Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

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Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Documenti • 23 Gennaio 2004

Parere 17 aprile 1997

Comitato Nazionale per la Bioetica: “Sperimentazione sugli animali e salute dei viventi”, 17 aprile 1997.

Tra le complesse ramificazioni della riflessione bioetica, quella che attiene allo statuto ontologico ed etico degli animali possiede un rilievo assolutamente essenziale. Si è infatti oramai ampiamente e giustificatamente diffusa la consapevolezza che la cultura occidentale, alla quale dobbiamo il prepotente e probabilmente inarrestabile diffondersi della "visione scientifica del mondo" (ma qualcuno direbbe anche: il mondo umano tout court), ha contratto nei confronti degli esseri viventi non umani e degli animali in particolare un grande debito, che probabilmente non potrà mai venire pagato esaustivamente.
L'oggettivazione, anzi la cosificazione del vivente non umano, e quella che con espressione forse enfatica, ma non scorretta, potremmo definire la sua umiliazione ontologica, hanno accompagnato e sorretto -fino, ripeto, ad epoche ben recenti- il progredire della visione moderna del cosmo, generando non solo vere e proprie deformazioni ideologiche dal peso epocale, quale -celebre tra tutte- la cartesiana, ma anche a livello di coscienza diffusa un atteggiamento freddo, disincantato, violento, e nei casi migliori indebitamente riduttivo verso ogni forma di vita diversa dalla nostra.
Avvertiamo tutti, e la bioetica se ne fa seriamente carico, che è necessario abbandonare risolutamente questo indebito paradigma, e per diverse ragioni: da quelle strettamente epistemologiche, che ne rivelano la fragilità teorica, a quelle più specificatamente etiche, che ne denunciano la carica intollerabile di tracotanza e di crudeltà, se non di sadismo, che inevitabilmente l'accompagnano. Ma naturalmente il cammino da compiere è ancora estremamente lungo: non solo perché dobbiamo liberarci da idee talmente cristallizzate nelle coscienze, da apparire ancora, a molti, assolutamente autoevidenti, ma soprattutto perché dobbiamo ritematizzare dalle radici ogni nostra forma di esperienza relazionale col vivente non umano, evitando tanto le fughe in avanti, quanto gli inutili arroccamenti pregiudiziali che accompagnano sempre tutte le epoche in cui un orizzonte concettuale entra in crisi e chiede di essere seriamente ripensato, riformulato e adeguatamente corretto.
Le considerazioni appena fatte vanno considerate come il presupposto, o, se si vuole, lo sfondo, delle riflessioni e delle valutazioni che il Comitato Nazionale per la Bioetica ha affidato al documento che qui si presenta. Il tema che il Comitato ha inteso affrontare non è quello, generalissimo, del nostro rapporto con gli animali, ma quello, ben più limitato, della giustificazione etica del sacrificio che noi compiamo a loro carico, quando li utilizziamo per fini di sperimentazione scientifica.
Il Comitato è stato ben consapevole, aprendo la propria riflessione su questo tema, di quanto esso sia controverso, non solo da un punto di vista bioetico, ma anche (e per alcuni soprattutto) da un punto di vista strettamente scientifico: spesso si sente provocatoriamente ripetere, anche da parte di studiosi molto qualificati, che la sperimentazione sugli animali sarebbe metodologicamente scorretta e, in definitiva, inutile; che attraverso di essa si verrebbe a compiere una sorta di rito propiziatorio, che andrebbe rigorosamente demistificato, denunciato e conseguentemente abbandonato. E' evidente che simili prospettive, ove fossero state ritenute condivisibili sotto ogni profilo, avrebbero reso superflua ogni ulteriore riflessione in materia. Pertanto il Comitato si è seriamente confrontato con queste provocazioni, acquisendo una documentazione ampia e articolata, di cui chiunque leggerà il documento potrà apprezzare il rigore; e dopo adeguate riflessioni e dibattiti è giunto alla conclusione che esse non siano capaci di delegittimare, in via strettamente fattuale, la logica della sperimentazione (in particolare nelle sue pretese di scientificità).
Questa acquisizione non ha comportato però di per sé, per il Comitato Nazionale per la Bioetica, alcuna immediata ricaduta di tipo bioetico: è assolutamente evidente, infatti, in particolare per i membri del Comitato, che la mera correttezza metodologica di una prassi scientifica non implica alcuna evidenza di tipo bioetico. E' stato quindi necessario riflettere sulle diverse possibili giustificazioni non scientifiche, ma per l'appunto bioetiche del sacrificio che chiediamo (o meglio imponiamo) agli animali: e queste giustificazioni si sono in qualche modo condensate nel titolo stesso che si è voluto dare a questo documento. E' nel nome stesso della salute dei viventi -e, si badi bene, non solo dei viventi umani, ma anche dei viventi non umani- che trovano le proprie giustificazioni etiche tutte le diverse forme di intervento umano sulla natura vivente, ivi comprese quelle attività -indubbiamente estreme- che implicano il sacrificio di forme di vita.
Non c'è dubbio alcuno che il Comitato, nel dare organizzazione sistematica alle proprie riflessioni, abbia presupposto che tra tutte le forme di vita, quella umana possieda un primato, non solo fattuale, ma soprattutto assiologico e che tale primato costituisca una giustificazione, peraltro non illimitata, della subordinazione all'uomo di ogni altro vivente. Ma si tratta di una subordinazione che non esclude che tra tutte le innumerevoli forme del vivente (ivi compresa quella umana) si dia una sorta di radicale e costitutiva solidarietà, che il più delle volte gli uomini avvertono in forme prelogiche ed emozionali (e proprio per questo psicologicamente cogenti) e che è compito della bioetica portare a compiuta chiarezza razionale, onde a partire da essa stabilire i necessari e invalicabili limiti etici che devono orientare il nostro rapporto col vivente in generale e in particolare con gli animali. Chi prenderà cognizione di questo documento, in tutta la sua articolata complessità, non potrà non dare atto al Comitato di aver costantemente richiamato gli scienziati e in particolare gli sperimentatori alle loro responsabilità bioetiche, e soprattutto di aver sottolineato quanto queste responsabilità bioetiche debbano trovare corrispondenza nella normazione positiva a difesa dell'ambiente e soprattutto degli animali.

