Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

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Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Sentenza 09 giugno 2000, n.5397

E’ illegittima la deliberazione n. 3423 del 30.7.1996 della Giunta
Comunale di Milano (“Provvedimenti per l’avvio delle attività
delle civiche scuole secondarie per l’anno 1996/1997”), nella
parte in cui stabilisce la vigenza dei contratti annuali dei docenti
di religione al 30 giugno 1997, piuttosto che al 31 agosto 1997 e
afferma il diritto alla ricostruzione economica e giuridica delle
posizioni lavorative delle interessate (con gli accessori di legge),
in relazione al citato termine contrattuale (31 agosto). La
particolare configurazione dello status del docente di religione
cattolica è connessa alla peculiarità dell’insegnamento, e non
alla scuola (statale ovvero civica) presso la quale questo
insegnamento viene svolto. Pertanto agli insegnanti di religione vanno
garantite le medesime garanzie, proprie degli altri docenti, assunti
con contratto a tempo indeterminato. Il previsto rinnovo automatico,
in assenza di cause ostative, della nomina sui posti disponibili, con
ogni conseguenza in termini di status, comporta, infatti, una
sostanziale equiparazione giuridica tra insegnanti di religione con
incarico annuale e docenti assunti con contratto a tempo
indeterminato.

Sentenza 24 aprile 2001, n.5153

Ai fini del computo del periodo di servizio necessario per
l’ammissione alle sessioni di esame riservate di abilitazione
all’insegnamento nelle scuole secondarie, non può essere computato il
servizio di insegnamento della religione nella scuola statale non
esistendo rispetto a questo insegnamento, in considerazione del regime
concordatario particolare operante nella materia, una classe di
abilitazione o di concorso né uno specifico titolo di studio, ed
essendo il titolo abilitante costituito dal certificato di idoneità
rilasciato dall’ordinario diocesano, e cioè da un’Autorità estranea
all’ordinamento italiano. La diversità dei requisiti richiesti per
gli incarichi di docenza “ordinari” e quelli relativi alla
religione esclude la sussistenza di uguali situazioni regolate in modo
diverso e della conseguente violazione dei principi costituzionali,
invocati dall’appellante (l’insegnante di religione, a differenza
di ogni altro docente, è assunto e mantenuto in servizio in base al
giudizio discrezionale di un’autorità totalmente diversa da quella
scolastica).

Sentenza 07 maggio 2004, n.4447

Non è illegittima la determinazione del Dirigente della
Soprintendenza Scolastica, di approvazione delle graduatorie
permanenti definitive, previste dalla legge 03.05.1999, n. 124, per
l’immissione in ruolo e per il conferimento degli incarichi a tempo
determinato a personale docente nella scuola elementare, nella parte
in cui non è stato riconosciuto nei loro confronti il punteggio per i
servizi di insegnamento della religione cattolica in precedenza
prestati. I periodi di insegnamento della religione cattolica non
attribuiscono una posizione del tutto omologa a quella dei docenti
ordinari con ogni effetto ai fini dell’inserimento nelle graduatorie
per l’accesso agli incarichi ed alla nomina in via definitiva. Deve
quindi, ribadirsi – anche con riguardo alle insegnanti di religione
cattolica nelle scuole elementari – l’indirizzo giurisprudenziale
che ha costantemente riconosciuto il carattere di specialità della
posizione dei docenti di religione, in relazione ai differenziati
profili di abilitazione professionale richiesti, alle distinte
modalità di nomina e di accesso ai compiti didattici, alla
peculiarità dell’oggetto dell’insegnamento, che non ne sentono
l’omologazione agli insegnanti in posizione ordinaria (cfr. Cons.
St., Sez. VI^, n. 5153 del 28.09.2001; n. 530 del 27.04.1999; n. 756
del 12.05.1994). Costituisce, infatti, secondo i criteri ivi indicati
periodo di insegnamento utile all’ammissione a punteggio “il solo
servizio [. . .] relativo alla classe di concorso o posto per il quale
si chiede l’inserimento in graduatoria”. E’ agevole rilevare che
l’attività di insegnante di religione cattolica, nei suoi obiettivi
di apprendimento dei principi della dottrina della Chiesa Cattolica,
ha un oggetto specifico, del tutto distinto dalle materie e dai
programmi scolastici della scuola primaria. Il criterio selettivo
recepito negli atti impugnati non si configura, quindi,
discriminatorio, stante l’evidente non omogeneità dei servizi resi
nella qualità di insegnante della religione cattolica e di insegnante
ordinario di scuola primaria e, nei sensi della non assimilabilità
delle due tipologie di servizi, si è altresì pronunziata la Corte
Costituzionale con decisione n. 343 del 22.07.1999, in relazione ad
analoga fattispecie inerente all’assunzione in ruolo.

