Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

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Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Sentenza 12 maggio 2008, n.11802

L’invocazione, innanzi al tribunale civile, della disciplina
civilistica delle cause di nullità matrimoniali porta ad escludere
l’identità del petitum con il giudizio svoltosi avanti al tribunale
ecclesiastico; ciò si evince dalle specificità e diversità
dell’istituto del matrimonio come configurato nei due ordinamenti
giuridici, riconducibili – rispettivamente – alla concezione del
matrimonio quale sacramento, propria del diritto canonico, ed alla
concezione negoziale, propria del diritto civile.

Sentenza 02 luglio 2008, n.18174

Negli ordinamenti musulmani, il dovere di fratellanza e di
solidarietà, cui esorta il Corano [ivi versetto 5], è assolto, nei
confronti dei minori illegittimi, orfani o comunque abbandonati,
attraverso lo strumento – di tutela e protezione dell’infanzia –
definito “Kafalah”, mediante il quale il minore, per il quale non sia
possibile attribuire la custodia ed assistenza (hadana) nell’ambito
della propria famiglia (legittima), può essere accolto da due coniugi
od anche da un singolo affidatario (kafil), che si impegnano a
mantenerlo, educarlo ed istruirlo, come se fosse un figlio proprio,
fino alla maggiore età, senza però che l’affidato (makful) entri a
far parte, giuridicamente, della famiglia che così lo accoglie. Ciò
premesso, si può dunque rilevare come tra la Kafalah islamica e il
modello dell’affidamento nazionale italiano prevalgano, sulle
differenze, i punti in comune, non avendo entrambi tali istituti, a
differenza dell’adozione, effetti legittimanti, e non incidendo, sia
l’uno che l’altro, sullo stato civile del minore; ed essendo anzi la
Kafalah, più dell’affidamento, vicina all’adozione, in quanto, mentre
l’affidamento ha natura essenzialmente provvisoria, la Kafalah
(ancorché ne sia ammessa la revoca) si prolunga tendenzialmente fino
alla maggiore età dell’affidato.

Sentenza 19 giugno 2008, n.16612

La nozione di imprenditore, ai sensi dell’art. 2082 c.c., va intesa in
senso oggettivo, dovendosi riconoscere il carattere imprenditoriale
all’attività economica organizzata che sia ricollegabile ad un dato
“obiettivo” inerente all’attitudine a conseguire la remunerazione dei
fattori produttivi, rimanendo giuridicamente irrilevante lo scopo di
lucro che riguarda il movente “soggettivo” (Cass. 5766/1994,
16435/2003, e 7725/2004). Tanto premesso, ai fini della la
qualificazione dell’industrialità dell’attività (art. 2195 c.c.,
comma 1), per integrare il fine di lucro è necessaria l’idoneità –
almeno tendenziale – dei ricavi a perseguire il pareggio di bilancio,
nè ad escludere tale finalità è sufficiente la qualità di
congregazione religiosa dell’ente (Cass. G.U. 3353/1994, Cass.
97/2001).

Sentenza 21 dicembre 2007

Il disposto della L. n. 898 del 1970, art. 9, e successive
modificazioni, prevede la modificabilità delle sentenze di divorzio
in relazione alla sopravvenienza di “giustificati motivi”, intesi come
circostanze che abbiano alterato l’assetto economico fra le parti, o
di relazione con i figli, e non come circostanze che sarebbero state
impeditive della emanazione della sentenza di divorzio e
dell’attribuzione dell’assegno, le quali non sono idonee ad incidere
sul giudicato se non nei limiti in cui sono utilizzabili attraverso il
rimedio della revocazione.

Sentenza 16 aprile 2008, n.10007

Sin dalla sentenza 27 gennaio 1997, n. 807, la Corte di Cassazione ha
riconosciuto che “l’evoluzione degli strumenti di indagine sul DNA
consente di effettuare accertamenti anche sul cadavere del presunto
padre”; pronunce successive (Sez. 1^, 3 settembre 2004, n. 17825; Sez.
1^, 8 novembre 2006, n. 23800) non hanno mancato di convalidare
sentenze di Giudici di merito che avevano fatto ricorso, ai fini
dell’accertamento della genitura naturale, all’esame del DNA del
defunto. Nella medesima direzione sono le indicazioni che provengono
dalla Corte europea dei diritti dell’uomo. La Corte di Strasburgo
(sentenza 13 luglio 2006, Jaggi c. Svizzera) – affrontando un caso di
richiesta di prelievo di campioni del DNA dalla salma di un uomo
nell’ambito di un’azione di accertamento della paternita’ – ha
affermato: (a) che il diritto di conoscere la propria discendenza e’
ricompreso nel piu’ ampio diritto all’identita’, elemento
centrale della nozione di vita privata; (b) che l’interesse del
ricorrente (nel caso, nato nel 1939) a conoscere le proprie origini
non puo’ ritenersi venuto meno per il solo fatto dell’eta’
avanzata; (c) che il prelievo di campioni di DNA dalle spoglie del
defunto costituisce misura poco invasiva. Tanto rilevato, si può
affermare che se è’ esatto ricordare che l’ammissione della
consulenza tecnica d’ufficio rientra nei poteri discrezionali del
Giudice del merito (Cass., Sez. 1^, 28 febbraio 2006, n. 4407) e che,
anche nel giudizio per la dichiarazione giudiziale di paternita’
naturale il ricorso alle indagini ematologiche e genetiche e’
rimesso alla valutazione di quel Giudice, il quale puo’ ritenerle
superflue ove abbia gia’ acquisito elementi sufficienti a fondare il
proprio convincimento (Cass., Sez. 1^, 18 aprile 1997, n. 3342; Cass.,
Sez. 1^, 25 febbraio 2002, n. 2749), laddove – come nel caso di specie
– il quadro probatorio si caratterizzi per il fatto che la domanda
giudiziale, pur non manifestamente infondata, sia stata rigettata solo
in riferimento alla non univocita’ e alla discordanza tra gli
elementi acquisiti”, l’avere giudicato ultroneo il ricorso ad una
prova – quella scientifica normalmente destinata a costituire uno
strumento di accertamento della esistenza o della non esistenza del
fatto controverso, per giunta in relazione ad un’azione, la
dichiarazione giudiziale di genitura naturale, volta alla tutela di
diritti fondamentali attinenti allo status – si risolve in un vizio di
motivazione della sentenza impugnata.

