Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

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Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Sentenza 01 marzo 1971, n.32

L’art. 16 della legge 27 maggio 1929, n. 847, recante disposizioni per
l’applicazione del Concordato fra la Santa Sede e l’Italia,
relativamente al matrimonio, è costituzionalmente illegittimo nella
parte in cui stabilisce che la trascrizione del matrimonio può essere
impugnata solo per una delle cause menzionate nell’art. 12 e non anche
perché uno degli sposi fosse, al momento in cui si é determinato a
contrarre il matrimonio in forma concordataria, in stato di
incapacità naturale.

Ordinanza 11 maggio 2006, n.192

E’ infondata la questione di legittimità – sollevata in riferimento
agli artt. 2, 30 e 32 della Costituzione – dell’art. 19, comma 2,
lettera d), del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo
unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione
e norme sulla condizione dello straniero), nella parte in cui prevede
che il decreto di espulsione debba essere eseguito anche nei confronti
dello straniero extracomunitario legato da una relazione affettiva con
una cittadina italiana, in stato di gravidanza, impedendo così a
costui di assicurare alla donna stessa e al nascituro assistenza
materiale e morale. Detto articolo, che prevede una temporanea
sospensione del potere di espulsione (o di respingimento) «delle
donne in stato di gravidanza o nei sei mesi successivi alla nascita
del figlio cui provvedono», è stato applicato – per effetto dalla
sentenza n. 376 del 2000 – anche al rispettivo marito convivente; ma
presuppone in questa ipotesi una certezza dei rapporti familiari che
non è dato riscontrare nel caso di una relazione di fatto.
Conseguentemente, la questione di legittimità costituzionale, sebbene
prospettata in termini di tutela della famiglia di fatto e dei
conseguenti diritti-doveri, pone in realtà in comparazione
trattamenti riservati a situazioni profondamente diverse – e cioè
quella del marito di cittadina extracomunitaria incinta e quella
dell’extracomunitario che afferma di essere padre naturale di un
nascituro – e, quindi, come tali non irragionevolmente disciplinate
in modo diverso dal legislatore.

Sentenza 28 aprile 2006, n.173

L’art. 4, comma 1, della legge della Regione Piemonte 24 dicembre
2004, n. 39 (Costituzione dell’Azienda Sanitaria Ospedaliera “Ordine
Mauriziano di Torino”), che dispone l’attribuzione, a titolo non
oneroso, alle Aziende sanitarie locali territorialmente competenti,
dei “beni immobili sedi dei presídi ospedalieri di Lanzo Torinese e
Valenza”, è illegittimo per contrasto con l’art. 117, secondo comma,
lettera l), della Costituzione. I beni cui la norma impugnata fa
riferimento, già appartenenti all’ente ospedaliero Ordine
Mauriziano, sono stati infatti attribuiti dall’art. 2, comma 2, del
decreto-legge n. 277 del 2004, convertito in legge, con modificazioni,
dall’art. 1 della legge n. 4 del 2005, alla Fondazione Ordine
Mauriziano, costituita con l’art. 2, comma 1, dello stesso
decreto-legge, con lo scopo, tra l’altro, “di gestire il patrimonio
e i beni trasferiti ai sensi del comma 2, nonché di operare per il
risanamento finanziario dell’Ente […] anche mediante la
dismissione dei beni del patrimonio disponibile trasferito” (art. 2,
comma 4). Ciò posto, ne discende che la norma regionale impugnata,
operando un diretto trasferimento di beni da una persona giuridica del
tutto estranea all’ordinamento sanitario regionale – quale la
Fondazione Ordine Mauriziano – ad una Azienda sanitaria locale,
incide sul patrimonio della persona stessa e rientra quindi nella
materia dell’ordinamento civile, riservata allo Stato, in via
esclusiva, dall’art. 117, secondo comma, lettera l), della
Costituzione.

