Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

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Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Sentenza 24 marzo 2016, n.63

Sono fondate le questioni di legittimità costituzionale aventi
ad oggetto i commi 2, 2-bis, lettere a) e b), e 2-quater,
dell’art. 70 della legge regionale Lombardia n. 12 del 2005,
come modificati dall’art. 1, comma 1, lettera b), della legge
regionale n. 2 del 2015, per violazione degli artt. 3, 8, 19 e 117,
secondo comma, lettera c), della Costituzione.
In virtù
delle modifiche apportate dalla legge regionale n. 2 del 2015, la
legge regionale n. 12 del 2005, sul governo del territorio, nel capo
dedicato alla realizzazione di edifici di culto e di attrezzature
destinate a servizi religiosi (artt. 70-73), distingue tre ordini di
destinatari: gli enti della Chiesa cattolica (art. 70, comma 1); gli
enti delle altre confessioni religiose con le quali lo Stato abbia
già approvato con legge un’intesa (art. 70, comma 2); gli
enti di tutte le altre confessioni religiose (art. 70, comma 2-bis). A
questa terza categoria di enti, collegati alle confessioni
“senza intesa”, i citati artt. 70-73 sono applicabili solo
a condizione che sussistano i seguenti requisiti: «a) presenza
diffusa, organizzata e consistente a livello territoriale e un
significativo insediamento nell’ambito del comune nel quale
vengono effettuati gli interventi disciplinati dal presente capo; b) i
relativi statuti esprim[a]no il carattere religioso delle loro
finalità istituzionali e il rispetto dei principi e dei valori
della Costituzione» (art. 70, comma 2 bis). In virtù del
comma 2-quater dell’art. 70, la valutazione di tali requisiti
è obbligatoriamente rimessa al vaglio preventivo,
ancorché non vincolante, di una consulta regionale, da
istituirsi e nominarsi con provvedimento della Giunta regionale della
Lombardia.
Ciò rilevato, la Regione è titolata,
nel governare la composizione dei diversi interessi che insistono sul
territorio, a dedicare specifiche disposizioni per la programmazione e
realizzazione di luoghi di culto;  viceversa, essa esorbita dalle
sue competenze, entrando in un ambito nel quale sussistono forti e
qualificate esigenze di eguaglianza, se, ai fini
dell’applicabilità di tali disposizioni, impone requisiti
differenziati, e più stringenti, per le sole confessioni per le
quali non sia stata stipulata e approvata con legge un’intesa ai
sensi dell’art. 8, terzo comma, della Costituzione. Del resto la
giurisprudenza della Corte adita è costante
nell’affermare che il legislatore non può operare
discriminazioni tra confessioni religiose in base alla sola
circostanza che esse abbiano o non abbiano regolato i loro rapporti
con lo Stato tramite accordi o intese (sentenze n. 346 del 2002 e n.
195 del 1993), posto che Il libero esercizio del culto è un
aspetto essenziale della libertà di religione (art. 19) ed
è, pertanto, riconosciuto egualmente a tutti e a tutte le
confessioni religiose (art. 8, primo e secondo comma).
Per
queste ragioni, deve essere dichiarata l’illegittimità
costituzionale dell’art. 70, commi 2-bis, sia nelle lettere a) e
b), sia nella parte dell’alinea che le introduce (vale a dire,
nelle parole «che presentano i seguenti requisiti:»), e
2-quater, della legge reg. Lombardia n. 12 del 2005.

Sentenza 10 marzo 2016, n.52

Spetta al Consiglio dei Ministri valutare l'opportunità di
avviare trattative con una determinata associazione, al fine di
addivenire, in esito ad esse, alla elaborazione bilaterale di una
speciale disciplina dei reciproci rapporti (ex art. 8, comma 3 della
Costituzione). Di tale decisione – e, in particolare, per quello che
qui interessa ovvero della decisione di non avviare le trattative – il
Governo può essere chiamato a rispondere politicamente di
fronte al Parlamento, ma non in sede giudiziaria. Nel caso di specie,
non spettava perciò alla Corte di Cassazione, Sezioni Unite
Civili, affermare la sindacabilità di tale decisione ad opera
dei giudici comuni.


