Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

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Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Sentenza 25 luglio 2007, n.16417

L’art. 19, comma 1 del D.Lgs. 286/98 stabilisce il divieto di
espulsione dello straniero verso Stati in cui potrebbe essere
sottoposto a persecuzioni per motivi di razza, di sesso, di lingua, di
cittadinanza, di religione, di opinioni politiche, di condizioni
personali o sociali. Il semplice richiamo alla rilevanza penale
attribuita all’omosessualità nello stato di origine (nel caso di
specie, il Senegal), tuttavia, non vale di per sé ad integrare gli
estremi del fatto persecutorio, essendo questo configurabile soltanto
laddove la sanzione penale sia prevista con riferimento alla qualità
dell’agente. Ai fini dell’accertamento della ravvisabilità o meno
di un fatto persecutorio occorre cioè stabilire, se la legislazione
straniera preveda come reato il fatto in sé dell’omosessualità
ovvero soltanto l’ostentazione delle pratiche omosessuali non
conformi al sentimento pubblico di quel paese. Solo nella prima
ipotesi, infatti, alla stregua dei principi generali di libertà e
dignità della persona, può ritenersi ravvisabile un fatto
persecutorio.

Sentenza 18 maggio 2007, n.11654

Il giudicato formatosi nel giudizio di cessazione degli effetti civili
del matrimonio concordatario non preclude la dichiarazione di
efficacia della sentenza ecclesiastica di nullità del matrimonio, in
quanto tale giudicato non spiega alcun effetto sul punto della
esistenza e validità del vincolo matrimoniale (salvo che la relativa
questione sia stata espressamente sollevata dalle parti e dunque
decisa necessariamente con efficacia di giudicato – trattandosi di
questione di status – ai sensi dell’art. 34 c.p.c)

Sentenza 27 marzo 2007, n.7449

L’impossibilitá contingente di assistere ad una messa di suffragio
in una determinata ora, per affermato inadempimento contrattuale del
sacerdote che avrebbe dovuto officiarla, non lede alcun diritto
fondamentale della persona, né incide – in particolare – sul diritto
di ognuno a praticare i riti della propria religione, in quanto si
appalesa estranea alla libertà di culto (Nel caso di specie, veniva
negato ai familiari del defunto il risarcimento del danno non
patrimoniale derivante dalla mancata celebrazione, nell’orario
stabilito, della messa in suffragio del loro congiunto)

Sentenza 16 novembre 2006, n.24494

Non sussiste contrasto tra la disciplina della cessazione degli
effetti civili del matrimonio e gli artt. 2 e 3 Cost., nonchè con
l’art. 29 Cost., posto che fra i diritti essenziali della famiglia non
è annoverabile quello alla indissolubilità dell’unione matrimoniale,
dalla quale trae origine la famiglia stessa. Questa, come organismo,
è tutelata nel momento della sua formazione e nel corso del suo
sviluppo, ma non anche in rapporto a situazioni che, conseguenti al
venir meno della comunione materiale e spirituale dei coniugi, ne
determinano la fine: proprio perchè la famiglia viene considerata nel
suo aspetto di comunità naturale, i diritti intangibili che ad essa
si ricollegano, anteriori a qualunque riconoscimento della legge
positiva, restano condizionati alla persistenza del nucleo familiare,
come risulta naturalmente operante, venuta meno la quale, la tutela
costituzionale cessa di operare.

Sentenza 26 marzo 2001, n.4359

In presenza della volontà di uno dei coniugi di ottenere la
trascrizione di un matrimonio canonico non trascritto, il requisito
della “conoscenza” della relativa istanza e della “non opposizione”
alla medesima da parte dell’altro coniuge – imposto dall’art. 8 l. n.
121 del 1985 – postula lo specifico riferimento all’istanza di
siffatta forma di adesione, onde non può ritenersi integrato dalla
dichiarazione, resa dagli sposi in occasione della celebrazione
stessa, di consentire la trascrizione o dal consenso alla trascrizione
dato da uno dei coniugi con un atto destinato ad operare dopo la sua
morte.