Sentenza 14 dicembre 2004, n.8026

L’edificio di culto rientra tra le attrezzature “pubbliche” o
“collettive”, cui sono destinate “adeguate aree”, individuate
in sede di formazione degli strumenti urbanistici generali. Pertanto
il diniego di concessione edilizia di un edificio di culto dei
Testimoni di Geova è legittimo, in quanto l’inserimento di un’area in
zona urbanistica B2 di p.r.g., per la quale lo strumento urbanistico
prevede la destinazione a “residenza”, “attività terziarie e
ricettive” ed altre minori, ma non anche ad attrezzature “pubbliche”
o “collettive”, non consente che nella zona possa essere
realizzato un edificio di culto. L’utilizzazione ad “attrezzature
collettive” degli immobili da costruire è rilevante sia ai fini
della suddivisione del territorio comunale in zone omogenee, sia, e
necessariamente, ai fini del rilascio della concessione edilizia,
giacché, altrimenti, verrebbero vanificate le scelte emerse in sede
di pianificazione. Anche per quanto riguarda la realizzazione
materiale di opere di interesse collettivo, dunque, l’esercizio
delle tradizionali facoltà proprietarie risulta costretto nel vigente
sistema della pianificazione, nel quale, come è noto, spetta al
pubblico potere (in specie al Comune) governare ed ordinare il
territorio, con l’obiettivo di razionalmente programmare ed indicare
(anche) quelle zone, in cui si collocano le attività di interesse
collettivo, con conseguente conformazione del tanto discusso “ius
aedificandi”. Né potrebbe validamente affermarsi che su un’area
di sua proprietà, il soggetto privato possa realizzare, senza alcun
costo né diretto né indiretto a carico di terzi, una scuola, un
impianto sportivo, un centro sociale, una chiesa od un edificio per
servizi religiosi.

Sentenza 10 maggio 2005, n.2234

L’art. 5, comma 1, dell’Accordo che apporta modificazioni al
Concordato Lateranense dell’11 febbraio 1929, firmato il 18 febbraio
1984 e ratificato con la L. 25 marzo 1985 n. 121, stabilisce che
“gli edifici aperti al culto non possono essere requisiti, occupati,
espropriati o demoliti se non per gravi ragioni e previo accordo con
la competente autorità eccesiastica”. Pertanto, posto che la
qualificazione dei beni finalizzati nel senso voluto dalla norma
assume rilevanza nell’ordinamento statale poichè introduce una
disciplina derogatoria speciale, essendo la deputatio ad cultum un
atto proprio dell’Autorità ecclesiastica, la verifica della
sussistenza di tale presupposto deve essere condotta alla luce del
Codice di Diritto Canonico. In particolare, il canone 1208 stabilisce,
al riguardo, che “della compiuta dedicazione o benedizione della
Chiesa si rediga un documento e se ne conservi una copia nella Curia
diocesana ed un’altra nell’archivio della Chiesa”. Ed il canone
1215 precisa ancora che “non si costruisca alcuna Chiesa senza il
consenso scritto del Vescovo Diocesano”. In mancanza di tale
documento che non ammette equipollenti, da redigere contestualmente
alla dedicatio o benedictio e conservare nei modi indicati, come
previsto e richiesto dal canone n. 1208, non può dunque ritenersi
integrato il presupposto richiesto per l’applicazione della
particolare disciplina in esame.

