Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

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Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Sentenza 17 aprile 2009, n.2331

Con riguardo alla materia del riconoscimento della personalità
giuridica delle associazioni va considerato vigente il principio
secondo il quale l’applicabilità della disciplina speciale sui c.d.
“culti ammessi”, ossia la legge 1159/1929, avviene tutte le volte
che si riscontri la presenza di un fine di culto nell’organizzazione
dell’associazione considerata, qualunque importanza possa questo
assumere nella sua esistenza giuridica (cfr., in tal senso, Cons.St.,
Sez IV, 25.5.1979, n. 369). Trattasi, d’altra parte, dello stesso
principio espresso nella pronuncia 8.11.2006, n. 3621 della Sezione I
del Consiglio di Stato, che ha statuito che l’ente straniero
“avente, nella propria nazione, finalità anche religiose”, non
acquista lo status di ente ecclesiastico (cattolico o diverso dal
cattolico) iscrivendosi nel registro delle persone giuridiche in
Italia, posto che all’uopo occorre seguire il procedimento di cui
alla L. 20 maggio 1985 n. 222, per gli enti cattolici e quello
previsto dalla L. 24 giugno 1929 n. 1159 per gli enti acattolici.
Secondo tale parere della Sezione I, invero, tali norme “sono di
ordine pubblico, e perciò inderogabili”, giacchè allo “status”
di ente ecclesiastico conseguono particolari condizioni di favore che
non possono seguire alla semplice iscrizione nel registro prefettizio,
spettando, per legge, al solo Ministero dell’interno
“l’accertamento delle finalità religiose (come costitutive ed
essenziali) di un ente che intenda ottenere il riconoscimento della
personalità giuridica civile quale ente di culto, e, in tal senso, al
prefetto compete solo l’iscrizione del provvedimento ministeriale
(nel caso di enti cattolici) o del provvedimento governativo (nel caso
di culti diversi) di riconoscimento della personalità giuridica
dell’ente di culto nel registro delle persone giuridiche”. Sulle
base delle richiamate pronunce del Consiglio di Stato, emergono
dunque, da una parte, il principio che le norme di cui alla legge n.
1159/1929 sono di ordine pubblico e, quindi, non derogabili e,
dall’altra, che le dette norme vanno applicate ogni volta che si
verifichi, nell’organizzazione della associazione richiedente, la
presenza “anche” di una finalità religiosa e/o di manifestazioni
culturali, indipendentemente dal rilievo complessivo che queste
possano assumere nel complesso dell’attività svolta dall’ente.

