Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

Olir

Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Sentenza 01 ottobre 2002, n.7843

A seguito della sentenza della Corte Costituzionale n. 396 del 1988,
che ha dichiarato l’illeggittimità costituzionale dell’art. 1 della
legge 17 luglio 1890, n. 6972, nella parte in cui non prevede che le
IPAB regionali ed infraregionali, possano continuare a sussistere con
personalità giuridica di diritto privato quando abbiano
effettivamente tutti i requisiti di un’istituzione privata, la Corte
di Cassazione stabilisce che il carattere pubblico di un’istituzione
di assistenza e beneficienza deve essere oggetto di accertamento
giudiziale in base agli ordinari criteri di indagine. Ove risulti
accertata la natura di ente privato dell’IPAB, non si può ritenere
che esso abbia mai avuto natura pubblicistica. Inoltre sono validi, in
linea di principio, i patti per la sospensione del rapporto conclusi
tra i lavoratori e il datore di lavoro, poiché non hanno contenuto in
sè peggiorativo delle condizioni contrattuali e non concretano
rinunzia (alla retribuzione) invalida a norma dell’art. 2113 c.c.,
atteso che la perdita del corrispettivo discende dalla mancata
esecuzione della prestazione

Sentenza 23 aprile 2004, n.7725

L’art. 23 bis del D.L. 30 dicembre 1979 n. 663, convertito in legge 29
febbraio 1980 n. 33, stabilisce che agli istituti, enti, ospedali che
erogano prestazioni del servizio sanitario nazionale, anche in regime
convenzionale, si applica l’art. 7 della legge 11.6.1974 n. 252, il
quale prevede l’esonero dal pagamento dei contributi dovuti alla
Cassa Unica Assegni Familiari, ove detti enti non abbiano fine di
lucro ed assicurino un trattamento per carichi di famiglia non
inferiore a quello previsto per gli assegni familiari dal D.P.R. n.
797/1955. Tale disposizione deve ritenersi operante anche
relativamente agli enti ecclesiastici, quali case di cura gestite da
religiosi. La nozione di imprenditore, ai sensi dell’art. 2082 c.c.,
va intesa in senso oggettivo, dovendosi riconoscere il carattere
imprenditoriale all’attività economica organizzata che sia
ricollegabile ad un dato obiettivo inerente all’attitudine a
conseguire la remunerazione dei fattori produttivi, rimanendo
giuridicamente irrilevante lo scopo di lucro. La decisione del giudice
di merito impugnata, tuttavia, ha privilegiato lo scopo dell’Ente
(citando lo statuto dell’Ente) anziché le caratteristiche
imprenditoriali proprie dell’Istituto di cura, affermando di
conseguenza, in modo logicamente incongruente, che l’attività della
Casa di cura dovesse essere considerata come attività imprenditoriale
priva di fine lucrativo.

Sentenza 04 marzo 2004, n.4435

Al lavoratore è riconosciuto il diritto soggettivo di astenersi dal
lavoro in occasione delle festività infrasettimanali, relative a
ricorrenze sia civili che religiose, tra cui è espressamente compresa
la giornata del 15 agosto, celebrativa dell’Assunzione della Beata
Vergine Maria (ex art. 1, del D.P.R. 28 dicembre 1985 n. 792). In
dette fattispecie, il lavoratore è pertanto legittimato ad astenersi
dalla prestazione lavorativa. Tuttavia, qualora – come nel caso di
specie – la contrattazione collettiva di categoria preveda, in ragione
della particolarità degli esercizi pubblici che possono svolgere la
loro attività anche nei giorni festivi, che la fruizione di tale
festività sia subordinata alle esigenze aziendali, il rapporto tra
norma legale e norma contrattuale deve comunque rispettare la
dicotomia regola-eccezione. La regola generale (di fonte legale) è
rappresentata dell’astensione dal lavoro; l’eccezione (di fonte
contrattuale collettiva) è quella dell’obbligo per il lavoratore di
effettuare la prestazione lavorativa anche nel giorno festivo. In tali
ipotesi, pertanto, l’esistenza di “esigenze aziendali”, prevista dalla
normativa contrattuale collettiva, costituisce il presupposto perché
dall’applicazione della regola si passi all’applicazione
dell’eccezione, cosicchè chi invoca la norma contrattuale, di
eccezione, per paralizzare la norma legale, di riconoscimento in
generale del diritto del lavoratore ad astenersi dalla prestazione
lavorativa, deve provarne i presupposti (nella fattispecie in esame,
il datore di lavoro non ha provveduto a provare la sussistenza delle
suddette esigenze aziendali).