La Redazione di OLIR.it ringrazia per
la tempestiva segnalazione del documento Mathia Benassuti


Comunicato Stampa: Sintesi della
sentenza relativa al conflitto n. 5 del 2014, proposto dal Governo
avverso la sentenza delle Sezioni Unite Civili della Corte di
Cassazione n. 16305 del 2013
[fonte:
www.cortecostituzionale.it]


In OLIR.it
Corte di
Cassazione, Sezioni Unite Civili, sentenza 23 giugno 2013, n.
16305

Corte
Costituzionale, ordinanza17 marzo 2015, n. 40

Sentenza 09 ottobre 2015, n.195

Il legislatore ha introdotto (con legge 1° aprile 1999, n. 91,
recante «Disposizioni in materia di prelievi e di trapianti di
organi e di tessuti»), ai fini della dichiarazione di
volontà in tema di donazione di organi e tessuti post mortem,
la procedura della notificazione e del cosiddetto silenzio-assenso,
che prevede la notificazione, a tutti i cittadini, della richiesta di
manifestare la propria volontà, con il contestuale avviso che
la mancata risposta sarà intesa come assenso. Al fine di
favorire la promozione della cultura della donazione degli organi, il
legislatore statale ha poi introdotto – a fianco di quella
appena descritta – una procedura semplificata, da svolgersi
dinanzi all’ufficiale dell’anagrafe, al momento del
rilascio o del rinnovo del documento d’identità (decreto
del Ministro della salute dell’11 marzo 2008, recante
«Integrazione del decreto 8 aprile 2000 sulla ricezione delle
dichiarazioni di volontà dei cittadini circa la donazione di
organi a scopo di trapianto»). L’impugnata legge reg.
Calabria, prevedendo la competenza dell’ufficiale
dell’anagrafe a ricevere e trasmettere le dichiarazioni di
volontà in tema di donazione di organi e tessuti post mortem,
riproduce nella sostanza una disciplina già prevista a livello
statale, invadendo la competenza legislativa esclusiva dello Stato in
materia di «anagrafi» (art. 117, secondo comma, lettera i,
Cost.) e di «ordinamento e organizzazione amministrativa dello
Stato e degli enti pubblici nazionali» (art. 117, secondo comma,
lettera g, Cost.). A prescindere infatti dalla conformità o
difformità della legge regionale alla legge statale, «la
novazione della fonte con intrusione negli ambiti di competenza
esclusiva statale costituisce causa di illegittimità della
norma» regionale (ex plurimis, sentenze n. 35 del 2011 e n. 26
del 2005). La legge regionale che pur si limiti sostanzialmente a
ripetere il contenuto della disciplina statale determina la violazione
dei parametri invocati, derivando la sua illegittimità
costituzionale non dal modo in cui ha disciplinato, ma dal fatto
stesso di aver disciplinato una materia di competenza legislativa
esclusiva dello Stato.

Sentenza 05 novembre 2015, n.221

E' infondata la questione di legittimità costituzionale
dell’art. 1, comma 1, della legge 14 aprile 1982, n. 164 (Norme
in materia di rettificazione di attribuzione di sesso), sollevata, in
riferimento agli artt. 2, 3, 32, 117, primo comma, della Costituzione,
quest’ultimo in relazione all’art. 8 della Convenzione
europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle
libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950,
ratificata e resa esecutiva con la legge 4 agosto 1955, n. 848.
L’esclusione del carattere necessario dell’intervento
chirurgico ai fini della rettificazione anagrafica appare infatti il
corollario di un’impostazione che − in coerenza con
supremi valori costituzionali − rimette al singolo la scelta
delle modalità attraverso le quali realizzare, con
l’assistenza del medico e di altri specialisti, il proprio
percorso di transizione, il quale deve comunque riguardare gli aspetti
psicologici, comportamentali e fisici che concorrono a comporre
l’identità di genere. L’ampiezza del dato letterale
dell’art. 1, comma 1, della legge n. 164 del 1982 e la mancanza
di rigide griglie normative sulla tipologia dei trattamenti rispondono
all’irriducibile varietà delle singole situazioni
soggettive. Rimane tuttavia ineludibile un rigoroso accertamento
giudiziale delle modalità attraverso le quali il cambiamento
è avvenuto e del suo carattere definitivo. Rispetto ad esso il
trattamento chirurgico costituisce uno strumento eventuale, di ausilio
al fine di garantire, attraverso una tendenziale corrispondenza dei
tratti somatici con quelli del sesso di appartenenza, il conseguimento
di un pieno benessere psichico e fisico della persona. Il trattamento
chirurgico non deve dunque essere considerato quale prerequisito per
accedere al procedimento di rettificazione, ma possibile mezzo,
funzionale al conseguimento di un pieno benessere psicofisico.

