza
ecclesiastica dichiarativa della nullità, l’identità o meno
dell’oggetto di tale sentenza rispetto a quello del giudizio pendente
avanti al giudice italiano e relativo all’accertamento negativo della
esistenza degli stessi vizi, che erano stati dedotti a fondamento
della domanda di nullità avanti al giudice ecclesiastico, deve essere
accertata tenendo conto del criterio per cui l’identità di due
giudizi va valutata identificando l’oggetto del giudicato nascente da
ognuno ed accertando se il giudicato destinato a formarsi nell’uno sia
idoneo ad esplicare efficacia preclusiva nell’altro, nonché previa
approfondita indagine sul se l’accertamento della validità o
invalidità di un matrimonio concordatario possa chiedersi al giudice
italiano sulla base del diritto nazionale o solo sulla base del
diritto canonico o sulla base di una disciplina risultante dagli
elementi comuni all’ordinamento nazionale e a quello canonico, non
essendovi comunque ragione per negare l’identità fra l’oggetto del
giudizio di delibazione e quello pendente avanti al giudice italiano,
ove l’accertamento a tale giudice richiesto sulla validità o
invalidità del matrimonio sia basato sulla invocazione delle norme
canoniche (sulla base di tali principi la Suprema Corte ha cassato con
rinvio la sentenza di merito che aveva apoditticamente escluso
l’identità, senza considerare i suddetti criteri e, particolarmente,
senza accertare quale fosse la disciplina sostanziale invocata avanti
al giudice italiano).

Sentenza 06 marzo 1996, n.1780

Al fine dell’obbligazione indennitaria del coniuge cui sia
imputabile la nullità del matrimonio, ai sensi dell’art. 129 bis
Cod. civ., il requisito della buona fede dell’altro coniuge, da
presumersi fino a prova contraria, si identifica nell’incolpevole
ignoranza della specifica circostanza per la quale, nella concreta
vicenda, è stata pronunciata la nullità; pertanto, in caso di
declaratoria di invalidità, che sia stata resa dal giudice
ecclesiastico per esclusione del bonum sacramenti (individuata nella
riserva di uno dei coniugi di successivo ricorso al divorzio), con
sentenza di cui si chieda l’efficacia in Italia, la dimostrazione
della conoscenza di detta riserva da parte dell’altro coniuge
implica di per sé il superamento dell’indicata presunzione, a
prescindere da ogni questione sull’esattezza dell’identificazione
nella riserva medesima di quella esclusione del bonum sacramenti.

Sentenza 01 settembre 1995, n.9218

Nel caso in cui un soggetto impugni un matrimonio, sostenendone
l’inesistenza, per il fatto che il relativo atto di stato civile non
contiene indicazioni di cui ai nn. 6 (“la dichiarazione degli sposi di
volersi prendere rispettivamente in marito e moglie”) e 8 (“la
dichiarazione fatta dall’ufficiale dello stato civile che gli sposi
sono uniti in matrimonio”) dell’art. 126 R.D. 9 luglio 1939 n. 1238
(ordinamento dello stato civile), la difesa della controparte, la
quale eccepisca che l’omissione riguarda l’atto e non la
celebrazione, può provare, con ogni mezzo, che tali dichiarazioni
sono state rese, anche se non siano materialmente inserite
nell’atto, non sussistendo la limitazione dei mezzi di prova
ricavabili dagli artt. 132 e 133 Cod. civ., atteso che il convenuto
dimostra il proprio titolo di coniuge sulla base dell’atto di
celebrazione estratto dai registri dello stato civile, ai sensi
dell’art. 130 Cod. civ., e che la prova con ogni mezzo,
dell’intervenuta manifestazione del consenso ad nuptias può sempre
essere fornita allo scopo di ottenere la rettificazione dell’atto
ovvero, nel corso di un’azione di stato, per integrare le risultanze
degli atti dello stato civile, e quindi, modificarli, ove si accerti
l’incompletezza della loro redazione.