Sentenza 17 maggio 1997, n.4412

L’applicabilità agli enti ecclesiastici esercenti attività
ospedaliera delle norme di diritto privato, non esclude – per quanto
concerne l’organizzazione dei suddetti ospedali – l’applicazione
dell’ordinamento dei servizio ospedalieri ed, in particolare,
dell’art. 9, del D.P.R. 27 marzo 1969, n. 128, concernente le sezioni
autonome degli ospedali.

Sentenza 16 febbraio 2004, n.2915

L’art. 23 bis del D.L. 30 dicembre 1979 n. 663, convertito in legge 29
febbraio 1980 n. 33, stabilisce che agli istituti, enti, ospedali che
erogano prestazioni del servizio sanitario nazionale, anche in regime
convenzionale, si applica l’art. 7 della legge 11.6.1974 n. 252, il
quale prevede l’esonero dal pagamento dei contributi dovuti alla
Cassa Unica Assegni Familiari, ove detti enti non abbiano fine di
lucro ed assicurino un trattamento per carichi di famiglia non
inferiore a quello previsto per gli assegni familiari dal D.P.R. n.
797/1955.
Tale disposizione deve ritenersi operante anche relativamente a quegli
enti ecclesiastici, quali case di cura gestite da religiosi, che –
erogando dietro corrispettivo prestazioni assistenziali – realizzino
utili di gestione, laddove questi ultimi vengano destinati – secondo
quanto stabilito dallo statuto dell’ente stesso – al soddisfacimento
dei fini assistenziali e di beneficenza perseguiti.
Al riguardo occorre, dunque, sottolineare la differenza tra “avanzi di
gestione”, i quali non costituiscono “profitto”, bensì eventuale
superamento tra le “entrate” e le “uscite”, e “fine di lucro”.
L'”utile di gestione” delle case di cura predette costituisce,
infatti, non il fine della Congregazione, ma il mezzo per il
conseguimento delle finalità istituzionali dell’ente,
complessivamente considerato, che – a differenza del comune
imprenditore, il quale è libero di destinare i profitti della sua
attività economica a propria discrezione – deve necessariamente
impiegare tali “profitti” gestionali al soddisfacimento di quei fini
assistenziali e di beneficenza perseguiti, libero soltanto di graduare
le priorità di intervento in tale ambito istituzionale.

Sentenza 12 marzo 2004, n.5131

In tema d’insegnamento presso scuole private legalmente riconosciute,
il possesso del titolo legale di abilitazione all’insegnamento da
parte dei docenti costituisce un requisito di validità dello stesso
contratto di lavoro; ne consegue che l’attività svolta dal docente
privo di abilitazione, benché produttiva di effetti per il tempo in
cui il rapporto ha avuto esecuzione, conformemente alle previsioni
dell’articolo 2126 del cc, non può dar luogo a reintegrazione nel
caso di dedotta illegittimità della risoluzione del rapporto, stante
la nullità dello stesso, né è idonea ad assicurare l’applicazione
dell’articolo 18 della legge 300 del 1970.

