Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

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Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Sentenza 30 gennaio 1997, n.31

E’ ammissibile la richiesta di ‘referendum’ popolare per l’abrogazione
della legge 15 dicembre 1972, n. 772 (recante: “Norme per il
riconoscimento dell’obiezione di coscienza”), cosi’ come modificata
dalla legge 24 dicembre 1974, n. 695 [nelle seguenti parti: art. 1,
comma 1, limitatamente alle parole: “essere ammessi a”, comma 2 (“I
motivi di coscienza addotti debbono essere attinenti ad una concezione
generale della vita basata su profondi convincimenti religiosi o
filosofici o morali professati dal soggetto.”) e comma 3,
limitatamente alla parola “comunque”; art. 2, comma 1, limitatamente
alle parole: “entro 60 giorni dall’arruolamento”, e comma 2 (“Gli
abili ed arruolati, ammessi al ritardo e al rinvio del servizio
militare per i motivi previsti dalla legge, che non avessero
presentato domanda nei termini stabiliti dal comma precedente,
potranno produrla ai predetti organi di leva entro il 31 dicembre
dell’anno precedente alla chiamata alle armi.”); art. 3, comma 1,
limitatamente alle parole: “sentito il parere di una commissione circa
la fondatezza e la sincerita’ dei motivi addotti dal richiedente”;
art. 4; art. 8, comma 6, limitatamente alle parole: “sentita, nei casi
di cui al quarto comma, la commissione prevista dall’articolo 4”], in
quanto – posto che il significato unitario del quesito referendario
consiste nell’eliminazione delle norme che prevedono e organizzano il
riscontro sulla validita’ delle motivazioni degli obiettori di
coscienza, sia quanto a fondatezza sia quanto a sincerita’, e che da
tale riscontro fanno dipendere la decisione del Ministro
sull’accoglimento della domanda di ammissione al servizio militare non
armato o al servizio sostitutivo civile – indipendentemente da ogni
valutazione circa le conseguenze dell’eventuale approvazione popolare
della domanda referendaria in questione e circa il possibile mutamento
di qualificazione giuridica della pretesa dell’obiettore di coscienza,
nel passaggio dal testo attuale della legge a quello che ne
residuerebbe, si deve osservare che tali conseguenze e tale mutamento,
una volta effettuato il ‘referendum’ con esito positivo, deriverebbero
come effetto di sistema da un’operazione in se stessa conforme alla
natura abrogativa dell’istituto previsto dall’art. 75 della
Costituzione.

Sentenza 28 gennaio 1998, n.11

La questione non è fondata, per erroneità del presupposto
interpretativo da cui muove il giudice rimettente. È da escludere
infatti che dall’applicazione dell’art. 8 possano legittimamente
sortire le conseguenze paventate dal giudice rimettente, in ragione
delle quali egli si è indotto a sollevare la presente questione di
costituzionalità. L’accoglimento di questa, tuttavia, presupporrebbe
una condizione che, nella specie, non si verifica, cioè che le
menzionate conseguenze applicative incostituzionali siano ascrivibili
alla legge denunciata e che quindi, al fine di evitarle, sia
necessario addivenire alla sua dichiarazione d’incostituzionalità. Il
giudice rimettente ritiene che il caso particolare sul quale è
chiamato a decidere rientri nella portata dell’ultimo comma dell’art.
8.

