Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

Olir

Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Sentenza 02 febbraio 1982, n.16

L’art. 12 della legge 27 maggio 1929, n. 847 (Disposizioni per
l’applicazione del Concordato dell’11 febbraio 1929 tra la Santa Sede
e l’Italia, nella parte relativa al matrimonio), è costituzionalmente
illegittimo nella parte in cui non dispone che non si faccia luogo
alla trascrizione anche nel caso di matrimonio canonico contratto da
minore infrasedicenne o da minore che abbia compiuto gli anni sedici
ma non sia stato ammesso al matrimonio ai sensi dell’art. 84 del
codice civile. E’ costituzionalmente illegittimo l’ultimo comma
dell’art. 7 della legge 27 maggio 1929, n. 847 (Disposizioni per
l’applicazione del Concordato dell’11 febbraio 1929 tra la Santa Sede
e l’Italia, nella parte relativa al matrimonio), nella parte in cui
non dispone che l’autorità giudiziaria decida sull’opposizione anche
quando questa sia fondata sulla causa indicata nell’art. 84 del codice
civile.

Sentenza 08 maggio 2009, n.140

La convivenza more uxorio non può essere assimilata al vincolo
coniugale per desumerne l’esigenza costituzionale di una parità di
trattamento. Infatti, mentre il matrimonio forma oggetto della
specifica previsione contenuta nell’art. 29 Cost., che lo riconosce
elemento fondante della famiglia come società naturale, il rapporto
di convivenza assume anch’esso rilevanza costituzionale, ma
nell’ambito della protezione dei diritti inviolabili dell’uomo nelle
formazioni sociali garantita dall’art. 2 della Costituzione. Tali
diversità, senza escludere la riconosciuta rilevanza giuridica della
convivenza di fatto, valgono pertanto a giustificare che la legge
possa riservare all’una e all’altra situazione un trattamento non
omogeneo (nel caso di specie, la Suprema Corte ha dichiarato non
fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 384,
primo comma, del codice penale, sollevata, in riferimento agli
articoli 2, 3 e 29 della Costituzione).

Sentenza 24 luglio 2009, n.236

E’ costituzionalmente illegittimo l’art. 2, comma 434, della legge
24 dicembre 2007, n. 244 (Disposizioni per la formazione del bilancio
annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2008), nella
parte relativa ai professori universitari per i quali sia stato
disposto il collocamento fuori ruolo con formale provvedimento
amministrativo e che abbiano iniziato il corso del relativo periodo.
La contrazione del periodo di fuori ruolo, già in corso di
svolgimento, operata dalla norma censurata, riguarda infatti una
posizione giuridica concentrata nell’arco di un triennio, interessa
una categoria di docenti numericamente ristretta, non produce
significative ricadute sulla finanza pubblica, non risponde allo scopo
di salvaguardare equilibri di bilancio o altri aspetti di pubblico
interesse e neppure può definirsi funzionale all’esigenza di
ricambio generazionale dei docenti universitari, ove si consideri che
essi, con l’inizio del fuori ruolo, perdono la titolarità della
cattedra che rimane vacante. Il sacrificio imposto ai docenti
interessati, che già si trovano nello stato di fuori ruolo, dunque,
si rivela ingiustificato e perciò irragionevole, traducendosi nella
violazione del legittimo affidamento – derivante da un formale
provvedimento amministrativo – riposto nella possibilità di portare
a termine, nel tempo stabilito dalla legge, le funzioni loro conferite
e, quindi, nella stabilità della posizione giuridica acquisita.