Sentenza 11 novembre 2015, n.229

Con la sentenza n. 96
del 2015
, questa Corte ha, infatti, già dichiarato
l’illegittimità costituzionale degli artt. 1, commi 1 e
2, e 4, comma 1, della legge n. 40 del 2004, «nella parte in cui
non consentono il ricorso alle tecniche di procreazione medicalmente
assistita alle coppie fertili portatrici di malattie genetiche
trasmissibili, rispondenti ai criteri di gravità di cui
all’art. 6, comma 1, lettera b), della legge 22 maggio 1978, n.
194 […], accertate da apposite strutture
pubbliche». E «Ciò al fine esclusivo»,
come chiarito in motivazione, «della previa
individuazione», in funzione del successivo impianto
nell’utero della donna, «di embrioni cui non risulti
trasmessa la malattia del genitore comportante il pericolo di
rilevanti anomalie o malformazioni (se non la morte precoce) del
nascituro», alla stregua del suddetto “criterio normativo
di gravità”. Ed è in questi esatti termini e
limiti che l’art. 13, commi 3, lettera b), e 4, della legge n.
40 del 2004 va incontro a declaratoria di illegittimità
costituzionale, nella parte, appunto, in cui vieta, sanzionandola
penalmente, la condotta selettiva del sanitario volta esclusivamente
ad evitare il trasferimento nell’utero della donna di embrioni
che, dalla diagnosi preimpianto, siano risultati affetti da malattie
genetiche trasmissibili rispondenti ai criteri di gravità di
cui all’art. 6, comma 1, lettera b), della legge n. 194 del
1978, accertate da apposite strutture pubbliche.

Sentenza 05 giugno 2015, n.96

La normativa in esame (artt. 1, commi 1 e 2, e 4, comma 1, della legge
n. 40/2004, nella parte in cui non consentono il ricorso alle tecniche
di PMA alle coppie fertili portatrici di malattie genetiche
trasmissibili), appare il risultato di un irragionevole bilanciamento
degli interessi in gioco, in violazione anche del canone di
razionalità dell’ordinamento – ed è lesiva
del diritto alla salute della donna fertile portatrice (ella o
l’altro soggetto della coppia) di grave malattia genetica
ereditaria – nella parte in cui non consente, e dunque esclude,
che, nel quadro di disciplina della legge suddetta, possano ricorrere
alla PMA le coppie affette da tali patologie, adeguatamente accertate,
per esigenza di cautela, da apposita struttura pubblica specializzata.
Ciò al fine esclusivo della previa individuazione di embrioni
cui non risulti trasmessa la malattia del genitore comportante il
pericolo di rilevanti anomalie o malformazioni (se non la morte
precoce) del nascituro, alla stregua del medesimo “criterio
normativo di gravità” già stabilito
dall’art. 6, comma 1, lettera b), della legge n. 194 del 1978.

Ordinanza 17 marzo 2015, n.40

E’ ammissibile, ai sensi dell’art. 37 della legge 11 marzo
1953, n. 87, il ricorso per conflitto di attribuzione tra poteri dello
Stato, promosso dal Presidente del Consiglio dei Ministri (in proprio
e a nome del Consiglio dei Ministri) nei confronti della Corte di
cassazione, sul presupposto – sostenuto dai ricorrenti
richiamando gli artt. 7, 8, 92 e 95 Cost. – che
quest’ultima, con la sentenza
n. 16305 del 2013
, avrebbe illegittimamente esercitato il suo
potere giurisdizionale menomando la funzione di indirizzo
politico che la Costituzione assegna al Governo in materia religiosa
la quale sarebbe assolutamente libera nel fine e quindi insuscettibile
di controllo da parte dei giudici comuni (nel caso di specie, in
tema di avvio o meno delle trattative per la conclusione di una intesa
ex art. 8, comma 3 della Costituzione).

Sentenza 11 dicembre 2014, n.G 119-120/2014

In its decision, the Constitutional Court finds that there is no
objective justification for differing provisions based on sexual
orientation which would generally exclude registered partners from
jointly adopting a child. Moreover, this would create unequal
treatment between registered partners when jointly adopting a child
and (same-sex or heterosexual) partners adopting a step child [fonte:
https://www.vfgh.gv.at – Press Release].

Sentenza 25 settembre 2014, n.151

Recurso de inconstitucionalidad 825-2011. Interpuesto por más
de cincuenta Diputados del Grupo Parlamentario Popular del Congreso de
los Diputados en relación con la Ley Foral de Navarra 16/2010,
de 8 de noviembre, por la que se crea el registro de profesionales en
relación con la interrupción voluntaria del
embarazo.[fonte: www.tribunalconstitucional.es]