Sentenza 27 novembre 1997, n.382

E’ costituzionalmente illegittimo, per violazione dell’art. 3, primo
comma, Cost., l’art. 8, primo comma, della legge 15 dicembre 1972, n.
772 (recante: “Norme per il riconoscimento della obiezione di
coscienza”), come sostituito dall’art. 2 della legge 24 dicembre 1974,
n. 695 (Modifiche agli articoli 2 e 8 della legge 15 dicembre 1972, n.
772), nella parte in cui determina la pena edittale ivi comminata
nella misura minima di due anni anziche’ in quella di sei mesi e nella
misura massima di quattro anni anziche’ in quella di due anni, in
quanto, fermo restando che le ipotesi di reato previste dal primo e
dal secondo comma dell’art. 8 della l. n. 772 del 1972 sono diverse
tanto dal punto di vista soggettivo quanto da quello oggettivo –
consistendo il reato, nell’ipotesi di cui al primo comma, nel fatto di
colui che successivamente rifiuta il servizio militare non armato o il
servizio sostitutivo civile, ai quali e’ stato ammesso; mentre
l’ipotesi di cui al secondo comma riguarda il caso di colui che,
adducendo i motivi di coscienza indicati dall’art. 1, al di fuori dei
casi di ammissione ai predetti benefici, rifiuta, prima di assumerlo,
il servizio militare di leva -, tuttavia, cio’ che appare decisivo ai
fini del presente giudizio di costituzionalita’ e’ la stretta
connessione tra le due fattispecie e l’identita’ di valutazione del
legislatore circa la gravita’ dei fatti che esse prevedono: identita’
di valutazione che si esprimeva originariamente nell’identita’ di
pene, stabilita l’una con una formula di rinvio all’altra (“Alla
stessa pena soggiace …”). Ne consegue che il sistema delineato dalle
disposizioni in esame, a seguito della sentenza n. 409 del 1989, che,
in relazione comparativa col reato previsto dall’art. 151 c.p.m.p., ha
gia’ piu’ che dimezzato la pena per la fattispecie prevista nel
secondo comma dell’art. 8, risulta manifestamente privo di
razionalita’.

Sentenza 20 febbraio 1995, n.54

Le speciali norme dettate, negli artt. 1, primo comma, ultima parte, e
3, terzo comma, della legge 29 aprile 1983, n. 167 (sull'”affidamento
in prova del condannato militare”) riguardo al condannato per reati
originati dall’obiezione di coscienza, attribuiscono al Ministro della
difesa – organo che, per la sua posizione istituzionale e funzionale,
non e’ certo qualificato in ordine al perseguimento delle finalita’ di
rieducazione e reinserimento sociale – la competenza, in via
esclusiva, a individuare gli uffici o enti pubblici – anche se non
militari – presso i quali l’affidato in prova dovra’ prestare
servizio. Tali disposizioni – nelle quali, sotto altra veste
giuridica, si riproduce sostanzialmente il regime riservato a chi
venga ammesso al servizio sostitutivo civile ai sensi della legge n.
772 del 1972 – regime che resta collegato, sia pure indirettamente,
all’organizzazione della difesa – non possono piu’ trovare
giustificazione dopo la sentenza (n. 358 del 1993) con la quale la
Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimita’ costituzionale
dell’art. 27 cod. pen. mil. di pace, nella parte in cui consentiva che
la conversione della pena della reclusione comune in quella della
reclusione militare potesse avvenire in relazione alla sanzione penale
comminata per i c.d. obiettori totali. Infatti, poiche’ la funzione
assolta dalle misure alternative non puo’ che rispecchiare quella
assegnata alla pena inflitta, appare irragionevole sostituire una pena
ispirata al reinserimento sociale del condannato con una misura
finalizzata – come le altre di cui alla legge n. 167 del 1983 – al
recupero dello stesso al servizio militare. Gli artt. 1, primo comma,
ultima parte, e 3, terzo comma, della legge n. 167 del 1983 vanno
dunque dichiarati costituzionalmente illegittimi nella parte in cui
prevedono l’affidamento in prova del condannato per reati originati da
obiezione di coscienza esclusivamente ad uffici od enti pubblici non
militari individuati dal Ministro della difesa, anziche’ al servizio
sociale ai sensi della legge n. 354 del 1975.