Il documento che qui si presenta è stato elaborato da un gruppo di lavoro attivato il 16 febbraio 1996 e diretto dal Prof. Paolo Preziosi e del quale han fatto parte i Proff. Barni, Benciolini, Leocata, Romanini, Silvestrini, Tarro, Zanella. Il gruppo si è altresì avvalso dell'apporto essenziale di esperti esterni, che è doveroso ringraziare calorosamente, per la squisita disponibilità che hanno manifestato a collaborare con noi: la dott.ssa Mariachiara Tallacchini, dell'Università di Firenze e il Prof. Nello Rodolfo Lorenzini, Direttore del servizio qualità e sicurezza della sperimentazione animale dell'Istituto Superiore di Sanità, la cui esperienza e sensibilità metodologica ha lasciato tracce essenziali in quasi tutte le pagine bioetiche del documento. Un grato ringraziamento per la sua collaborazione va altresì al Prof. Romano Marabelli, Direttore Generale del Dipartimento Alimenti e Nutrizione -Sanità pubblica e veterinaria- del Ministero della Sanità. Conclusi i lavori del gruppo, la bozza del testo del documento è stata portata all'attenzione di tutti i membri del Comitato e discussa in sessione plenaria. In questa fase vanno rimarcati i contributi del Prof. Elio Sgreccia e soprattutto del Prof. Sergio Stammati, che hanno reso possibili ulteriori significativi miglioramenti del testo, sia dal punto di vista espositivo che soprattutto argomentativo. Esso infine è stato approvato all'unanimità nella seduta plenaria del 17 aprile 1997. Il Presidente Francesco D'Agostino.

Sintesi e raccomandazioni
La posizione welfarista ha indubbi pregi, in particolare per quanto riguarda l'approccio scientifico alla sofferenza.
Pur senza che si dia un riconoscimento scientificamente fondato e generalmente condiviso dell'esistenza, con diversi gradi e sfumature, di facoltà percettive e strutture cognitive in molti animali, il D.lgs. 27.1.1992 n°116 sulla sperimentazione animale parla di "dolore, sofferenza, angoscia": tali termini non rappresentano mere proiezioni antropomorfiche di condizioni umane, ma sono concetti precisi e ormai sufficientemente codificati negli studi di animal care, che alludono a modalità e intensità diverse di percezione immediata, prolungata, e di rappresentazione anticipata di stimoli o situazioni che negano una condizione di benessere.
D'altro canto, la difficile connotazione oggettuale del dolore non concerne solo gli animali, poiché lo stesso trattamento del dolore umano -anche solo dal riduzionistico punto di vista della "chimica del dolore"- presenta tratti complessi e sfumati.
Ciò significa che molto più della inattingibilità delle percezioni di esseri non umani -emblematicamente fissata dal filosofo Thomas Nagel nella domanda "Che effetto fa essere un pipistrello?" – è il "fenomeno dolore" a rivelarsi come un arcipelago difficilmente unificabile e circoscrivibile. Sembra pertanto prospettabile il seguente atteggiamento prudenziale.
Di fronte alla inattingibilità delle percezioni "altre", si può pensare di "fare un passo indietro" , vale a dire di riconoscere tutela agli animali anche quando vi sia solo una certezza indiziaria circa le loro facoltà percettivo-cognitive (per es. l'esistenza di strutture neuronali a ciò atte).
Tale atteggiamento non sembra contrastare con l'esigenza di scientificità: si tratta piuttosto di una corretta interazione tra dati scientifici e istanze morali, un atteggiamento che sonda e valuta consapevolmente le zone chiaroscurali del sapere scientifico, laddove esso si confronti con conoscenze incerte.
La necessità di riformare, in generale, il trattamento degli animali migliorandone le condizioni di esistenza deve essere poi integrato con una valutazione assiologica dell'impiego di animali (cui già si è fatto cenno).
Tale gerarchizzazione deve mettere in relazione l'importanza e serietà delle finalità sottese all'impiego di animali con la quantità di sofferenza che esso comporta.
Da questo punto di vista, certamente la sperimentazione è uno degli ambiti in cui la discussione è più seria. Con ciò si vuol dire che se a proposito di attività ludiche o di spettacolo, le ragioni a favore degli animali sembrano prevalenti, la sperimentazione ai fini di seria ricerca appare sia giustificata da finalità importanti sia difficilmente sostituibile.

