Sentenza 16 maggio 2000, n.6308
Cassazione. Prima Sezione civile. Sentenza 16 maggio 2000, n. 6308.
(A. Sensale; M.G. Luccioli)
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso, denunciando violazione dell’art. 8 n. 2 dell’Accordo del 18 febbraio 1984, modificativo del Concordato Lateranense dell’11 febbraio 1929, con riferimento all’art. 360 n. 3 e 5 c.p.c., si deduce che la Corte di Appello ha adottato una motivazione illegittima e contraddittoria nell’affermare che la prova testimoniale richiesta dalla M. era inammissibile in quanto l’eventuale contrasto con 1′ ordine pubblico andava verificato unicamente in base ad aspetti intrinseci del provvedimento delibando: si osserva che la conoscenza del vizio della volontà da parte dell’altro coniuge è del tutto irrilevante per l’ordinamento canonico e che pertanto il Tribunale Ecclesiastico non è tenuto a svolgere alcun accertamento al riguardo, mentre il giudice italiano deve accertare la ricorrenza di detto elemento in via del tutto autonoma.
Il motivo è infondato.
E’ noto invero che la declaratoria di esecutività della sentenza del tribunale ecclesiastico che abbia pronunciato la nullità del matrimonio concordatario per esclusione, da parte di uno soltanto dei coniugi, di uno dei bona matrimonii, cioè per divergenza unilaterale tra volontà e dichiarazione, postula che tale divergenza sia stata manifestata all’altro coniuge, ovvero che sia stata da questo effettivamente conosciuta, ovvero che non gli sia stata nota soltanto a causa della sua negligenza, atteso che ove le suindicate situazioni non ricorrano la delibazione trova ostacolo nella contrarietà con l’ordine pubblico italiano, nel cui ambito va ricompreso il principio fondamentale di tutela della buona fede e dell’affidamento incolpevole (v. per tutte, tra le tante, Cass. 1993 n.11951).
E’ altrettanto noto che se pure è vero che il giudice italiano è tenuto ad accertare la conoscenza o l’oggettiva conoscibilità di tale esclusione da parte dell’altro coniuge con piena autonomia, trattandosi di profilo estraneo, in quanto irrilevante, al processo canonico, senza limitarsi al controllo di legittimità della pronunzia ecclesiastica di nullità (v. per tutte, da ultimo, Cass. 1999 n. 4311), è tuttavia altrettanto vero che la relativa indagine deve essere condotta con esclusivo riferimento alla pronuncia delibanda (intesa l’espressione come comprensiva di entrambe le sentenze rese in sede ecclesiastica) ed agli atti del processo canonico eventualmente acquisiti, opportunamente riesaminati e valutati (ed in questi limiti va corretta la motivazione della sentenza impugnata, che ha ritenuto che detto accertamento debba essere svolto ” unicamente in base ad aspetti intrinseci del provvedimento di cui è chiesto il riconoscimento”), non essendovi luogo in fase delibatoria ad alcuna integrazione di attività istruttoria (v. Cass. 1999 n. 2325; 1998 n. 2530; 1996 n. 2138; 1991 n. 188).
E’ peraltro appena il caso di rilevare che 1′ accertamento svolto nella sentenza impugnata circa la conoscenza della M. dell’esclusione da parte del futuro coniuge di uno dei bona matrimonii non è sindacabile in questa sede di legittimità (v. Cass. 1998 n 6551; 1997 n. 8386).
Con il secondo motivo, denunciando violazione degli artt. 129 e 129 bis c.c., si deduce che il giudizio di delibazione è stato introdotto successivamente all’instaurazione della causa di divorzio e che il giudice statuale preventivamente adito è 1′ unico competente a regolare le condizioni patrimoniali delle parti. Si deduce altresì che resta comunque integro il diritto del coniuge in buona fede di ricevere dall’altro coniuge un contributo economico, che la buona fede va presunta fino a prova contraria, che anche ove fosse possibile ritenere che la M. aveva avuto conoscenza della simulazione andrebbe comunque ravvisata la buona fede della predetta.
Anche tale motivo è infondato.
Quanto al primo profilo di censura, relativo alla pendenza del giudizio di divorzio tra le parti, ne va rilevata 1’inammissibilità, in quanto prospettato per la prima volta in questa sede.
Per ciò che concerne le altre doglianze, è da ricordare che secondo la giurisprudenza consolidata di questa Suprema Corte ai fini dell’obbligazione indennitaria del coniuge cui sia imputabile la nullità del matrimonio, ai sensi dell’art. 129 bis c.c., il requisito della buona fede dell’altro coniuge, da presumersi sino a prova contraria, si identifica nella incolpevole ignoranza della specifica circostanza per la quale è stata pronunciata la nullità, correlando la norma tale requisito soggettivo alla nullità medesima (mentre è del tutto irrilevante la semplice ignoranza dell’attitudine di detta circostanza a travolgere 1’atto ed il vincolo matrimoniale), e che pertanto la dimostrazione della conoscenza di detta riserva da parte del1’altro coniuge implica di per sé il superamento dell’indicata presunzione (così Cass. 1996 n. 1780; 1995 n. 2734; 1990 n. 8703; 1986 n.4649).
Correttamente pertanto la sentenza impugnata, una volta accertato che il M. aveva esternato alla M. durante il fidanzamento il proprio pessimismo sull’esito del matrimonio ed il proposito di avvalersi eventualmente del rimedio del divorzio, ha escluso la sussistenza del requisito in discorso.
Il ricorso deve essere pertanto rigettato.
Sussistono giusti motivi per disporre la compensazione tra le parti delle spese di questo giudizio di cassazione.
PER QUESTO MOTIVO
La Corte di Cassazione rigetta il ricorso. Compensa le spese.
Autore:
Corte di Cassazione - Civile
Nazione:
Italia
Parole chiave:
Esclusione, Ordine pubblico, Divorzio, Esecutività, Bona matrimonii, Buona fede, Affidamento incolpevole, Vizio di volontà, Conoscenza, Declaratoria
Natura:
Sentenza