Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

Olir

Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Sentenza 30 gennaio 2003, n.41

È ammissibile la richiesta di referendum popolare per l’abrogazione
dell’art. 18 commi 1, 2 e 3 l. 20 maggio 1970 n. 300, come modificato
dall’art. 1 l. 11 maggio 1990 n. 108, dell’art. 2 comma 1 l. 11 maggio
1990 n. 108, dell’art. 8 l. 15 luglio 1966 n. 604 e dell’art. 4 comma
1 l. 11 maggio 1990 n. 108, richiesta dichiarata legittima, con
ordinanza 9 dicembre 2002, dall’ufficio centrale costituito presso la
Corte di cassazione, con la denominazione identificativa
“Reintegrazione dei lavoratori illegittimamente licenziati:
abrogazione delle norme che stabiliscono limiti numerici ed esenzioni
per l’applicazione dell’art. 18 dello statuto dei lavoratori”.
Premesso che le norme oggetto del quesito referendario sono estranee
alle materie in relazione alle quali l’art. 75 comma 2 cost. preclude
il ricorso all’istituto del referendum abrogativo, la domanda posta
agli elettori è omogenea, univoca e chiara, nella sua struttura e nei
suoi effetti: essa, infatti, investe contemporaneamente la norma che
prevede la garanzia obbligatoria, avente originariamente portata
generale (art. 8 l. n. 604 del 1966), la connessa previsione che
successivamente ha delineato i limiti numerici al di sotto dei quali
si applica la medesima garanzia (art. 2 l. n. 108 del 1990) e la
speculare determinazione dei limiti dimensionali al disopra dei quali
si applica la tutela reale (art. 18 l. n. 300 del 1970), sicché essa
rende evidente la propria “ratio” unitaria – consistente nella
estensione della garanzia della reintegrazione e del risarcimento del
danno, contenuta nell’art. 18 dello statuto dei lavoratori, in modo da
comprendere in essa anche l’ambito in cui oggi vale la tutela
obbligatoria – che si estende anche alla richiesta di abrogazione
della disposizione che esclude l’applicabilità della garanzia di
stabilità reale per i dipendenti da datori di lavoro, non
imprenditori, che esercitano un’attività “di tendenza”, proponendo
così al corpo elettorale un’alternativa netta tra il mantenimento
dell’attuale disciplina, caratterizzata dalla coesistenza di due
parallele forme di tutela, quella obbligatoria e quella reale, e
l’estensione della seconda.

Sentenza 30 gennaio 2003, n.42

Si dichiara l’inammissibilità della richiesta di referendum popolare
volto all’abrogazione, nelle parti indicate in epigrafe, dell’art. 1
l. 10 marzo 2000 n. 62 (Norme per la parità scolastica e disposizioni
sul diritto allo studio e all’istruzione), richiesta peraltro
dichiarata legittima, con ordinanza 9 dicembre 2002, dall’ufficio
centrale costituito presso la Corte di cassazione, con la
denominazione “Scuola privata: abrogazione di norme relative a
contributi statali e di norme agevolatrici in materia di personale
docente”. Il quesito referendario risulta infatti, in primo luogo,
intimamente contraddittorio, in quanto, con la richiesta di
abrogazione delle parole “e dalle scuole paritarie private”, si
propone lo scopo di espungere dal sistema nazionale di istruzione le
scuole paritarie, le quali, al contrario, continuerebbero a farne
parte integrante alla stregua della normativa più dettagliata,
contenuta nel medesimo art. 1, non toccata dal quesito: ne risulta in
tal modo investita la stessa “ratio” del quesito, giacché una volta
che il legislatore abbia istituito il sistema scolastico nazionale,
espungere da questo una categoria di scuole che, obbligate a
conformarsi ai prescritti standard qualitativi, restano invece
assoggettate al medesimo e comune regime richiesto dall’art. 33 comma
4 cost. ai fini della parità, risulta non solo contraddittorio ma
anche discriminatorio, non essendo concepibile, in un regime di
esclusione concettuale dal sistema nazionale quale è quello cui tende
la richiesta referendaria, una parità effettiva che non si riduca a
mera declamazione verbale, poiché le formulazioni di principio non
sono mai vuote e inutili proclamazioni, ma enunciati giuridici capaci
di immettere nell’ordinamento virtualità interpretative altrimenti
assenti e di ovviare alle eventuali imprecisioni o alle lacune in
questo riscontrabili. Il quesito referendario risulta altresì
disomogeneo, in quanto unifica oggetti rispetto ai quali la scelta
dell’elettore non può essere costretta in un solo quesito, quali, da
un lato, l’eliminazione dell’agevolazione che viene assicurata alle
scuole paritarie, consistente nel potersi avvalere anche delle
prestazioni volontarie di personale docente o di prestatori d’opera
professionale e, dall’altro, la preclusione del sostegno alle famiglie
degli studenti delle scuole statali e non statali, che deriva dal
rimborso della spesa sostenuta e documentata per l’istruzione
scolastica.