Parere 06 luglio 2005

L’art. 10 della Costituzione stabilisce che “la condizione giuridica
dello straniero”, cioè il suo status civile e politico, “è regolata
dalla legge in conformità delle norme e dei trattati internazionali ”
che, ai sensi dell’art. 80, se “sono di natura politica” o
“importano modificazioni di leggi” sono ratificati previa
autorizzazione legislativa dalle Camere. L’art. 117, inoltre,
riserva alla legislazione esclusiva dello Stato le materie, tra le
altre, della “condizione giuridica dei cittadini di Stati non
appartenenti all’Unione Europea”, dell'”immigrazione “, della
“legislazione elettorale, organi di governo e funzioni fondamentali di
Comuni, Province e Città metropolitane”. Tali norme dunque sono
univocamente coordinate tra loro e di contenuto tale da far ritenere
che la condizione giuridica degli stranieri e, in particolare, una
loro eventuale ammissione al voto, anche a livello comunale,
costituiscono materia riservata alla legislazione esclusiva dello
Stato, il quale può tuttavia delegare alle Regioni l’eventuale
relativa regolamentazione subordinata. In tema di attribuzione
dell’elettorato attivo e passivo agli stranieri non è pertanto
sufficiente richiamarsi genericamente alla natura “autonoma” degli
enti comunali, posto che – così nel vigente Titolo V come nelle
precedenti stesure – l’autonomia è in ogni caso coniugata e da
coniugarsi con gli altri principi fissati dalla Costituzione sopra
ricordati, i quali concorrono a definirne i contenuti.

Sentenza 14 marzo 2003, n.1776

La disciplina prevista dall’art. 1, commi 1 e 2, decreto legislativo
30 dicembre 1997, n. 504 che fissa il termine massimo complessivamente
non superiore a nove mesi, trova applicazione solo per le domande di
obiezione di coscienza presentate dopo la data dell’1 gennaio 2000,
mentre per i precedenti rimane in vigore il regime di cui all’art. 9,
comma 2, della legge n. 230 del 1998.

Sentenza 30 aprile 2002, n.6424

Il termine di cui all’art. 2, comma 2, della legge n. 772 del 1972,
risulta essere di carattere perentorio, e la non tempestività della
domanda può ragionevolmente essere richiamata dall’amministrazione a
congrua giustificazione della sua determinazione di respingere la
richiesta di riconoscimento dell’obiezione di coscienza.

Sentenza 23 aprile 2002, n.5684

Il termine di un anno di cui all’art. 21 della legge 31 maggio 1975,
n. 191, decorrente dalla cessazione del titolo al ritardo e destinato
a chiudersi con la tempestiva chiamata a rispondere all’obbligo di
leva, ancorché perentorio, è comunque ampliato fino a 18 mesi nel
caso di domanda di obiezione di coscienza volta a prestare il servizio
civile, in applicazione dell’art. 3 della legge, n. 772 del 1972.

Sentenza 23 aprile 2002, n.4916

Ai sensi dell’art. 1, commi 2 e 5, del decreto legislativo 30 dicembre
1997, n. 504, ai fini dell’avviamento degli obiettori di coscienza al
servizio civile sostitutivo di quello militare, devono tenersi
distinte le diverse discipline dettate per la fase transitoria e per
quella a regime. Nella fase a regime il termine massimo per l’impiego
dell’obiettore consta di nove mesi e comprende anche periodo
necessario per il riconoscimento della obiezione di coscienza; in
quella fase transitoria continua invece ad applicarsi il termine di
dodici mesi (decorrente dal riconoscimento) già previsto dall’art. 9
della legge 8 luglio 1998, n. 230.