Sentenza 10 luglio 1999, n.7276

La pretesa di far valere agli effetti civili il provvedimento di
dispensa per matrimonio rato e non consumato, con la conseguente
annotazione nei registri dello Stato civile non può più essere
positivamente accolta dopo la sentenza della Corte costituzionale n.
18 del 1982, con la quale sono stati dichiarati illegittimi l’art. 1
l. 27 maggio 1929 n. 810 e l’art. 17 l. 27 maggio 1929 n. 847, nella
parte in cui tali norme prevedono che la Corte d’appello possa rendere
esecutivo tale provvedimento . Pertanto essendo venute meno le norme
che davano rilevanza nell’ordinamento statale a detta dispensa
ecclesiastica, la relativa domanda è assolutamente improponibile; nè
possono essere considerate rilevanti in senso contrario le modifiche
al Concordato lateranense, che non contengono alcun riferimento
all’esecutività agli effetti civili dei suddetti provvedimenti di
dispensa, nè la nuova disciplina stabilita dalla legge 218 del 1995
di riforma del diritto internazionale privato, in quanto contiene una
previsione di salvaguardia per l’applicazione delle convenzioni
internazionali in vigore per l’Italia (nella specie, la S.C.,
nell’affermare il suddetto principio di diritto, ha cassato la
pronuncia della Corte d’appello che, ritenendo che il provvedimento di
dispensa fosse assimilabile ad una sentenza straniera, aveva accolto
la domanda di delibazione).

Sentenza 25 giugno 2003, n.10055

Il passaggio in giudicato della sentenza dichiarativa della efficacia,
nell’ordinamento dello Stato, della pronuncia ecclesiastica di
nullità del matrimonio concordatario, determinando il venir meno del
vincolo coniugale, travolge ogni ulteriore controversia trovante
nell’esistenza e nella validità del matrimonio il proprio
presupposto, e quindi comporta la cessazione della materia del
contendere nel processo di divorzio che sia stato instaurato
successivamente alla introduzione del procedimento diretto al
riconoscimento della sentenza ecclesiastica.

Sentenza 28 gennaio 2005, n.1822

L’esecuzione nell’ordinamento italiano delle sentenze del tribunale
ecclesiastico dichiarativa della nullità del matrimonio concordatario
per esclusione unilaterale di uno dei bona matrimonii, trova ostacolo
nell’ordine pubblico, se tale esclusione è rimasta nella sfera
psichica del suo autore e non sia stata manifestata, oppure non sia
stata conosciuta o conoscibile dall’altro coniuge. In tal caso infatti
si verifica un contrasto con il principio inderogabile della tutela
della buona fede e dell’affidamento incolpevole, che è tuttavia
ricollegato ad un valore individuale che appartiene alla sfera di
disponibilità del soggetto ed è preordinato a tutelare questo valore
contro gli ingiusti attacchi esterni. Pertanto, al titolare di tale
diritto va riconosciuto anche il conseguente diritto di scegliere la
non conservazione del rapporto viziato per fatto dell’altra parte, in
questo caso non sussiste ostacolo alla delibazione della sentenza solo
nel caso in cui il coniuge che ignorava, o non poteva conoscere, il
vizio del consenso dell’altro coniuge chieda egli stesso l’esecuzione
alla Corte d’appello.

Sentenza 12 maggio 1990, n.4100

Il diritto alla tutela giurisdizionale costituisce un principio
supremo dell’ordinamento solo nel suo nucleo essenziale, la Corte
d’Appello, nel momento in cui deve procedere a rendere esecutiva la
sentenza del tribunale ecclesiastico che pronuncia la nullità del
matrimonio canonico, deve accertare se risultino rispettati gli
elementi essenziali del diritto di agire e di resistere nell’ambito
dei principi supremi dell’ordinamento costituzionale dello Stato. Tale
fondamentale requisito è integrato quando risulta che le parti
abbiano avuto la garanzia sufficiente per provvedere alla propria
difesa, non è invece necessario il riscontro del puntuale rispetto di
tutte le norme canoniche, oppure se queste diano le stesse garanzie
offerte dal nostro ordinamento. In particolare la delibazione della
sentenza del tribunale ecclesiastico di nullità del matrimonio
concordatario può essere effettuata anche quando il processo canonico
sia proseguito malgrado la morte del curatore dell’incapace, non
costituendo tale profilo una violazione del diritto di difesa.

Sentenza 04 novembre 2005, n.21395

L’istituto della kafalah, previsto dal diritto islamico quale
strumento di protezione dell’infanzia, attribuisce agli affidatari
un “potere-dovere” di custodia, con i contenuti educativi di un vero e
proprio affidamento preadottivo, ma non attribuisce tutela né
rappresentanza legale. Deve essere pertanto esclusa la legittimazione
del kafil a proporre opposizione avverso la dichiarazione dello stato
di adottabilità del minore affidato.