Sentenza 20 giugno 1994, n.258

Posto che le leggi sulle vaccinazioni obbligatorie n. 165 del 1991, n.
51 del 1966, n. 891 del 1939, n. 292 del 1963 e n. 419 del 1968
(rispettivamente antiepatite B, antipolio, antidifterica e
antitetanica) sono finalizzate alla tutela della salute collettiva e
che la loro compatibilita’ con il precetto costituzionale di cui all’
art. 32, Cost., postula – come precisato dalla Corte – il
contemperamento tra i valori, ivi contemplati, del diritto alla salute
della collettivita’ e del diritto alla salute del singolo, non v’ha
dubbio che l’eventuale introduzione di una disciplina normativa
puntuale e specifica, a tutela di quest’ultimo, la quale – come
richiesto dai giudici ‘a quibus’ – imponga la obbligatorieta’ di
accertamenti preventivi idonei a ridurre, se non ad eliminare, il
rischio – sia pure percentualmente modesto – di lesioni all’integrita’
psico-fisica dell’ individuo per complicanze da vaccino, potrebbe
realizzarsi solo attraverso un corretto bilanciamento tra entrambi i
detti valori, implicante ineludibilmente l’intervento del legislatore.
Infatti, l’adeguamento ai principi costituzionali delle attuali
disposizioni – che gia’ stabiliscono la doverosita’ di osservanza, in
sede di esecuzione del trattamento, di opportune cautele e modalita’ –
dovrebbe essere necessariamente attuato mediante una complessa ed
articolata normativa di carattere tecnico a livello primario – attesa
la riserva di legge – e, nel caso, a livello secondario integrativo,
nonche’ la fissazione di ‘standards’ di fattibilita’ anche in
relazione al rapporto costi-benefici, la cui predisposizione esula dai
poteri della Corte, che, tuttavia, non puo’ esimersi dal richiamare
l’attenzione del legislatore stesso sulla necessita’ di risolvere il
problema posto dai giudici rimettenti sempre entro i limiti di
compatibilita’ con le esigenze della obbligatorieta’ generalizzata
delle vaccinazioni.

Sentenza 18 novembre 1993, n.422

La mancata estensione dell’esonero dal servizio militare, conseguente
alla pena espiata, per i reati di rifiuto del servizio militare, a
coloro che rifiutano il servizio dopo averlo assunto adducendo motivi
diversi da quelli legislativamente previsti ovvero senza addurre alcun
motivo, si pone in contrasto con il principio di uguaglianza e della
funzione rieducativa della pena in quanto, – come la Corte ha gia’
affermato in ordine alla mancata estensione del suddetto esonero a
coloro che rifiutano il servizio di leva prima di assumerlo – rende
possibile la reiterazione della condanna fino all’esaurimento del
correlativo obbligo di leva (compimento del 45 anno di eta’). Deve
pertanto essere dichiarata la illegittimita’ costituzionale dell’art.
8, terzo comma, l. 15 dicembre 1972, n. 772, nella parte in cui non
prevede l’esonero dalla prestazione del servizio militare di leva a
favore di coloro che, avendo in tempo di pace rifiutato totalmente la
prestazione del servizio stesso, anche dopo averlo assunto, sulla base
di motivi diversi da quelli indicati nell’art. 1 della legge n. 772
del 1972 o senza aver addotto motivo alcuno, abbiano espiato per quel
comportamento la pena della reclusione quantomeno in misura
complessivamente non inferiore alla durata del servizio militare di
leva. Restano assorbite le ulteriori censure in riferimento agli artt.
2, 19 e 21 Cost.

Sentenza 26 luglio 1993, n.358

La prevista sostituzione, per i reati militari commessi da militari,
della reclusione comune con quella militare, pur essendo il frutto di
una scelta discrezionale – dal momento che non sussiste un obbligo
costituzionale di sottoporre a pena militare la commissione di un
reato militare – e in se’ non irragionevole, da’ luogo a manifesta
incongruenza quando sia applicata nei confronti del soggetto che
rifiuti di prestare il servizio di leva per motivi di coscienza.
Infatti, poiche’ lo scopo primario della reclusione militare e’ quella
del recupero del condannato al servizio alle armi appare,
innanzitutto, contraddittorio basare sull’adduzione di giustificati
motivi di coscienza un trattamento punitivo per il rifiuto del
servizio militare all’esito del quale si prevede l’esonero dal
servizio e, al tempo stesso, far consistere quel trattamento in
modalita’ volte al recupero del soggetto al servizio militare; in
secondo luogo, l’applicazione nei confronti dell’obiettore per motivi
di coscienza, di un trattamento punitivo – qual’e’ la reclusione
militare – volto al recupero del soggetto alle armi, potrebbe farlo
incorrere in altri reati connessi al rifiuto del servizio dando luogo
a quella “spirale delle condanne” negatrice di ogni valore collegato
alla finalita’ rieducativa della pena. Deve essere pertanto dichiarata
la illegittimita’ costituzionale dell’art. 27 c.p.m.p., nella parte in
cui consente che la conversione della pena della reclusione comune in
quella militare possa avvenire in relazione alla sanzione penale
comminata per il reato previsto dall’art. 8, comma secondo, l. 15
dicembre 1972 n. 772.