La sperimentazione animale: un esercizio di mediazione
Se la sperimentazione è la questione più complessa a proposito degli animali, nel senso che essa non può essere sbrigativamente chiusa tacciandola di inutilità e assenza di scientificità, tale questione esige però attente distinzioni, dal momento che in essa confluiscono dati scientifici (la sperimentazione è/non è scientificamente fondata; è/non è sostituibile), filosofia della scienza (la scienza non è un sapere avalutativo), filosofia morale (gli animali devono essere rispettati), diritto positivo (norme sulla sperimentazione).
Le osservazioni che si possono avanzare rappresentano un modesto tentativo di mediazione tra le opposte istanze dell'attenzione per le vite animali, di una scientificità non meramente asserita, dell'attuale non totale sostituibilità della sperimentazione animale. In relazione a questa mediazione il diritto assolve un ruolo particolare, emblematico, peraltro, dei nuovi rapporti tra il diritto e la scienza.
Infatti, il diritto è sempre più chiamato a intervenire sulla scienza, rivestendo di significato normativo giudizi scientifici, per la determinazione, ad esempio, di requisiti tecnici, standard di sicurezza, valutazioni di rischio, etc..
Tale fenomeno non dipende da alcuna forma di pangiuridismo, ma piuttosto da una diffusa incertezza epistemica, per fronteggiare la quale diritto e scienza, a diverso titolo fonti di autorevolezza, si sostengono vicendevolmente dando vita a un'insolita trama di verità aletiche e asserzioni normative.
Da un lato il diritto fa propri i contenuti delle scienze, dall'altro la scienza, dispiegandosi socialmente, accetta di essere sagomata dal diritto.
Con particolare riferimento alla pratica sperimentale dell'utilizzo degli animali si ritiene che si possa parlare di "scelta etica" (intesa come capacità di scelta globale anche in termini volutamente restrittivi) della società civile che, attraverso varie legislazioni, ha riconosciuto ed individuato il concetto di "benessere animale"; concetto che, applicato alle condizioni sperimentali, viene praticamente inteso come "assenza di stress, dolore, angoscia, sofferenza" per l'animale da sperimentazione.
Gli operatori scientifici possono forse vedere in questa interferenza del diritto un'intromissione ab extra che calpesta le ragioni della scienza stessa. Al contrario, può esser ragionevole sostenere che questa tendenza a decidere in via normativa questioni scientifiche controverse, lungi dal poter essere banalizzata come uso demagogico del diritto, corrisponda a una visione filosofico-scientifica avanzata, consapevole della non neutralità assiologica dei giudizi scientifici e dell'importanza di un controllo sociale sull'evoluzione dell'impresa scientifico-tecnologica.

Conclusioni
Relativamente ad una normativa sulla sperimentazione biomedica nell'animale che appare piuttosto farraginosa, sembra maturo il tempo per una realistica revisione che tenga conto della fondamentale esigenza di un corretto confronto tra valori, ispirato ai fondamentali principi del rapporto tra scienza ed etica che la particolare attività di ricerca richiama in maniera emblematica.
Le soluzioni ristrettive adottate in Italia, al seguito della direttiva europea, che non era destinata a trasferirsi sic et simpliciter in norme giuridiche, ma solo ad ispirare una legge seria ed applicabile, meritano una rielaborazione che, accanto alle esigenze della protezione dell'animale, tenga in debito e logico conto le ansie del mondo scientifico per la tutela dell'ambiente e della salute dell'uomo, nel rispetto d'ogni essere vivente.
Tali garanzie più che da prescrizioni apodittiche possono nella realtà operativa essere offerte da un diverso impegno d'indole bioetica, sulla scorta di sistemi e linee guida altrove positivamente operanti.