Sentenza 14 aprile 2009, n.2260

La L.P. Trento 9 aprile 2001, n. 5
[https://www.olir.it/ricerca/index.php?Form_Document=2605] non è
costituzionalmente illegittima, con riferimento agli artt. 3, 7, 8, 20
e 33 della Costituzione, nella parte in cui istituisce posti a tempo
indeterminato per i docenti di religione cattolica (art. 1), nè in
quella recante i requisiti professionali e di servizio del personale
da immettere in ruolo in sede di prima applicazione della legge (art.
7). Al rigaurdo, occorre anzitutto come il principio della laicità
dello Stato non risulti pregiudicato dal riconoscimento
all’autorità ecclesiastica del potere di selezionare (attraverso il
riconoscimento della idoneità da parte dell’ordinario diocesano) il
personale da immettere in ruolo. Il meccanismo compartecipativo nella
selezione del personale cui affidare l’insegnamento della religione
cattolica è infatti frutto di una scelta assunta in sede
concordataria, come tale in sé non solo non incompatibile con la
Costituzione, ma alla stessa pienamente aderente. D’altra parte, il
coinvolgimento dell’autorità ecclesiastica nella scelta dei
soggetti cui affidare l’insegnamento della religione cattolica,
lungi dal minare il suindicato principio di laicità dello Stato,
ovvero costituire un vulnus al principio di uguaglianza tra tutte le
religioni (art. 8, comma 1 Cost.), rappresenta piuttosto una scelta
dettata dalla necessità di individuare, nel rispetto degli accordi
pattizi, il personale che abbia le attitudini per svolgere il delicato
compito di insegnamento della religione cattolica. Ancora, non appare
calzante nemmeno il profilo della ipotizzata lesione dell’art. 33
Cost., e del principio di libertà di insegnamento con esso
presidiato; viene da osservare, infatti, che detto principio conosce
la sua massima espressione proprio con riferimento all’insegnamento
della religione cattolica, considerato che la stessa, in quadro di
generale obbligarietà degli insegnamenti, si configura (proprio in
attuazione della modifica degli accordi concordatari) a guisa di
materia rinunciabile dagli allievi, peraltro senza alcun obbligo di
attendere ad insegnamenti sostitutivi. E, d’altra parte, su tale
configurazione particolare dell’insegnamento religioso non
interferisce la scelta del modello organizzatorio, e quindi la
disposta istituzione di un ruolo stabile dei docenti in luogo del
meccanismo degli incarichi annuali, proprio del precariato in cui
tradizionalmente venivano ad operare gli insegnanti di religione.
Peraltro, non è irrilevante osservare che anche il legislatore
statale (il riferimento è alla legge nazionale n. 186/03), sia pur in
epoca successiva a quella cui risale la contestata legge provinciale
n.5/01), ha istituito due distinti ruoli che riguardano il personale
docente di religione cattolica. Con il che restando confermato, sia
pur indirettamente, il rilievo secondo cui le modalità a mezzo delle
quali l’ordinamento statuale o locale appronta la provvista dei
docenti di religione cattolica per il disimpegno del servizio di
insegnamento non snaturano il modello di Stato laico voluto dal
Costituente, né accordano alla religione cattolica una corsia
preferenziale rispetto alle altre religioni, atteso che il presidio
contro tale rischio è ampiamente assicurato dalla configurazione
dell’insegnamento stesso in termini di non-obbligo per la platea dei
discenti, come messo in luce dalla Corte Costituzionale fin nella
sentenza n. 203 del 1989.
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IN TERMINI ASSOLUTAMENTE CONFORMI SI V. CONSIGLIO DI STATO, SEZIONE
VI, SENTENZE 14 APRILE 2009, NN. 2261, N. 2262 E 2263; NONCHÈ 20
APRILE 2009, NN. 2368, 2369, 2370 E 2371

Sentenza 17 febbraio 2009, n.897

Ai fini della formazione della graduatoria a posti di insegnante di
religione, relativa al concorso riservato, per titoli ed esami,
indetto con decreto dirigenziale in data 4 febbraio 2004, il diploma
di specializzazione in pedagogia religiosa non può essere ascritto al
punto B/2 lett. f) della relativa tabella di valutazione dei titoli,
che attribuisce due punti per il compimento del regolare corso di
studi teologici in un seminario maggiore. Infatti, il corso di studi
di pedagogia religiosa ha durata biennale e non può, quindi, essere
assimilato al compimento degli studi in seminario, che hanno durata di
cinque o sei anni.