Sentenza 10 marzo 1995, n.2787

Ai sensi dell’art. 8 dell’Accordo firmato a Roma il 18 febbraio
1984, che apporta modificazioni al Concordato lateranense dell’11
febbraio 1929, tra la Repubblica Italiana e Santa Sede, ratificato e
reso esecutivo con legge 25 marzo 1985 n. 121, deve escludersi la
legittimazione degli eredi del coniuge a chiedere la delibazione della
sentenza ecclesiastica con cui è stata dichiarata la nullità del
matrimonio religioso da quest’ultimo contratto, anche nell’ipotesi
in cui tali eredi, sulla base delle norme del codice canonico, hanno
proseguito l’azione di nullità innanzi al giudice ecclesiastico ed
abbiano ottenuto la relativa pronuncia.

Sentenza 16 febbraio 1995, n.1701

Nel giudizio di deliberazione della sentenza ecclesiastica
dichiarativa della nullità del matrimonio concordatario, gli atti del
processo canonico, in difetto di espressa disposizione che ne imponga
l’allegazione o l’acquisizione, restano soggetti alle comuni
regole sull’onere della prova, di modo che può farsi carico alla
parte istante di produrli solo se indispensabili per il riscontro dei
presupposti della deliberazione medesima, ove non evincibili dalla
pronuncia delibanda o dalle altre risultanze*.

Sentenza 04 luglio 1994, n.6301

Il matrimonio canonico contratto nello Stato Città del Vaticano da
cittadini italiani senza l’osservanza delle condizioni previste
dall’art. 8 primo comma L. 25 marzo 1985 n. 121 (lettura da parte
del parroco degli articoli del Codice civile italiano riguardanti i
diritti e i doveri dei coniugi, redazione dell’atto di matrimonio in
doppio originale e invio di un semplice esemplare al competente
ufficiale di stato civile italiano) e trascritto in Italia nella parte
del registro dello stato civile riservato ai matrimoni celebrati
all’estero (parte 2a serie C), non può considerarsi matrimonio
concordatario agli effetti della L. 25 marzo 1985 n. 121 cit.;
nondimeno, la sentenza ecclesiastica che lo ha annullato (sentenza
della Sacra Rota, avente diretta rilevanza nell’ordinamento statale
della Città del Vaticano) è suscettibile di delibazione quale
sentenza straniera a norma dell’art. 797 Cod. proc. civ., quando
ricorrano tutte le condizioni richieste da detta norma.

Sentenza 01 dicembre 1993, n.11860

La scelta dei coniugi di contrarre matrimonio concordatario non
implica alcuna rinuncia ad avvalersi del diritto (avente carattere
personale ed inviolabile, con conseguente indisponibilità) di fare
cessare gli effetti civili del matrimonio medesimo, operando il
requisito dell’indissolubilità del vincolo unicamente nell’ordine
morale cattolico e nell’ambito dell’ordinamento canonico, non
recepito in parte qua dall’ordinamento italiano né col Concordato
lateranense del 1929 – attuato con L. 27 maggio 1929 n. 847 -, né con
l’Accordo modificativo del 1984, reso esecutivo con L. 25 marzo 1985
n. 121.

Sentenza 27 aprile 1993, n.4953

In tema di nullità di matrimonio, l’art. 129 bis Cod. civ. relativo
alla responsabilità del coniuge in mala fede al quale sia imputabile
la nullità, sebbene formulato lessicalmente in modo diverso
dall’art. 139 Cod. civ. (che commina una sanzione penale al coniuge
che, conoscendo prima della celebrazione una causa di nullità,
l’abbia lasciata ignorare dall’altro), comprende, nella sua
portata più ampia, anche l’ipotesi disciplinata da quest’ultima
norma; pertanto, per l’affermazione della responsabilità in
questione e, prima ancora, dell’imputabilità richiesta, non
sufficiente la pura e semplice riferibilità oggettiva della causa di
invalidità, e neppure la consapevolezza di essa, occorrendo, invece,
oltre alla consapevolezza di quei fatti che vengono definiti
invalidanti, anche quella della loro attitudine invalidante, mentre la
prova di tale consapevolezza e del comportamento omissivo o commissivo
del responsabile incombe, secondo le regole generali, su chi afferma
l’esistenza di tale imputabilità.