Sentenza 20 luglio 1993, n.343

La clausola di esonero dal servizio di leva a pena espiata stabilita
per coloro che rifiutano il servizio militare per motivi di coscienza,
costituisce una sorta di clausola di garanzia della proporzionalita’
della pena, in quanto, in mancanza di essa, di fronte alla
manifestazione di un rifiuto totale del servizio di leva, la sanzione
penale e’ destinata ad applicazioni reiterate fino all’esaurimento del
correlativo obbligo di leva (45 anni). La inapplicabilita’ di tale
clausola nei confronti di coloro, che rifiutano il servizio militare
senza addurre alcun motivo ovvero adducendo motivi diversi da quelli
considerati dal legislatore, da’ adito, in pratica, alla c.d. spirale
di condanna, rendendo al contempo eccessivamente sproporzionato il
trattamento sanzionatorio e vanificando altresi’ il fine rieducativo
della pena che costituisce una garanzia istituzionale della liberta’
personale in relazione allo stato di detenzione. Deve pertanto essere
dichiarata la illegittimita’ costituzionale, per violazione degli
artt. 3 e 27 Cost. – restando assorbiti gli ulteriori profili di
incostituzionalita’ – dell’art. 8, terzo comma, l. n. 772 del 1972 in
connessione con l’art. 148 c.p.m.p., nella parte in cui non prevede
l’esonero dalla prestazione del servizio militare di leva a favore di
coloro che, avendo rifiutato totalmente in tempo di pace la
prestazione del servizio stesso dopo aver addotto motivi diversi da
quelli indicati nell’art. 1 della l. n. 772 del 1972 o senza aver
addotto motivo alcuno, abbiano espiato per quel comportamento la pena
della reclusione in misura quantomeno non inferiore complessivamente
alla durata del servizio militare di leva, rimanendo peraltro urgente
un intervento del legislatore volto alla razionalizzazione del
trattamento sanzionatorio relativamente ai reati militari connessi al
rifiuto di prestare il servizio militare.

Sentenza 19 luglio 1989, n.470

Poiche’ il servizio militare non armato, cui sono ammessi gli
obbligati alla leva contrari all’uso personale delle armi per
imprescindibili motivi di coscienza, e’ in tutto e per tutto
coincidente con il normale servizio di leva (armato) salvo che nella
sola sottrazione all’uso delle armi che ne e’ il connotato ispiratore,
appare priva di ragionevolezza la previsione di una differente durata
di esso, comunque superiore a quella del servizio militare armato.
Pertanto, per violazione dell’art. 3 Cost., e’ costituzionalmente
illegittimo l’art. 5, primo comma, della legge 15 dicembre 1972, n.
772, nella parte in cui prevede che i giovani ammessi a prestare
servizio militare non armato lo devono prestare per un tempo superiore
alla durata del servizio di leva cui sarebbero tenuti.

Sentenza 21 maggio 1987, n.196

Il provvedimento con cui il giudice tutelare autorizza la gestante
minorenne a decidere l’interruzione della gravidanza – rientrando
negli schemi di integrazione della volonta` del soggetto legalmente
incapace, cui attribuisce facolta` di decidere – rimane estraneo alla
procedura di riscontro delle situazioni di “serio pericolo” al cui
verificarsi e` subordinata la possibilita` di interruzione della
gravidanza nei primi novanta giorni, ne` puo` discostarsi dai relativi
accertamenti compiuti dal personale sanitario ed ausiliario.
Conseguentemente, l’impossibilita`, per il giudice, di sollevare
obiezione di coscienza in relazione al previsto potere di
autorizzazione, non comporta disparita` di trattamento rispetto al
personale sanitario, stante il difetto di omogeneita` nei differenti
stadi della procedura di aborto, in cui il giudice ed i sanitari,
rispettivamente, intervengono.