Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

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Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Documenti • 4 Dicembre 2003

Sentenza 12 agosto 1992, n.790

Tribunale civile di Lucca. Sentenza 12 agosto 1992, n. 790.

Motivi della decisione

(omissis)

Ciò premesso al collegio compete, in primo luogo, accertare, rilevato che la istituzione della Landucci come legataria di usufrutto è, nella relativa clausola testamentaria, prevista “fino a tanto che rimanga nubile o fino a tanto che non conviva more uxorio”, quale sia la sorte di una siffatta clausola.

O meglio, premesso che il testatore, così disponendo, ha inteso apporre all’istituzione del legato una condizione risolutiva e considerato che una clausola come quella de qua viene a trovare la sua disciplina nel disposto di cui all’art. 636 comma 2 c.c., al collegio compete accertare quale sia la reale portata dell’art. 636 comma 2 c.c.

Il problema affrontato computamente in dottrina, è stato anche oggetto di contrastanti pronunce giurisprudenziali pur se in epoca non recente.

Si è, infatti, affermato, secondo una prima interpretazione, che la portata del comma 2 dell’art. 636 cit., essendo intimamente connessa con il comma 1, non può prescindere da una indagine in ordine all’effettiva volontà del testatore con la conseguenza che la clausola sarebbe nulla ove emergesse che con essa il testatore abbia inteso sanzionare patrimonialmente il legatario per il caso di ulteriori nozze mentre sarebbe valida ove, invece, emergesse che il testatore abbia con la clausola inteso assicurare al legatario per il tempo del celibato o della vedovanza i mezzi economici per affrontare meglio lo stato di celibato o di vedovanza senza alcuna intenzione di comprimere le libertà morali del legatario stesso. (In tal senso Cass. 4 marzo 1966 n. 641, in Giust. civ., 1966, I, p. 1354 ss.).

Con altra pronuncia, invece, si è sostenuto che il comma 2 cit. prescinde dalla volontà del testatore ed, in particolare, dall’intenzione dello stesso di impedire o meno le ulteriori nozze perché, fermo restando la illiceità della condizione di celibato o vedovanza prevista al comma 1 con riferimento ad una disposizione a titolo universale, il detto comma 2, contemplando le sole disposizioni a titolo particolare aventi ad oggetto diritti limitati nel tempo, detta una disciplina oggettiva del condizionamento della disposizione al tempo del celibato o della vedovanza, stabilendo, con valutazione aprioristica, completamente sganciata dalla reale intenzione del de cuius, la piena validità della clausola che imponga uno stato di celibato o impedisca determinate scelte di convivenza ad un legatario di usufrutto (in tal senso Cass. 26 giugno 1973, n. 1834, in Foro Ital., 1974, I, p. 172).

Ad avviso del collegio questa seconda lettura dell’art. 636 cit. appare più conforme al testo.

In effetti, premesso che con il primo comma il legislatore ha inteso prevedere la illiceità di una condizione che impedisce le prime nozze o le ulteriori e, quindi, anche di quella condizione che impedisce la convivenza, adoprando il termine “tuttavia”, per introdurre il secondo comma, ha chiaramente lasciato intendere che le condizioni di cui al primo comma, se concernono le disposizioni menzionate nel secondo comma, sono valide indipendentemente dalla volontà del testatore.

Né a tale interpretazione osta il fatto che la norma espressamente prevede che, ove la condizione si avveri, il legatario può godere del diritto legatogli solo durante il periodo di celibato perché sembra al collegio che con tale specificazione il legislatore ha inteso attribuire all’eventuale avveramento della condizione efficacia ex nunc e non ex tunc, in applicazione dell’art. 1360 comma 2 c.c. piuttosto che richiedere una indagine in ordine all’effettiva portata della volontà del testatore.

Orbene, poiché nel caso di specie la condizione si è avverata in quanto la Landucci si è sposata dopo la morte del de cuius, la qualità di legataria di usufrutto, attribuita alla detta Landucci, è venuta meno dal momento del matrimonio, con la conseguenza che la stessa da tale momento non ha alcun diritto di godere, a tale titolo, del bene legatole.

(omissis)