Sentenza 21 ottobre 2000, n.13923

L’indennizzo ai soggetti danneggiati da vaccinazioni obbligatorie,
trasfusioni ed emoderivati, di cui alla legge n. 210 del 1992, ha
natura non già risarcitoria, bensì assistenziale in senso lato,
riconducibile agli art. 2 e 32 Cost. ed alle prestazioni poste a
carico dello Stato sociale in ragione del dovere di solidarietà
sociale, tant’è che esso è alternativo alla pretesa risarcitoria
volta ad ottenere l’integrale risarcimento dei danni sofferti in
conseguenza del contagio, ove sussista una colpa delle strutture del
S.s.n.. Pertanto le controversie aventi ad oggetto la spettanza di
tale indennità rientrano in quelle previste dall’art. 442 c.p.c..

Sentenza 05 gennaio 2001, n.97

Un istituto scolastico, gestito da una congregazione religiosa, può
assumere la natura di impresa industriale, e quindi usufruire degli
sgravi contributivi a favore delle imprese industriali operanti nel
Mezzogiorno, se svolge il servizio scolastico non per fini di
religione e di culto ma per fini di lucro – alla cui integrazione può
essere sufficiente l’idoneità almeno tendenziale dei ricavi a
perseguire il pareggio di bilancio – e con organizzazione degli
elementi personali e materiali necessari per il funzionamento del
servizio stesso.

Sentenza 07 novembre 2003, n.16774

L’attività didattica o sanitaria svolta dal religioso, nell’ambito
della propria Congregazione e quale componente di essa, secondo i voti
pronunciati, non costituisce prestazione di attività di lavoro
subordinato ai sensi dell’art. 2094 c.c., soggetta alle leggi dello
Stato italiano, bensì opera di evangelizzazione “religionis causa”
in adempimento dei fini della Congregazione stessa, regolata
esclusivamente dal diritto canonico; detta attività non legittima,
quindi, il religioso alla proposizione di domande dirette ad ottenere
emolumenti, che trovano la loro causa in un rapporto di lavoro
subordinato; né incide, al fine della ammissibilità di tali
richieste, che l’opera prestata abbia avuto luogo presso enti
gestiti direttamente dalla congregazione di appartenenza, svolgenti
attività imprenditoriali, rilevando unicamente la conformità delle
mansioni svolte ai compiti di pertinenza in forza dei voti
pronunciati. La fattispecie tipica del rapporto di lavoro subordinato
è infatti caratterizzata non solo dagli elementi della collaborazione
e della subordinazione, ma anche dell’onerosità e, pertanto, non
ricorre nel caso in cui una determinata attività, ancorché
oggettivamente configurabile quale prestazione di lavoro subordinato,
non sia eseguita con spirito di subordinazione né in vista di
adeguata retribuzione, ma “affectionis vel benevolentiae causa” o
in omaggio a principi di ordine morale o religioso. L’accertamento
della sussistenza o meno di cause oggettive e soggettive
giustificative della gratuità di prestazioni obiettivamente
lavorative – alla cui ammissibilità, rientrando nella sfera
dell’autonomia privata, non si oppone alcun principio di diritto
costituzionale o comune – è rimesso al giudice di merito.

Sentenza 29 aprile 2003, n.12739

In tema di contribuzione alla Cassa Unica per gli assegni familiari,
il beneficio dall’esonero dal pagamento dei contributi è previsto in
favore dei datori di lavoro esercenti istituzionalmente le attività
di erogazione di prestazioni del Servizio Sanitario Nazionale e di
assistenza sociale che – a prescindere dalla natura imprenditoriale –
non abbiano fini di lucro, purché assicurino ai propri dipendenti un
trattamento per carichi di famiglia non inferiore agli assegni
familiari. Ne consegue che, ove una casa di cura gestita da una
congregazione religiosa produca utili di esercizio, viene meno il
presupposto dell’assenza di fini di lucro, senza che rilevi in
contrario la destinazione degli stessi utili al raggiungimento delle
finalità religiose e di culto perseguite dalla Congregazione.