Sentenza 07 giugno 2007, n.13363

Costituisce acquisizione pacifica in giurisprudenza che, ove nel
giudizio di primo grado – quale si configura quello dinanzi alla Corte
di Appello funzionalmente competente a riconoscere l’efficacia nello
Stato delle sentenze ecclesiastiche – l’attore si sia costituito oltre
il termine fissato dall’art. 165 c.p.c., comma 1, ed il convenuto non
si sia costituito, deve essere disposta la cancellazione della causa
dal ruolo, ai sensi dell’art. 171 c.p.c., comma 1, con onere della sua
riassunzione entro un anno dal relativo provvedimento.

Sentenza 04 novembre 1996, n.9576

Corte di Cassazione, Sez. I, sentenza 4 novembre 1996, n. 9576 Svolgimento del processo Con sentenza 31 marzo 1992 il Tribunale per i minorenni di Milano respingeva le opposizioni proposte dai genitori M.A. e D.A. vari, e degli zii, F.B.Y. e M.S., avverso il decreto 23 luglio 1991, dichiarativo dello stato di adottabilità delle minori […]

Sentenza 11 febbraio 2008, n.3186

La domanda di divorzio, così come quella di separazione (Cass. 6
marzo 2003, n. 3339), ha un oggetto diverso dalla domanda relativa
alla declaratoria di nullità del matrimonio, sia che questa sia stata
proposta dinanzi ai tribunali ecclesiastici, sia che sia stata
proposta dinanzi al Giudice statuale. Occorre inoltre sottolineare
come la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 4402 del 2001 (alla
quale si è successivamente conformata Cass. 4 marzo 2005, n. 4795)
abbia espressamente affermato che la domanda di divorzio ha causa
petendi e petitum diversi da quelli della domanda di nullità del
matrimonio, cosicchè ove nel giudizio di divorzio le parti non
introducano esplicitamente questioni relative all’esistenza e alla
validità del vincolo – che darebbero luogo a questioni incidenti
sullo status delle persone, e quindi da decidere necessariamente, ai
sensi dell’art. 34 c.p.c., con efficacia di giudicato – l’esistenza e
la validità del matrimonio costituiscono un presupposto della
pronuncia di divorzio, ma non formano oggetto di specifico
accertamento suscettibile di determinare la formazione di un
giudicato. Per questa ragione la proposizione di una domanda di
divorzio, investendo il matrimonio – rapporto e non il matrimonio –
atto, non costituisce ostacolo alla delibabilità delle sentenze
ecclesiastiche di nullità del matrimonio concordatario.

Sentenza 14 febbraio 2008, n.3709

La prova della riserva mentale riguarda uno stato psicologico che
rimane confinato all’interno della personalità del soggetto agente.
Le dichiarazioni dello stesso sono, dunque, il mezzo con cui tale
stato soggettivo, non altrimenti conoscibile, viene esternato e può
essere conosciuto dai terzi. Sotto questo profilo, pertanto, le
dichiarazioni “de relato ex parte actoris” possono costituire elemento
di prova, quando siano idonee a chiarire quale fosse, al momento in
cui sono state rese, l’atteggiamento psicologico del dichiarante. Per
queste ragioni tali testimonianze possono concorrere a determinare il
convincimento del giudice, ove valutate in relazione a circostanze
obiettive e soggettive o ad altre risultanze probatorie che ne
suffraghino il contenuto, specie quando la testimonianza attenga a
comportamenti intimi e riservati delle parti, insuscettibili di
percezione diretta dai testimoni o di indagine tecnica.

Sentenza 20 marzo 2008, n.7472

Negli ordinamenti musulmani – mediante la “Kafalah” – il minore, per
il quale non sia possibile attribuire la custodia ed l’assistenza
(hadana) nell’ambito della propria famiglia legittima, può essere
accolto da due coniugi od anche da un singolo affidatario (kafil), che
si impegnino a mantenerlo, educarlo ed istruirlo, come se fosse un
figlio proprio, fino alla maggiore età, senza però che l’affidato
(makful) entri a far parte, giuridicamente, della famiglia che così
lo accoglie. Nei Paesi di area islamica (nel caso di specie, il
Marocco) la Kafalah viene generalmente disposta, ai sensi delle
rispettive legislazioni, con procedura giudiziaria o previo accordo,
tra affidanti e affidatari, autorizzato da un Giudice, Non può dunque
escludersi, agli effetti del ricongiungimento familiare,
l’equiparabilità della Kafalah islamica all’affidamento, posto che
tra quest’ultima e il modello dell’affidamento nazionale prevalgono,
sulle differenze, i punti in comune, non avendo entrambi tali istituti
effetti legittimanti e non incidendo, sia l’uno che l’altro, sullo
stato civile del minore; essendo anzi la Kafalah, più
dell’affidamento, vicina all’adozione in quanto, mentre l’affidamento
ha natura essenzialmente provvisoria, la Kafalah, ancorché ne sia
ammessa la revoca, si prolunga tendenzialmente a fino alla maggiore
età dell’affidato.