Ordinanza 24 marzo 2006, n.127

Il ricorso per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato,
relativo all’esposizione del crocifisso nelle aule giudiziarie,
previsto dalla circolare del Ministro di grazia e giustizia – Div.
III del 29 maggio 1926, n. 2134/1867, per “illegittima invasione della
sfera di competenza del potere giurisdizionale da parte del potere
amministrativo”, è inammmissibile a norma dell’art. 37 della legge
11 marzo 1953, n. 87. Manca infatti, sia sotto il profilo soggettivo
che sotto quello oggettivo, la materia di un conflitto costituzionale
di attribuzione, considerato che da un lato un organo giudiziario è,
a causa del carattere diffuso del potere cui appartiene, legittimato a
proporre conflitto tra poteri dello Stato, in quanto “esso sia
attualmente investito del processo, in relazione al quale soltanto i
singoli giudici si configurano come organi competenti a dichiarare
definitivamente la volontà del potere cui appartengono”, e
dall’altro, che tale ricorso per conflitto – come risulta dalla sua
complessiva formulazione – non prospetta in realtà alcuna menomazione
delle attribuzioni costituzionalmente garantite agli appartenenti
all’ordine giudiziario, ma esprime solo il personale disagio di un
“lavoratore dipendente del Ministro di Giustizia” per lo stato
dell’ambiente nel quale deve svolgere la sua attività.

Sentenza 25 novembre 2005, n.425

E’ infondata la questione di legittimità costituzionale, sollevata in
relazione agli artt. 2, 3 e 32 della Costituzione, dell’art. 28,
comma 7, della legge 4 maggio 1983, n. 184 (Diritto del minore ad una
famiglia), nel testo sostituito dall’art. 177, comma 2, del decreto
legislativo 30 giugno 2003, n. 196 (Codice in materia di protezione
dei dati personali), «nella parte in cui esclude la possibilità di
autorizzare l’adottato all’accesso alle informazioni sulle origini
senza avere previamente verificato la persistenza della volontà di
non essere nominata da parte della madre biologica». La norma
impugnata mira infatti a tutelare la gestante che – in situazioni
particolarmente difficili dal punto di vista personale, economico o
sociale – abbia deciso di non tenere con sé il bambino, offrendole
la possibilità di partorire in una struttura sanitaria appropriata e
di mantenere al contempo l’anonimato nella conseguente dichiarazione
di nascita. La scelta della gestante in difficoltà, che la legge
vuole favorire per proteggere tanto quest’ultima quanto il nascituro,
sarebbe del resto resa oltremodo difficile se la decisione di
partorire in una struttura medica adeguata, rimanendo anonima, potesse
comportare per la donna – in base alla stessa norma – il rischio di
essere, in un imprecisato futuro e su richiesta di un figlio mai
conosciuto e già adulto, interpellata dall’autorità giudiziaria
per decidere se confermare o revocare tale originaria dichiarazione di
volontà.

Ordinanza 29 luglio 2005, n.347

E’ manifestamente infondata la questione di legittimità
costituzionale dell’art. 29-bis, introdotto dalla legge 31 dicembre
1998, n. 476, e degli artt. 31, secondo comma, 35, primo comma, 36,
primo e secondo comma, e 44 della legge 4 maggio 1983, n. 184 (Diritto
del minore ad una famiglia), in riferimento agli articoli 2, 3 e 30
della Costituzione. Deve pertanto ritenersi legittimo il rilascio
dell’idoneità all’adozione internazionale a persona singola nei casi
particolari indicati dall’art. 44 della suddetta legge n. 184/1983,
compresa l’ipotesi – di cui alla lett. d) – di “constatata
impossibilità di affidamento preadottivo” .

Sentenza 18 luglio 2002, n.154

Se trata de un Recurso de amparo contra dos Sentencias, ambas de fecha
27-06-1997, dictadas por la Sala de lo Penal del Tribunal Supremo, la
primera de ellas estima el recurso de casación interpuesto por el
Ministerio Fiscal contra la Sentencia de la Audiencia Provincial de
Huesca de 20-11-1996, que había absuelto a los demandantes de amparo,
padres de un menor de edad de 13 años, muerto a causa de una
transfusión sanguínea realizada tardíamente – a la que se habían
opuesto de manera reiterada, tanto los padres como el propio hijo, por
motivos religiosos al pertenecer la familia a los Testigos de Jehová
– ,como autores responsables de un delito de homicidio por omisión y
la segunda los condena como autores responsables de un delito de
homicidio, con la concurrencia, con el carácter de muy cualificada,
de la atenuante de obcecación o estado pasional, a la pena de dos
años y seis meses de prisión. En opinión del Tribunal
Constitucional, existe una vulneración del derecho fundamental a la
libertad de conciencia y religiosa (analiza su contenido y límites)de
los padres, titulares de la patria potestad, ya que no cabía
exigirles una actuación radicalmente contraria a sus convicciones
religiosas, esto es, la posición de garantes de los padres no se
extendía al cumplimiento de la exigencia de una actitud suasoria
sobre el hijo a fin de que éste consintiera la realización de la
transfusicón. Otorga así el Tribunal el amparo solicitado. Respecto
al propio menor de edad, se cuestiona el mismo Tribunal si el menor es
titular del derecho de libertad de conciencia y religiosa; el
significado constitucional de la oposición del menor de edad, de 13
años, al tratamiento médico prescrito, y finalmente, qué relevancia
podía tener dicha oposición del menor.