Parere 17 gennaio 2007, n.10379

La legge n. 222 del 1985, nello stabilire che “gli enti
ecclesiastici che hanno la personalità giuridica nell’ordinamento
dello Stato assumono la qualifica di enti ecclesiastici civilmente
riconosciuti” (art. 4), ha chiarito definitivamente che gli enti della
Chiesa Cattolica, una volta ottenuto dallo Stato il riconoscimento
della personalità giuridica, non sono enti né privati né pubblici,
ma bensì “Enti di un’autonoma organizzazione confessionale, ai
quali lo Stato si è limitato a riconoscere la personalità
giuridica” (cfr. parere del Consiglio di Stato n. 1338 del 14
febbraio 2001). Gli enti ecclesiastici non possono quindi qualificarsi
in via generale come “persone giuridiche private senza fini di
lucro”, con conseguente applicazione degli artt. 55 del D.L.gs. n.
490/1999 e 21 del D.P.R. n. 283/2000, concernenti espressamente
l’alienazione di immobili appartenenti a persone giuridiche private
senza scopo di lucro. Nè si può giungere a diversa conclusione
invocando l’art. 6 dell’Intesa relativa alla tutela dei beni
culturali di interesse religioso (cui è stata data esecuzione con il
D.P.R. n. 571/1996), che prevede che a norma dell’art. 8 della legge
n. 1089/1939 (poi art. 19 del D.Lgs. n. 490/1999) “i provvedimenti
amministrativi concernenti i beni culturali appartenenti ad enti e
istituzioni ecclesiastiche sono assunti dal competente organo del
Ministero per i beni culturali e ambientali, previa intesa, per quel
che concerne le esigenze di culto, con l’ordinario diocesano”. Se
da un lato, infatti, tale disposizione indica come gli enti
ecclesiastici siano soggetti ai vincoli imposti dalla normativa di
tutela dei beni culturali, dall’altro, tuttavia non pare utile a
dimostrare che tali enti siano destinatari delle disposizioni
contenute nei predetti artt. 55 del D.L.gs. n. 490/1999 e 21 del
D.P.R. n. 283/2000, applicabili alla specifica categoria delle
“persone giuridiche private senza fini di lucro”. Ciò rilevato,
va tuttavia tenuto presente che l’art. 12, comma 1, della L. n.
121/1985 ha affermato il principio secondo cui “La Santa Sede e la
Repubblica Italiana, nel rispettivo ordine, collaborano per la tutela
del patrimonio storico e artistico” ed è indubbio che l’art. 55,
comma 3, del D.Lgs. n. 490/1990, nel prevedere che
“L’autorizzazione è concessa qualora non ne derivi un grave danno
alla conservazione o al pubblico godimento dei beni”, evidenzia le
particolari finalità di tutela per le quali l’alienazione dei beni
culturali è soggetta ad autorizzazione. Ciò implica che le due Parti
potrebbero indicare come applicabile l’onere suddetto, eliminando
così ogni perplessità derivante dalla formulazione letterale
dell’art. 55 del D.Lgs. n. 490/1990 nella parte in cui individua i
suoi destinatari.

Sentenza 07 dicembre 2005, n.264464

Le port du voile ou du foulard, par lequel les femmes de confession
musulmane peuvent entendre manifester leurs convictions religieuses,
peut faire l’objet de restrictions notamment dans l’intérêt de
l’ordre public. En conséquence, le retrait temporaire du voile ou du
foulard peut être exigé à l’entrée d’un consulat pour des motifs
de sécurité.

Sentenza 14 aprile 1995, n.125148

Les dispositions relatives à l’obligation d’assiduité de l’article
3-5 ajouté au décret du 30 août 1985 par l’article 8 du décret du
18 février 1991 n’ont pas eu pour objet et ne sauraient légalement
avoir pour effet d’interdire aux élèves qui en font la demande de
bénéficier individuellement des autorisations d’absence nécessaires
à l’exercice d’un culte ou à la célébration d’une fête
religieuse, dans le cas où ces absences sont compatibles avec
l’accomplissement des tâches inhérentes à leurs études et avec le
respect de l’ordre public dans l’établissement. Dès lors, elles ne
portent pas atteinte à la liberté religieuse garantie aux élèves.

