Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

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Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Sentenza 06 maggio 1985, n.164

Non è esatto che l’obbligo di prestare servizio militare armato sia
un dovere di solidarietà politica inderogabile per tutti i cittadini:
viceversa, inderogabile dovere per tutti i cittadini è la difesa
della Patria, cui il servizio militare obbligatorio si ricollega, pur
differenziandosene concettualmente ed istituzionalmente. Cosicché,
mentre nessuna legge potrebbe esentare dal dovere di difesa della
Patria previsto dall’art. 52, primo comma, Cost., in conformità del
secondo comma dello stesso articolo, il servizio militare è
obbligatorio nei modi e nei limiti stabiliti dalla legge ordinaria,
purché non siano violati altri precetti costituzionali. E la
normativa di cui alla legge 15 dicembre 1972, n. 772, sul
riconoscimento dell’obiezione di coscienza, prevedendo per gli
obbligati alla leva la possibilità di venire ammessi a prestare, in
luogo del servizio militare armato, servizio militare non armato o
servizio sostitutivo civile, non si traduce in una deroga al dovere di
difesa della Patria, poiché il servizio militare armato può essere
sostituito con altre prestazioni personali di portata equivalente,
riconducibili anch’esse all’idea di difesa della Patria. È
inammissibile la questione di legittimità costituzionale allorché la
prospettazione del thema decidendum appare incoerente, se non
addirittura contraddittoria, con inevitabili riverberi negativi sul
petitum, così da renderne i contorni incerti o, al limite, illogici.
È inammissibile la questione di legittimità costituzionale che il
giudice a quo si limita a sollevare “nei medesimi termini” di altre
ordinanze dello stesso o di altro giudice, risultando indiscutibile la
carenza di motivazione, non bastando ad assolvere il relativo onere
una motivazione formulata esclusivamente per relationem.

Ordinanza 22 novembre 2001, n.379

Manifesta inammissibilità della questione di legittimità
costituzionale dell’art. 22, comma 1-bis, della legge 31 dicembre
1996, n. 675, introdotto dall’art. 5, comma 1, del decreto
legislativo 11 maggio 1999, n. 135, sollevata, in riferimento agli
artt. 3, 8, primo comma, e 19 della Costituzione, in quanto il regime
del trattamento dei dati personali degli aderenti ad associazioni od
organizzazioni a carattere religioso sarebbe ingiustamente
differenziato in base alla circostanza che le confessioni religiose
abbiano o non abbiano regolato i loro rapporti con lo Stato tramite
accordi o intese. Infatti la questione – sollevata allo scopo di
rendere applicabile ad un aderente alla Congregazione Cristiana dei
Testimoni di Geova, la disciplina dettata per gli aderenti a
confessioni religiose regolate da intese – non investe la norma
concernente la fattispecie oggetto del giudizio ‘a quo’, bensì la
norma riguardante la disciplina che si vorrebbe estendere, sicché
l’eventuale dichiarazione di incostituzionalità, lungi dal produrre
conseguenze nel giudizio ‘a quo’, avrebbe l’effetto – indesiderato –
di generalizzare la portata della disciplina applicabile nel giudizio
davanti al giudice rimettente.

Sentenza 13 gennaio 1982, n.16

Il controllo incidentale di legittimita` costituzionale di una norma
giuridica e` ammissibile se ed in quanto il giudice del merito ritiene
di doverla (egli) applicare in concreto, mentre non puo` il giudice
stesso, nella valutazione della rilevanza, fondarsi su previsioni,
ipotesi o congetture. Nella specie, la questione e` sollevata dal
tribunale per i minorenni nel corso di un giudizio di ammissibilita`
al matrimonio civile di minore ultrasedicenne, che in pendenza del
giudizio stesso aveva contratto matrimonio canonico trascritto; ma per
compiere gli accertamenti previsti dalla legge e rendere la pronuncia
di sua competenza, il giudice a quo non dovrebbe certo applicare la
norma, in materia di trascrizione, della cui legittimita`
costituzionale dubita: di cio` potrebbe se mai essere investito il
giudice della eventuale impugnativa della trascrizione, cioe` il
tribunale ordinario, nei cui panni, in sostanza, il giudice a quo si
mette, subordinando la pronuncia di propria competenza alla
possibilita` o meno (in relazione alla conseguente decisione di questa
Corte) che da quel giudice venga accolta la eventuale impugnativa.
(Inammissibilita` per irrilevanza della questione di legittimita`
costituzionale, sollevata in riferimento all’art. 3 Cost., degli artt.
12 e 16 della legge 27 maggio 1929, n. 847).