Sentenza 07 febbraio 1978, n.16

Corte Costituzionale. Sentenza 7 febbraio 1978, n. 16: “Inammissibilità del referendum abrogativo dell’art. 1 della legge n. 810/1929, limitatamente agli artt. 1, 10, 17 e 23 del Trattato e all’intero contenuto del Concordato”. LA CORTE COSTITUZIONALE composta dai signori Giudici: Prof. Paolo ROSSI, Presidente Dott. Luigi OGGIONI Avv. Leonetto AMADEI Prof. Edoardo VOLTERRA Prof. Guido […]

Sentenza 27 marzo 2009, n.86

Ai sensi dell’art. 85 del d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124 (Testo unico
delle disposizioni per l’assicurazione obbligatoria contro gli
infortuni sul lavoro e le malattie professionali), mentre la morte del
coniuge per infortunio comporta, in presenza di figli legittimi,
l’attribuzione della rendita al superstite nella misura del cinquanta
per cento ed a ciascuno dei figli nella misura del venti per cento, la
morte per infortunio di colui che non è coniugato ed ha figli
naturali riconosciuti non comporta l’attribuzione di alcuna rendita
per infortunio al genitore superstite, spettando invece ai figli il
venti per cento. E’ vero dunque che i figli, legittimi o naturali
riconosciuti, godono – in caso di infortunio mortale del loro
genitore – della rendita infortunistica nella stessa misura, ma
sussisite tuttavia una disparità di trattamento derivante dal fatto
che solo i figli legittimi, e non anche quelli naturali, possono
godere di quel plus di assistenza che deriva dall’attribuzione al
genitore superstite del cinquanta per cento della rendita. Infatti il
minore, pur trovandosi, ai fini della determinazione della misura
della rendita infortunistica, in una condizione analoga a quella di
chi ha perso entrambi i genitori – non essendo destinatario di alcun
beneficio economico, neppure indiretto, a tali fini, per la
sopravvivenza dell’altro genitore, cui non spetta, in quanto non
coniugato, alcuna rendita – ha diritto solo al venti per cento di
essa, e non anche al quaranta per cento spettante agli orfani di
entrambi i genitori. Pertanto, deve ritenersi costituzionalmente
illegittimo l’art. 85, primo comma, numero 2), del d.P.R. n. 1124 del
1965, nella parte in cui, nel disporre che, nel caso di infortunio
mortale dell’assicurato, agli orfani di entrambi i genitori spetta il
quaranta per cento della rendita, esclude che essa spetti nella stessa
misura anche all’orfano di un solo genitore naturale.

Sentenza 08 maggio 2009, n.151

E’costituzionalmente illegittimo, limitatamente alle parole «ad un
unico e contemporaneo impianto, comunque non superiore a tre», l’art.
14, comma 2, della Legge 19 febbraio 2004, n. 40
[https://www.olir.it/ricerca/index.php?Form_Document=1026] (Norme in
materia di procreazione medicalmente assistita). La previsione della
creazione di un numero di embrioni non superiore a tre, in assenza di
ogni considerazione delle condizioni soggettive della donna che, di
volta in volta, si sottopone alla procedura di procreazione
medicalmente assistita, si pone infatti in contrasto con l’art. 3
Cost. sotto il duplice profilo del principio di ragionevolezza e di
quello di uguaglianza; nonché con l’art. 32 Cost., per il pregiudizio
alla salute della donna, ed eventualmente del feto, ad esso connesso.
Le raggiunte conclusioni, che introducono una deroga al principio
generale di divieto di crioconservazione di cui al comma 1 dell’art.
14, quale logica conseguenza della caducazione nei limiti indicati del
comma 2, comportano inoltre la declaratoria di incostituzionalità del
comma 3, dell’art. 14 nella parte in cui esso non prevede che il
trasferimento degli embrioni, da realizzare non appena possibile,
debba essere effettuato senza pregiudizio della salute della donna.

Sentenza 07 novembre 2007, n.235/2007

_Vulneración del derecho a la libre expresión: sanción penal de la
difusión de ideas o doctrinas que nieguen o justifiquen delitos de
genocidio. Nulidad parcial e interpretación de precepto legal. Votos
particulares._
El Tribunal Constitucional ha decidido estimar parcialmente la
presente cuestión de inconstitucionalidad, y en consecuencia:
1.º Declarar inconstitucional y nula la inclusión de la expresión
«nieguen o» en el primer inciso artículo 607.2 del Código penal.
2.º Declarar que no es inconstitucional el primer inciso del
artículo 607.2 del Código penal que castiga la difusión de ideas o
doctrinas tendentes a justificar un delito de genocidio, interpretado
en los términos del fundamento jurídico 9 de esta Sentencia.

