Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

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Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Sentenza 02 dicembre 2004, n.372

Le questioni di legittimità costituzionale, formulate nei confronti
dello Statuto della Regione Toscana, possono distinguersi in censure
aventi ad oggetto proposizioni che rientrano tra i “Principi generali”
e le “Finalità principali” dello Statuto e censure che riguardano,
invece, norme specifiche dello stesso. Ai fini della analisi delle
questioni relative al primo gruppo di censure, occorre rilevare che
alle enunciazioni in esame, anche se materialmente inserite in un
atto-fonte, non può essere riconosciuta alcuna efficacia giuridica,
collocandosi esse precipuamente sul piano dei convincimenti espressivi
delle diverse sensibilità politiche presenti nella comunità
regionale al momento dell’approvazione dello statuto. Se dunque si
accolgono tali premesse, sul carattere non prescrittivo e non
vincolante delle enunciazioni statutarie di questo tipo, ne deriva che
esse esplicano una funzione, per così dire, di natura culturale o
anche politica, ma certo non normativa. Sono pertanto dichiarate
inammissibili – per carenza di lesività – le questioni di
legittimità costituzionale delle seguenti disposizioni dello Statuto
della Regione Toscana: art. 3, comma 6, secondo il quale “la Regione
promuove, nel rispetto dei principi costituzionali, l’estensione del
diritto di voto agli immigrati”; art. 4 comma 1, lettera h), il quale
dispone che la Regione persegue, tra le finalità prioritarie, “il
riconoscimento delle altre forme di convivenza”; art. 4 comma 1,
lettere l) e m), che, rispettivamente, stabiliscono quali finalità
prioritarie della Regione “il rispetto dell’equilibrio ecologico, la
tutela dell’ambiente e del patrimonio culturale, la conservazione
della biodiversità, la promozione della cultura del rispetto degli
animali”, nonché “la tutela e la valorizzazione del patrimonio
storico artistico e paesaggistico”; art. 4 comma 1, lettere n), o) e
p), che stabiliscono, quali finalità prioritarie della Regione, “la
promozione dello sviluppo economico e di un contesto favorevole alla
competitività delle imprese, basato sull’innovazione, la ricerca e
la formazione, nel rispetto dei principi di coesione sociale e di
sostenibilità dell’ambiente”, “la valorizzazione della libertà di
iniziativa economica pubblica e privata, del ruolo e della
responsabilità sociale delle imprese”, “la promozione della
cooperazione come strumento di democrazia economica e di sviluppo
sociale, favorendone il potenziamento con i mezzi più idonei”.

Sentenza 06 dicembre 2004, n.379

Le censure relative all’art. 2, comma 1, lettera f), della delibera
statutaria impugnata, nella parte in cui la Regione si pone
l’obiettivo di assicurare “nell’ambito delle facoltà che le sono
costituzionalmente riconosciute, il diritto di voto degli immigrati
residenti”, sono da considerarsi inammissibili, posto il carattere non
prescrittivo e non vincolante di tali enunciazioni statutarie, che
esplicano una funzione, per così dire, di natura culturale o
politica, ma non normativa. Tale disposizioni non comportano pertanto
alcuna violazione, né alcuna rivendicazione di competenze
costituzionalmente attribuite allo Stato, con conseguente
inammissibilità, per inidoneità lesiva, della disposizione
impugnata. Risultano, inoltre, infondate le questioni di legittimità
costituzionale relative agli artt. 13, comma 1, lettera a); 15, comma
1; 17; 19; 24, comma 4; 26, comma 3; 28, comma 2; 49, comma 2; 62,
comma 3, dello Statuto in esame. La censura di illegittimità relativa
all’art. 45, comma 2, della deliberazione impugnata risulta fondata
limitatamente al terzo periodo di detto comma. Le scelte in tema di
incompatibilità fra incarico di componente della Giunta e di
Consigliere regionale possono infatti essere originate da opzioni
statutarie in tema di forma di governo della Regione, ma – come
questa già affermato dalla Corte nella sentenza n. 2 del 2004 –
occorre rilevare che il riconoscimento, contenuto nell’art. 123
della Costituzione, del potere statutario in tema di forma di governo
regionale è tuttavia accompagnato dalla previsione disposta
dall’art. 122 della Costituzione, con consegunete esclusione –
dall’ambito della autonomia statutaria – della disciplina dei
particolari oggetti a cui detto articolo espressamentesi riferisce.