Sentenza 15 luglio 2005, n.279

In materia di istruzione le norme generali, di cui all’art. 117.
comma II, lett. n), Cost., sono quelle sorrette, in relazione al loro
contenuto, da esigenze unitarie e, quindi, applicabili indistintamente
al di là dell’ambito propriamente regionale. Tali norme – così
intese – si differenziano, nell’ambito della stessa materia, dai
principi fondamentali (ex art. 117, comma III, Cost.) i quali, pur
sorretti da esigenze unitarie, non esauriscono in se stessi la loro
operatività, ma informano, diversamente dalle prime, altre norme,
più o meno numerose. Ciò premesso, si deve pertanto ritenere
infondata la questione di legittimità sollevata in relazione
all’art. 7, commi 1, 2, primo periodo, e 4, primo periodo, ed
all’art. 10, commi 1, 2, primo periodo, e 4, primo periodo, del
decreto legislativo n. 59 del 2004, i quali stabiliscono –
rispettivamente per la scuola primaria e la scuola secondaria –
l’orario annuale delle lezioni, l’orario annuale delle ulteriori
attività educative e didattiche rimesse all’organizzazione delle
istituzioni scolastiche e l’orario relativo alla mensa ed al dopo
mensa, posto che dette norme devono essere intese come espressive di
livelli minimi di monte-ore di insegnamento validi per l’intero
territorio nazionale, ferma restando la possibilità per ciascuna
regione (e per le singole istituzioni scolastiche) di incrementare,
senza oneri per lo Stato, le quote di rispettiva competenza.
Analogamente deve ritenersi infondata la questione di legittimità
sollevata, con riferimento all’art. 117, comma terzo, della
Costituzione ed al principio di leale collaborazione, degli artt. 7,
comma 4, secondo periodo, e 10, comma 4, secondo periodo, del decreto
legislativo in esame, le cui disposizioni, di identico contenuto,
prevedono – rispettivamente per la scuola primaria e per quella
secondaria – che le istituzioni scolastiche, per lo svolgimento
delle attività e degli insegnamenti opzionali che richiedano una
specifica professionalità non riconducibile al profilo professionale
dei docenti della scuola primaria o secondaria, stipulino contratti di
prestazione d’opera con esperti in possesso di titoli definiti con
decreto del Ministro dell’istruzione, dell’università e della
ricerca, di concerto con il Ministro per la funzione pubblica. Al
riguardo, infatti, è assorbente il rilievo che la scelta della
tipologia contrattuale da utilizzare per gli incarichi di insegnamento
facoltativo da affidare agli esperti e l’individuazione dei titoli
richiesti ai medesimi esperti sono funzioni sorrette da evidenti
esigenze di unitarietà di disciplina sull’intero territorio
nazionale, cosicché le disposizioni impugnate vanno senz’altro
qualificate come norme generali sull’istruzione, in quanto tali
appartenenti alla competenza esclusiva dello Stato. Devono inoltre
ritenersi infondate le censure di illegittimità relative alle
previsioni istitutive la figura del cosiddetto tutor,considerato che
la definizione dei compiti e dell’impegno orario del personale
docente, dipendente dallo Stato, rientra sicuramente nella competenza
statale esclusiva di cui all’art. 117, comma secondo, lettera g),
della Costituzione, trattandosi di materia attinente al rapporto di
lavoro del personale statale. Da ultimo, gli artt. 2, comma 1, 12,
comma 1, ultimo periodo, e 13, comma 1, secondo periodo, del decreto
in questione fissano i limiti minimi di età per l’iscrizione alla
scuola dell’infanzia ed alla scuola primaria; in particolare,
l’art. 2 disciplina l’accesso – a regime – alla scuola
dell’infanzia; l’art. 12 regola l’accesso alla medesima scuola
dell’infanzia nella fase transitoria di sperimentazione, prevista
dalla legge delega, avente inizio con l’anno scolastico 2003-2004 e
destinata a proseguire fino all’anno 2006, prevedendo la
possibilità di una graduale anticipazione dell’età minima per
l’iscrizione fino a giungere al limite temporale indicato all’art.
2. L’ultimo periodo del primo comma affida infine al Ministro
dell’istruzione, dell’università e della ricerca il compito di