Ordinanza 07 ottobre 2008, n.5311

Consiglio di Stato, Sezione Quinta, Ordinanza 7 ottobre 2008, n. 5311: “Respinto il ricorso contro l’ordinanza di sospensione delle Linee guida della Lombardia per l’attuazione della l. 22 maggio 1978 n. 194”. In OLIR: –TAR Lombardia. Ordinanza 8 maggio 2008, n. 707 –Atto di indirizzo per la attuazione della legge 22 maggio 1978, n. 194 […]

Sentenza 19 giugno 2008, n.3076

L’art. 5 della legge n. 152/1975 vieta l’uso di caschi protettivi, o
di qualunque altro mezzo atto a rendere difficoltoso il riconoscimento
della persona, in luogo pubblico o aperto al pubblico, senza
giustificato motivo.
La ratio della norma, diretta alla tutela dell’ordine pubblico, è
quella di evitare che l’utilizzo di caschi o di altri mezzi possa
avvenire con la finalità di evitare il riconoscimento. Tuttavia, un
divieto assoluto vi è solo in occasione di manifestazioni che si
svolgano in luogo pubblico o aperto al pubblico, tranne quelle di
carattere sportivo che tale uso comportino. Negli altri casi,
l’utilizzo di mezzi potenzialmente idonei a rendere difficoltoso il
riconoscimento è vietato solo se avviene “senza giustificato
motivo”. Quanto al “velo che copre il volto”, o in particolare al
burqa, si tratta di un utilizzo che generalmente non è diretto ad
evitare il riconoscimento, ma costituisce attuazione di una tradizione
di determinate popolazioni e culture. Il citato art. 5 consente,
dunque, nel nostro ordinamento che una persona indossi il velo per
motivi religiosi o culturali; le esigenze di pubblica sicurezza sono
soddisfatte dal divieto di utilizzo in occasione di manifestazioni e
dall’obbligo per tali persone di sottoporsi all’identificazione e
alla rimozione del velo, ove necessario a tal fine. Resta fermo che
tale interpretazione non esclude che in determinati luoghi o da parte
di specifici ordinamenti possano essere previste, anche in via
amministrativa, regole comportamentali diverse incompatibili con il
suddetto utilizzo, purché trovino una ragionevole e legittima
giustificazione sulla base di specifiche e settoriali esigenze.

Sentenza 08 maggio 2008, n.2105

Il servizio prestato nelle attività alternative all’insegnamento
della religione cattolica non è ritenuto valido per l’ammissione
alla sessione riservata di esami di abilitazione all’insegnamento –
ai sensi dell’art. 2, comma 4, dell’O.M. n. 153/1999 – soltanto
ove non prestato su posto di ruolo, né relativo a classi di concorso.
In questo senso, non vi è dubbio che si possa ravvisare alcun tipo di
esclusione per l’ipotesi di servizio di insegnamento prestato in una
materia avente una propria classe di concorso, pur se considerata
presso gli istituti statali come materia alternativa all’ora di
religione cattolica.

Sentenza 07 gennaio 2008, n.31

L’art. 5 della legge n. 186/2003 stabilisce che “il primo concorso
per titoli ed esami […] è riservato agli insegnanti di religione
cattolica che abbiano prestato servizio per almeno quattro anni nel
corso degli ultimi dieci anni” nella specifica materia di
insegnamento. La norma, espressamente qualificata come transitoria,
enuclea in via immediata la cerchia dei docenti che possono
partecipare alla speciale sessione di reclutamento. Essa esprime in
particolare la “ratio” di recuperare, con una prima tornata di
reclutamento, le posizioni degli insegnanti di religione cattolica
che, nel periodo antecedente, avessero reso l’attività di
insegnamento in condizioni di precarietà. Il possesso dei requisiti
di ammissione e, segnatamente, l’individuazione del decennio di
insegnamento nel cui ambito devono essere prestati i quattro anni
continuativi di insegnamento va, in conseguenza, necessariamente
raccordato alla data di entrata in vigore della legge n. 186/2993. In
tal senso, si è correttamente determinata – nel caso di specie –
l’Amministrazione, in sede di adozione del bando di concorso
pubblicato il 24.07.2003 e, a tal fine, ha fatto riferimento al
periodo di insegnamento che va dall’anno scolastico 1993/1994
all’anno scolastico 2002/2003.