Sentenza 07 luglio 2004, n.123

Cour constitutionnelle de Belgique (Cour d’arbitrage). Sentenza 7 luglio 2004, n. 123: ” Les Communautés religieuses ne constituent pas un ménage ordinaire”. (Omissis) En cause : le recours en annulation des articles 115 à 134 de la loi-programme (I) du 24 décembre 2002, introduit par la « Fédération M.R.B. – Fédération mutualiste d’assurance maladie, Tous […]

Sentenza 13 ottobre 2004, n.308

Corte costituzionale. Sentenza n.308 del 13 ottobre 2004. LA CORTE COSTITUZIONALE composta dai signori: – Valerio ONIDA Presidente – Carlo MEZZANOTTE Giudice – Fernanda CONTRI ” – Guido NEPPI MODONA ” – Piero Alberto CAPOTOSTI ” – Annibale MARINI ” – Franco BILE ” – Giovanni Maria FLICK ” – Francesco AMIRANTE ” – Ugo […]

Sentenza 10 giugno 2004, n.177

Non spetta allo Stato, e per esso al Ministero dell’istruzione,
dell’università e della ricerca, il potere ispettivo nei confronti
degli istituti scolastici paritari presenti nella Regione Sicilia. In
relazione alle scuole paritarie esistenti in detto territorio deve
pertanto riconoscersi alla Regione la competenza amministrativa ed, in
particolare, la funzione di ispezione e vigilanza, ferma la competenza
legislativa dello Stato a disciplinare le norme generali
sull’istruzione ed i principi dell’assetto ordinamentale del sistema
nazionale di istruzione. Dal combinato disposto degli art. 1 e 8 delle
norme di attuazione dello Statuto, in materia di pubblica istruzione,
risulta inoltre che spetta allo Stato la disciplina del riconoscimento
legale degli istituti scolastici non statali, ma che spetta alla
Regione Sicilia l’emanazione dell’atto di riconoscimento legale di
parificazione degli stessi.

Sentenza 24 settembre 2003

Il divieto per il corpo docente di portare il velo a scuola durante le
ore di lezione non trova nel diritto vigente del Baden – Württemberg
alcun fondamento giuridico.
Il mutamento sociale connesso alla crescente pluralità di fedi
religiose può essere per il legislatore motivo per una nuova
disciplina delle modalità in cui i segni religiosi sono ammessi nella
scuola.

Sentenza 15 febbraio 2001, n.46

Tribunal Constitucional. Sentencia n. 46 de 15 de febrero de 2001. El Pleno del Tribunal Constitucional, compuesto por don Pedro Cruz Villalón, Presidente, don Carles Viver Pi-Sunyer, don Rafael de Mendizábal Allende, don Julio Diego González Campos, don Manuel Jiménez de Parga y Cabrera, don Tomás S. Vives Antón, don Pablo García Manzano, don Pablo […]