Ordinanza 07 ottobre 2002, n.423

È manifestamente infondata, in riferimento all’art. 33 comma 4 cost.,
la questione di legittimità costituzionale dell’art. 7 legge 10
dicembre 1997 n. 425, il quale, disciplinando lo svolgimento degli
esami di idoneità alle varie classi dei corsi di studio nelle scuole
pareggiate o legalmente riconosciute, consente al candidato esterno di
presentarsi agli esami di idoneità solo per la classe immediatamente
superiore a quella successiva alla classe cui dà accesso il titolo di
licenza o promozione dal candidato stesso posseduto, cosi riservando
alle scuole non statali una disciplina deteriore rispetto a quella
delle scuole statali. La regola generale vigente in materia è,
infatti, quella che ammette la possibilità di abilitazione al salto
di classe per un solo anno, sia con riguardo ai candidati che sono
alunni frequentanti scuole statali o non statali pareggiate o
legalmente riconosciute, sia con riguardo ai candidati esterni che si
presentano per gli esami di idoneità presso istituti non statali,
pareggiati o riconosciuti, mentre è l’art. 193 comma 2 d.lg. 16
aprile 1994 n. 297, che deroga a tale quadro generale, consentendo ai
candidati privatisti di anticipare più di un anno scolastico, sia
pure nel rispetto della durata temporale del corso normale degli
studi, deroga che, per effetto della disposizione censurata, è non
irragionevolmente limitata dal legislatore – fino alla realizzazione
della piena parità tra scuole statali e scuole non statali,
subordinata alla idoneità di queste ultime, secondo quanto stabilito
dalla legge 10 marzo 2000 n. 62 per le scuole paritarie, ad adempiere
precise condizioni per il riconoscimento della piena parità – agli
esami di abilitazione sostenuti presso istituti o scuole statali.

Sentenza 18 dicembre 2003, n.1

È costituzionalmente illegittimo l’art. 52 comma 17 della legge 28
dicembre 2001, n. 448 (Disposizioni per la formazione del bilancio
annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2002), secondo
il quale a decorrere dall’1 gennaio 2002, le disposizioni di cui alla
legge 426/71 (Disciplina del commercio), e successive modificazioni,
“non si applicano alle sagre, fiere e manifestazioni di carattere
religioso, benefico o politico”. Essa, infatti, afferma la Corte, non
può essere ricondotta ad alcun ambito di competenza dello Stato,
perchè la legge costituzionale 18 ottobre 2001 n. 3 ha mutato
l’ordine dei rapporti tra legislazione statale e legislazione
regionale, nel senso che la potestà legislativa dello Stato sussiste
solo ove dalla Costituzione sia ricavabile un preciso titolo di
legittimazione. Inoltre l’art. 27 lett. e) del d.lg. 31 marzo 1998 n.
114, nel disciplinare il commercio su aree pubbliche, qualifica come
fiera la manifestazione caratterizzata dall’afflusso, nei giorni
stabiliti, sulle aree pubbliche o private, di operatori autorizzati ad
esercitare il commercio su aree pubbliche, in occasione di particolari
ricorrenze, eventi o festività, e stabilisce che la finalità
religiosa, benefica o politica da cui sia connotata una fiera o una
sagra non può valere, di per sè, a modificarne la natura e dunque a
mutare l’ambito materiale cui la disciplina di tali manifestazioni
inerisce, che non può non essere la disciplina del commercio.

Sentenza 08 luglio 2004, n.229

L’art. 12 della legge della regione Emilia-Romagna 20 ottobre 2003, n.
20 (Nuove norme per la valorizzazione del servizio civile. Istituzione
del servizio civile regionale) prevede una comunicazione agli Uffici
di leva dei nominativi di coloro che, svolgendo il servizio civile
regionale, abbiano comunque voluto dichiarare la loro obiezione di
coscienza al servizio militare, nella prospettiva che esso possa
rivivere come servizio obbligatorio. La disposizione contenuta
nell’art. 12 deve essere letta come rivolta a prevedere, in spirito di
collaborazione, la mera trasmissione di informazioni agli Uffici di
leva ai fini che eventualmente siano previsti dalla legislazione
statale, senza che ciò determini invasione della competenza statale.
Analogo discorso vale per le altre disposizioni, censurate nel caso di
specie(art. 22, comma 5, e art. 5, comma 4, della legge regionale), le
quali, rinviando al suddetto art. 12, si limitano ad assicurare,
nell’ipotesi di ripristino della leva, la disponibilità di
informazioni sui soggetti che, avendo svolto il servizio civile
regionale, abbiano voluto dichiarare l’obiezione di coscienza agli
eserciti, all’uso delle armi e alla violenza.