modulare le anticipazioni, «sentita l’Associazione nazionale dei
comuni d’Italia (ANCI)» ed analogamente dispone il secondo periodo
del comma 1 del successivo art. 13, con riferimento alla scuola
primaria. Al riguardo, deve tuttavia ritenersi violato il principio di
leale collaborazione, in quanto in materia di istruzione il naturale
interlocutore dello Stato deve considerarsi essenzialmente la Regione,
posto che gli altri enti locali sono privi di competenza legislativa.
La norma suddette appaiono pertanto non rispettose, sotto tale
profilo, del principio di leale collaborazione e vanno dunque
ricondotte a legittimità costituzionale, sostituendo alla prevista
partecipazione consultiva dell’ANCI quella della Conferenza
unificata Stato-Regioni. Deve invece ritenersi infondata la questione
di legittimità costituzionale relativa agli artt. 12, comma 2, 13,
comma 3, e 14, commi 2 e 4, i quali dettano disposizioni transitorie,
relativamente all’assetto pedagogico, didattico ed organizzativo
della scuola dell’infanzia, della scuola primaria e della scuola
secondaria di secondo grado, fino all’emanazione del regolamento
governativo previsto dall’art. 7, comma 1, della legge di delega. I
regolamenti previsti dall’art. 7, comma 1, della legge n. 53 del
2003 riguardano infatti la determinazione di livelli essenziali della
prestazione statale in materia di assetto pedagogico, didattico e
organizzativo e sono perciò riconducibili alla competenza statale
esclusiva di cui all’art. 117, comma secondo, lettera m), della
Costituzione. Le norme impugnate, che a tali regolamenti fanno
riferimento, non ledono pertanto alcuna competenza regionale né
contrastano con il principio di leale collaborazione. Analogamente
deve concludersi per quanto concerne il comma 5, dell’art. 14, il
quale dispone che «ai fini dell’espletamento dell’orario di
servizio obbligatorio, il personale docente interessato ad una
diminuzione del suo attuale orario di cattedra viene utilizzato per le
finalità e per le attività educative e didattiche individuate,
rispettivamente, dall’articolo 9 e dall’articolo 10». Al riguardo
è infatti decisivo nel merito il rilievo che la norma concerne in via
diretta l’utilizzazione di personale docente statale, la cui
disciplina rientra senza alcun dubbio nella competenza esclusiva dello
Stato di cui all’art. 117, comma secondo, lettera g), della
Costituzione (organizzazione amministrativa dello Stato). Da ultimo,
deve invece ritenersi fondata la questione sollevata con riferimento
all’art. 15, comma 1, secondo periodo, che, al fine di realizzare le
attività educative di cui agli artt. 7, commi 1, 2 e 3, e 10, commi
1, 2 e 3, del medesimo decreto legislativo, affida la possibilità di
attivare incrementi di posti per le attività di tempo pieno e di
tempo prolungato nell’ambito dell’organico del personale docente,
al decreto del Ministro dell’istruzione, dell’università e della
ricerca, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze,
di cui all’art. 22, comma 2, della legge 28 dicembre 2001, n. 448.
Il rispetto del principio di leale collaborazione impone infatti che
nell’adozione delle scelte relative vengano coinvolte anche le
regioni, quanto meno nella forma – già ben nota all’ordinamento
– della consultazione dei competenti organi statali con la
Conferenza unificata Stato-Regioni. La norma impugnata va perciò
dichiarata illegittima nella parte in cui non prevede che il decreto
ex art. 22, comma 2, della legge 28 dicembre 2001, n. 448, sia
adottato dal Ministro dell’istruzione, dell’università e della
ricerca, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze,
sentita la Conferenza unificata Stato-Regioni.

Sentenza 22 luglio 2005, n.300

Corte costituzionale. Sentenza n. 300 del 22 luglio 2005: “Spazi di intervento delle regioni in materia di immigrazione e condizione giuridica degli stranieri”. LA CORTE COSTITUZIONALE composta dai signori: Presidente: Fernanda CONTRI; Giudici: Guido NEPPI MODONA, Piero Alberto CAPOTOSTI, Annibale MARINI, Franco BILE, Giovanni Maria FLICK, Francesco AMIRANTE, Ugo DE SIERVO, Romano VACCARELLA, Paolo MADDALENA, […]