Sentenza 16 maggio 1995

L’art. 19 Abs. 4 GG. non garantisce soltanto un formale diritto a
rivolgersi ai tribunali, ma anche la effettiva tutela delle situazioni
giuridiche. Tale effettività comporta che la tutela si realizzi in un
arco di tempo appropriato e che, nel caso delle procedure d’urgenza,
si adotti una decisione provvisoria tempestiva, ogni qualvolta, come
nel caso di specie, alla asserita violazione del diritto fondamentale
non sarebbe più possibile porre riparo con la decisione da assumere
nel giudizio ordinario di merito. Il diritto di libertà religiosa
garantito dalla Legge fondamentale non assicura soltanto la facoltà
di partecipare agli atti di culto in cui si esprime il credo di
appartenenza, ma anche la facoltà di tenersi lontani dalle attività
e dai simboli implicati nell’esercizio del culto medesimo. Al riguardo
occorre distinguere tra i luoghi che sono sottomessi al diretto
controllo statale, e quelli che sono lasciati alla libera
organizzazione della società. Lo Stato, nel primo caso, è obbligato
a proteggere l’individuo dagli interventi o dagli ostacoli che possono
provenire dai seguaci di altre fedi o di gruppi religiosi concorrenti
con quello di appartenenza. Anche quando lo Stato collabora con le
confessioni religiose, esso non può pervenire ad una identificazione
con alcuna di queste. Lo Stato, inoltre, deve rispettare il diritto
naturale dei genitori di curare e di allevare i loro figli secondo le
proprie convinzioni religiose. Confliggono con questo diritto
garantito dall’art. 6 Abs. 2s. i della Legge fondamentale le
prescrizioni dello Stato di Baviera e le decisioni assunte in forza di
esse, che impongono l’affissione del crocifisso in tutte le aule
scolastiche delle scuole popolari. Le dette prescrizioni obbligano,
infatti, gli alunni delle scuole a partecipare alle lezioni
confrontandosi di continuo con siffatto simbolo religioso, al
contrario di quanto avviene, ad esempio, nei casi in cui, come quando
si cammina per strada o si frequentano luoghi aperti al pubblico, non
si viene costretti ad un continuo contatto con tali simboli ed esso
non risulta in alcun modo sanzionato. Né vale opporre la possibilità
di sfuggire all’obbligo così imposto ricorrendo alla frequenza di
scuole non statali, perché tale possibilità non è data ad una gran
parte della popolazione, che non è in grado di pagare le richieste
rette di frequenza. Sarebbe, per altro, una violazione dell’autonomia
confessionale dei cristiani ed una sorta di profanazione della croce
non considerare questo simbolo come segno di culto in collegamento con
uno specifico credo. Bisogna considerare, inoltre, che la formazione
scolastica non consiste solo nell’impartire nozioni tecniche o nello
sviluppo di capacità cognitive; essa concerne anche lo sviluppo della
dimensione o delle dimensioni emozionali ed affettive degli alunni. In
questo senso la presenza della croce nelle aule scolastiche esercita
un particolare influsso: essa ha un carattere «evocativo»
(appellativen), ossia rappresentativo del contenuto di fede che
simboleggia, e propagativo dello stesso. La scuola statale non può
certo trascurare l’esercizio del diritto di libertà religiosa della
maggioranza di coloro che la frequentano; ma anche il diritto di
libertà religiosa incontra, nel suo esercizio, i limiti derivanti
dalla tutela di altri beni o interessi costituzionalmente garantiti e,
in primo luogo, quello rappresentato dall’esercizio dello stesso
diritto da parte delle minoranze. Il criterio per risolvere i
possibili conflitti è da ricercare nel principio di una pratica
ponderazione dei vari diritti che non privilegi in modo massimale una
sola delle situazioni giuridiche in contrasto ma le tratti in modo il
più possibile paritario. Certamente in una società pluralistica è
impossibile che la scuola pubblica dell’obbligo possa tener conto di
tutte le richieste di formazione e di tutti gli indirizzi educativi.
La ineludibile composizione tra l’aspetto positivo e quello negativo
della libertà religiosa alla luce del principio della tolleranza
obbliga il legislatore statale a ricercare nel processo di formazione
delle proprie prescrizioni una soluzione di compromesso da tutti
sostenibile. Il legislatore dello Stato di Baviera non si è ispirato
a questi criteri quando ha imposto l’obbligo di affissione di un
crocifisso in tutte le aule scolastiche delle scuole popolari, perché
ha stabilito come vincolante qualcosa che va al di là del minimo
indispensabile a che si realizzi un giusto equilibrio fra l’aspetto
positivo e quello negativo del diritto di libertà religiosa.
L’affissione di un crocifisso nelle aule supera, infatti, i confini di
ogni ammissibile orientamento religioso delle scuole statali, e quindi
contrasta con l’art. 4 Abs. della Legge fondamentale.

Sentenza 15 novembre 2000, n.518

È infondata la q.l.c. dell’art. 564 c.p., sollevata, in riferimento
agli art. 2, 3 comma 1, 13 comma 1 e 27 comma 3 cost., nella parte in
cui punisce chiunque, in modo che ne derivi pubblico scandalo,
commette incesto con un affine in linea retta (nella specie: suocero e
nuora) (la Corte, dopo aver sottolineato che la norma impugnata mira
ad offrire protezione alla famiglia, ha conclusivamente ritenuto che
le censure mosse dal rimettente non si basano su vizi rilevabili nel
giudizio di legittimità costituzionale, ma si risolvono in critiche
di opportunità della norma, il cui apprezzamento si sottrae alla
competenza della Corte stessa, rientrando nella discrezionalità del
legislatore).

Sentenza 14 luglio 1999, n.343

Alla luce della giurisprudenza amministrativa più liberale (aperta
all’ammissione alla sessione riservata, per l’immissione in ruolo,
anche di personale già precario su posti di classe di concorso
diversa da quella per cui si partecipa), la condizione dei docenti di
religione rispetto a quella di altri insegnanti, è diversa perché la
relativa prestazione è avvenuta sulla base di profili di
qualificazione professionale non costituenti titolo di accesso ad
altri insegnamenti; pertanto, non contrastano con gli art. 3 comma 1 e
97 comma 1 cost. gli art. 2 e 11 d.l. 6 novembre 1989 n. 357,
convertito con modificazioni dalla l. 27 dicembre 1989 n. 417, nella
parte in cui, ai fini del reclutamento in ruolo, con concorso per
titoli, dei professori precari, non assimilano al restante personale
gli insegnanti di religione.