Sentenza 02 febbraio 1982, n.18

L’art. 17, della legge 27 maggio 1929, n. 847 (Disposizioni per
l’applicazione del Concordato dell’11 febbraio 1929 tra la Santa Sede
e l’Italia, nella parte relativa al matrimonio), è illegittimo nella
parte in cui non prevede che alla Corte d’appello, all’atto di rendere
esecutiva la sentenza del tribunale ecclesiastico, che pronuncia la
nullità del matrimonio, spetta accertare che nel procedimento innanzi
ai tribunali ecclesiastici sia stato assicurato alle parti il diritto
di agire e resistere in giudizio a difesa dei propri diritti, e che la
sentenza medesima non contenga disposizioni contrarie all’ordine
pubblico italiano; nonchè nella parte in cui le suddette norme
prevedono che la Corte d’appello possa rendere esecutivo agli effetti
civili il provvedimento ecclesiastico, col quale é accordata la
dispensa dal matrimonio rato e non consumato, e ordinare l’annotazione
nei registri dello stato civile a margine dell’atto di matrimonio.

Sentenza 13 febbraio 2009, n.38

Il carattere incidentale della questione di costituzionalità
presuppone che il petitum del giudizio, nel corso del quale
quest’ultima viene sollevata, non coincida con la proposizione della
questione stessa (ex multis, sentenza n. 84 del 2006). Il giudizio a
quo deve infatti avere, da un lato, un petitum separato e distinto
dalla questione di costituzionalità sul quale il giudice remittente
sia legittimamente chiamato a decidere; e dall’altro, un suo
autonomo svolgimento, nel senso di poter essere indirizzato ad una
propria conclusione, al di fuori della questione di legittimità
costituzionale il cui insorgere è soltanto eventuale (nel caso di
specie, il giudice delle leggi ha dichiarato inammissibile la
questione di legittimità costituzionale della L.R. Emilia Romagna 24
aprile 1995, n. 52
[https://www.olir.it/ricerca/index.php?Form_Document=4907], sollevata
dal Tribunale amministrativo regionale per l’Emilia-Romagna, in
riferimento all’art. 33, primo, secondo e terzo comma, e all’art.
117, primo comma, della Costituzione, nel testo anteriore alla legge
costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, ritenendo che tale questione
esaurisse il petitum del giudizio principale, con conseguente mancanza
del carattere incidentale della stessa).

Sentenza 29 luglio 2008, n.308

E’ infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art.
155-quater, primo comma, del codice civile, introdotto dall’art. 1,
comma 2, della legge 8 febbraio 2006, n. 54 (Disposizioni in materia
di separazione dei genitori e affidamento condiviso dei figli), anche
in combinato disposto con l’art. 4 della stessa legge, nella parte in
cui prevede la revoca automatica dell’assegnazione della casa
familiare nel caso in cui l’assegnatario conviva more uxorio o
contragga nuovo matrimonio. Dall’attuale contesto normativo e
giurisprudenziale emerge, infatti, il rilievo che non solo
l’assegnazione della casa familiare, ma anche la cessazione della
stessa, è subordinata, pur nel silenzio della legge, ad una
valutazione, da parte del giudice, di rispondenza all’interesse della
prole. Ne deriva che l’art. 155-quater cod. civ., ove interpretato,
sulla base del dato letterale, nel senso che la convivenza more uxorio
o il nuovo matrimonio dell’assegnatario della casa sono circostanze
idonee, di per se stesse, a determinare la cessazione
dell’assegnazione, non è coerente con i fini di tutela della prole,
per i quale l’istituto è sorto. La coerenza della disciplina e la sua
costituzionalità possono essere recuperate invece ove la normativa
sia interpretata nel senso che l’assegnazione della casa coniugale non
venga meno di diritto al verificarsi degli eventi di cui si tratta
(instaurazione di una convivenza di fatto, nuovo matrimonio), ma che
la decadenza dalla stessa sia subordinata ad un giudizio di
conformità all’interesse del minore.