Sentenza 01 luglio 2002, n.327

E’ costituzionalmente illegittimo l’articolo 405 del codice penale,
nella parte in cui, per i fatti di turbamento di funzioni religiose
del culto cattolico, prevede pene più gravi, anziché le pene
diminuite stabilite dall’articolo 406 del codice penale, per gli
stessi fatti commessi contro gli altri culti. Il principio
fondamentale di laicità dello Stato, che implica equidistanza e
imparzialità verso tutte le confessioni, non potrebbe infatti
tollerare che il comportamento di chi impedisca o turbi l’esercizio
delle funzioni, cerimonie o pratiche religiose di culti diversi da
quello cattolico, sia ritenuto meno grave, e quindi assoggettato a
più lieve trattamento sanzionatorio, rispetto al comportamento di chi
compia i medesimi fatti ai danni del culto cattolico.

Sentenza 13 novembre 2000, n.508

E’ costituzionalmente illegittimo l’art. 402 del codice penale che
punisce con la reclusione fino a un anno “chiunque pubblicamente
vilipende la religione di Stato”, accordando una tutela privilegiata
alla sola religione cattolica, ritenuta fattore di unita’ morale della
Nazione e assunta a elemento costitutivo della compagine statale. Non
e’ infatti conforme ai principi fondamentali di uguaglianza di tutti i
cittadini senza distinzione di religione (art. 3 della Costituzione) e
di uguale liberta’ davanti alla legge di tutte le confessioni
religiose (art. 8 della Costituzione), nonche’ al “principio supremo”
di laicita’, che caratterizza in senso pluralistico la forma del
nostro Stato, l’atteggiamento di quest’ultimo non equidistante e
imparziale nei confronti di tutte le confessioni religiose e la
mancanza di parita’ nella protezione della coscienza di ciascuna
persona che si riconosce in una fede, quale che sia la confessione di
appartenenza.

Sentenza 10 novembre 1997, n.329

E’ costituzionalmente illegittimo, per violazione degli artt. 3, comma
1, e 8, comma 1, Cost., l’art. 404, comma 1, cod. pen., nella parte in
cui prevede la pena della reclusione da uno a tre anni, anziche’ la
pena diminuita prevista dall’art. 406 cod. pen., sia perche’, nella
visione costituzionale attuale, la ‘ratio’ differenziatrice – che
ispiro’ il legislatore del 1930 con il riconoscimento alla Chiesa e
alle religioni cattoliche di un valore politico, quale fattore di
unita’ morale della nazione – non vale piu’ oggi, quando la
Costituzione esclude che la religione possa considerarsi
strumentalmente rispetto alle finalita’ dello Stato e viceversa; sia
perche’, in attuazione del principio costituzionale della laicita’ e
non confessionalita’ dello Stato – che non significa indifferenza di
fronte all’esperienza religiosa, ma comporta equidistanza e
imparzialita’ della legislazione rispetto a tutte le confessioni
religiose – la protezione del sentimento religioso e’ venuta ad
assumere il significato di un corollario del diritto costituzionale di
liberta’ di religione, corollario che, naturalmente, deve abbracciare
allo stesso modo l’esperienza religiosa di tutti coloro che la vivono,
nella sua dimensione individuale e comunitaria, indipendentemente dai
diversi contenuti di fede delle diverse confessioni; sia, infine,
perche’ il richiamo alla cosiddetta coscienza sociale – quale criterio
di giustificazione di differenze fra confessioni religiose operate
dalla legge – se puo’ valere come argomento di apprezzamento delle
scelte del legislatore sotto il profilo della loro ragionevolezza, e’
viceversa vietato laddove la Costituzione, nell’art. 3, comma 1,
stabilisce espressamente il divieto di discipline differenziate in
base a determinati elementi distintivi, tra i quali sta per l’appunto
la religione, e cioe’ che la protezione del sentimento religioso,
quale aspetto del diritto costituzionale di liberta’ religiosa, non e’
divisibile.