Sentenza 08 luglio 2004, n.228

Il servizio civile, prestato anche su base esclusivamente volontaria,
persegue finalità corrispondenti alla prestazione militare e mantiene
intatto il parallelismo con quest’ultima che caratterizza il servizio
civile alternativo dettato da obiezione di coscienza. Inoltre, il
dovere di difendere la Patria deve essere letto alla luce del
principio di solidarietà espresso nell’art. 2 della Costituzione, le
cui virtualità trascendono l’area degli “obblighi normativamente
imposti”, chiamando la persona ad agire non solo per imposizione di
una autorità, ma anche per libera e spontanea espressione della
profonda socialità che caratterizza la persona stessa. In questo
contesto, il servizio civile tende a proporsi come forma spontanea di
adempimento del dovere costituzionale di difesa della Patria; con
specifico riferimento alla disciplina contenuta nella legge n. 64 del
2001, oggetto di censure nel ricorso nel caso di specie, va osservato,
peraltro, che nella parte in cui essa prevede, in via transitoria, che
i giovani obbligati alla leva possano dichiarare liberamente, prima
dell’arruolamento, di optare per il servizio militare o per quello
civile, senza dover addurre necessariamente, in quest’ultimo caso,
motivi di coscienza (art. 5, comma 1), l’intervento legislativo
statale trova ulteriore legittimazione nell’art. 52, secondo comma,
della Costituzione, essendo rivolto alla determinazione di limiti al
servizio militare obbligatorio.

Ordinanza 13 maggio 2004, n.152

Deve essere disposta la restituzione al giudice remittente degli atti
relativi alla q.l.c., sollevata in riferimento agli art. 3 e 53 cost.,
dell’art. 2 comma 5 del decreto legge 23 gennaio 1993, n. 16,
convertito, con modificazioni, in legge 24 marzo 1993, n. 75, nella
parte in cui limita l’agevolazione fiscale ai fini i.c.i. ai soli
immobili di interesse storico o artistico ai sensi dell’art. 3 legge 1
giugno 1939, n. 1089, e successive modificazioni, con esclusione
dunque di quelli appartenenti ad enti pubblici o persone giuridiche
private senza fini di lucro, di cui all’art. 4 della stessa legge, in
quanto, successivamente all’ordinanza di rimessione, è stata
dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 2 comma 5 d.l. 23
gennaio 1993 n. 16, convertito, con modificazioni, in legge 24 marzo
1993, n. 75, proprio nella parte in cui non si applica agli immobili
di interesse storico o artistico di cui all’art. 4 legge 1 giugno
1939, n. 1089, ora art. 5 decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 490,
a sua volta sostituito, a decorrere dall’1 maggio 2004, dall’art. 10
decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, sicché si rende
necessaria la verifica della perdurante rilevanza della questione.

Sentenza 24 novembre 2003, n.345

Va dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 2, comma 5,
d.l 23 gennaio 1993, n. 16 (Disposizioni in materia di imposte sui
redditi, sui trasferimenti di immobili di civile abitazione, di
termini per la definizione agevolata delle situazioni e pendenze
tributarie, per la soppressione della ritenuta sugli interessi, premi
ed altri frutti derivanti da depositi e conti correnti interbancari,
nonché altre disposizioni tributarie), convertito con modificazioni
nella legge 24 marzo 1993, n. 75, nella parte in cui non si applica,
ai fini dell’imposta comunale sugli immobili, agli immobili di
interesse storico o artistico di cui all’art. 4 legge 10 giugno 1939,
n. 1089 (Tutela delle cose d’interesse artistico e storico; ora art. 5
d.lg. 29 ottobre 1999 n. 490, recante il testo unico delle
disposizioni legislative in materia di beni culturali e ambientali)
per la manifesta irragionevolezza della limitazione della norma ai
soli immobili di proprietà privata.

Ordinanza 30 gennaio 1985, n.26

E’ infondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 1
ss. della legge 27 maggio 1929 n. 810, in riferimento agli artt. 3, 9,
117 e 128 della Costituzione – relativamente alla parte in cui viene
data esecuzione all’art. 16, secondo comma, del Trattato fra la Santa
Sede e l’Italia, il quale stabilisce la facoltà concessa alla Santa
Sede di dare agli immobili, menzionati nel Trattato stesso e negli
allegati, l’assetto che creda senza autorizzazione o consensi da parte
di autorità governative, provinciali o comunali italiane – posto che,
per costante giurisprudenza della Corte, il sindacato sulle norme dei
Patti Lateranensi, cui sia stata data esecuzione da parte dell’Italia,
resta limitato e circoscritto all’accertamento della loro conformità
o meno ai principi supremi dell’ordinamento costituzionale. Gli
invocati parametri costituzionali non rientrano infatti – agli effetti
in questione – fra i “principi supremi”, mentre il cosiddetto
“privilegio di extraterritorialità”, previsto dal Trattato fra la
Santa Sede e l’Italia, non offende – di per sè – “il patrimonio
storico e artistico della Nazione”.

Sentenza 21 gennaio 1988, n.43

È illegittimo per contrasto con l’art. 8, comma 2, della Costituzione
l’art. 9 r.d. 30 ottobre 1930, n. 1731, secondo cui sono eleggibili
alla carica di consigliere di una comunità israelitica solo i
soggetti, di età superiore ai 25 anni di sesso maschile, ed in
possesso del diploma di scuola media inferiore ovvero di grado
rabbinico.