Sentenza 18 ottobre 1995, n.440

É costituzionalmente illegittimo, per contrasto con gli artt. 3 e 8,
primo comma, Cost., l’art. 724, primo comma, del codice penale – che
punisce con un’ammenda chiunque pubblicamente bestemmi, con invettive
o parole oltraggiose, contro la Divinità o i Simboli o le Persone
venerati nella religione dello Stato – , limitatamente alle parole: “o
i Simboli o le Persone venerati nella religione dello Stato”, in
quanto differenzia la tutela penale del sentimento religioso
individuale a seconda della fede professata. Infatti, mentre la
bestemmia contro la Divinità può considerarsi punita
indipendentemente dalla riconducibilità della Divinità stessa a
questa o a quella religione, di guisa che, già ora, risultano
protetti dalle invettive e dalle espressioni oltraggiose tutti i
credenti e tutte le fedi religiose, senza distinzioni o
discriminazioni, la bestemmia contro i Simboli o le Persone venerati,
di cui alla seconda parte della disposizione, si riferisce
testualmente soltanto alla “religione dello Stato”, e cioè alla
religione cattolica. Alla riconosciuta violazione del principio di
eguaglianza, in presenza del divieto di decisioni additive, in materia
penale, che preclude alla Corte l’estensione della norma alle fedi
religiose escluse, consegue il suo annullamento per difetto di
generalità.

Sentenza 08 luglio 1988, n.925

Riguardo al reato di bestemmia, l’espressione “religione dello Stato”,
di cui all’art. 724 cod. pen., ha un significato non corrispondente a
quello originario, ma pur sempre sufficientemente determinabile, e,
cioè, quello – riconosciuto anche dalla Cassazione – di “religione
cattolica”, atteso che quest’ultima era la religione dello Stato
secondo la qualificazione definitivamente superata con l’entrata in
vigore della legge n. 121 del 1985, di ratifica ed esecuzione
dell’Accordo di modificazioni al Concordato Lateranense e del relativo
Protocollo addizionale. (Non fondatezza, nei sensi di cui in
motivazione, della questione di legittimità costituzionale dell’art.
724 cod. pen. , in riferimento al principio di legalità ‘ex’ art. 25,
comma secondo, Cost.).

Sentenza 24 aprile 1975, n.188

Il sentimento religioso, quale vive nell’intimo della coscienza
individuale e si estende anche a gruppi piu’ o meno numerosi di
persone legate tra loro dal vincolo della professione di una fede
comune, e’ da considerare tra i beni costituzionalmente rilevanti,
come risulta coordinando gli artt. 2, 8 e 9 della Costituzione, ed e’
indirettamente confermato anche dal primo comma dell’art. 3 e
dell’art. 20.

Sentenza 14 febbraio 1973, n.14

La liberta’ di religione, da ricomprendersi tra i diritti inviolabili
dell’uomo, tutela il sentimento religioso e pertanto si giustificano
le sanzioni penali per le offese ad esso recate. Tale tutela limitata
alla sola religione cattolica e’ dovuta alla valutazione, di
competenza del legislatore, in ordine all’ampiezza delle reazioni
sociali determinate dalla offese contro il sentimento religioso della
maggioranza della popolazione italiana. La questione sollevata al
riguardo, nei confronti dell’art. 724 cod. pen., in riferimento agli
artt. 3, 8, 19 e 21 Cost., va percio’ dichiarata non fondata. Sarebbe
peraltro auspicabile che il legislatore estendesse la tutela penale
anche al sentimento religioso degli acattolici.