Sentenza 18 febbraio 1994, n.4638
Pretura di Napoli. Sezione lavoro. Sentenza 18 febbraio 1994, n. 4638.
Diritto
La domanda è completamente destituita di ogni fondamento e va rigettata.
Pacifiche le circostanze di fatto poste a fondamento delle pretese economiche azionate, e premesso che il prestatore d’opera non ha legittimazione attiva alla domanda di versamento dei contributi previdenziali (Cass. n. 2897 del 24 aprile 1985 – 10 giugno 1986), e che comunque la domanda irritualmente proposta sotto forma di richiesta di autorizzazione alla chiamata in causa dall’Istituto previdenziale competente, deve ritenersi anche abbandonata in corso di causa perché tale richiesta non risulta soddisfatta (ed anche non sollecitata), la tesi del ricorrente diretta sotto una duplice angolazione (sussistenza di un vero e proprio rapporto di lavoro subordinato, obbligo della Congregazione ai sensi dell’art. 702, secondo comma, del codice canonico), ad acquistare una prestazione di natura economica, di qualsiasi natura possa essa qualificarsi, non sembra nell’un verso e nell’altra potersi condividere.
La insussistenza del rapporto di lavoro subordinato nell’aggregazione di un religioso in professione di voti all’Ordine di aderenza ed adibito secondo regole interne della “Società” alla soddisfazione degli scopi apostolici, è stata sempre decisamente affermata in ragione dell’animus associativo quale “opera di evangelizzazione compiuta religionis causa, in adempimento ai fini della Congregazione stessa e regolata esclusivamente dal diritto canonico, conformemente al disposto dell’art. 2 dell’Accordo sottoscritto in Roma in data 10 febbraio 1984 tra Stato italiano e la Santa Sede, ratificato con la legge 25 marzo 1985, n. 121, nonché dall’art. 7 della Costituzione; pertanto, la prestazione di detta attività non legittima la religiosa alla proposizione della domanda di pagamento dell’indennità di anzianità ex art. 2120 cod. civ.” (Cass., sez. lav., 18 novembre 1985, n. 5674), ed è stata ribadita indirettamente per ogni attività sacerdotale espletata “in adempimento dei doveri connessi allo status di sacerdote o di religioso, nell’ambito dell’ordine di appartenenza e con l’intento, espresso o tacito, di gratuità” (Cass., sez. lav., 20 ottobre 1984, n. 5324, e Cass., sez. unite, 5 aprile 1986, n. 2366). Né tale domanda può trovare ingresso sul presupposto che le medesime prestazioni non sarebbero da considerarsi in modo diverso dalle comuni prestazioni lavorative, il che consentirebbe quanto meno di richiedere, in caso di dimissioni legittime, il trattamento di fine rapporto per il quale non vi sarebbe una rinuncia come per le retribuzioni via via maturate. L’assunto è insanabilmente contraddittorio. La rinuncia alle retribuzioni comporterebbe necessariamente anche la rinuncia all’accantonamento annuale per il trattamento di fine rapporto ai sensi della legge n. 297/82 e/o a qualsiasi altra analoga indennità, tenuto conto della natura giuridica definitivamente riconosciuta di retribuzione differita, talché alla c.d. cessazione del rapporto il “lavoratore” avrebbe diritto agli accantonamenti annuali mai effettuati (e non effettuabili, stante l’assoluta eccezionalità della previsione di maturazione del diritto) o alle relative erogazioni mai previste (e, per gli stessi motivi, non prevedibili) e cioè a nulla.
La irrituale (perché non proponibile secondo le leggi dello Stato italiano) domanda proposta al giudice del lavoro ai sensi del richiamato disposto del secondo comma dell’art. 702 del codice canonico sembra, infine, non tener minimamente conto della natura di norma priva di valenza precettiva della disposizione in esame, in linea con l’intera ratio del corpus normativo cui appartiene, che non trova la necessaria concretezza altrove. E ciò emerge proprio dalla prospettazione della domanda, la cui determinazione è rimessa molto semplicisticamente (ad impossibilia nemo tenetur) alla liquidazione equitativa del giudice, quando invece la prestazione economica trova precisa determinazione nella legge (o, in via delegata, nella contrattazione collettiva) in ogni ipotesi di sua sicura sussistenza: val quanto dire che la sua determinazione ne costituisce un elemento essenziale, senza il quale è lo stesso diritto a non avere nel corpo normativo una sua data di nascita. D’altronde, la genericità della sua previsione normativa in esame, ed ancor di più il riferimento all’equità e alla carità evangelica svuota decisamente di ogni contenuto necessariamente patrimoniale il “dovere” dell’Istituto, non rilevando tali elementi alcuna connotazione di pregnanza giuridica.
La domanda, pertanto, va rigettata e le spese del presente giudizio, per la singolarità delle questioni trattate, vanno dichiarate interamente compensate tra le parti.
(omissis)
Autore:
Pretura
Nazione:
Italia
Parole chiave:
Congregazione, Pretese economiche, Abbandono, Rapporto di lavoro, Rinuncia alla retribuzione, Rapporto di lavoro subordinato, Insussistenza, Attività svolte religionis causa
Natura:
Sentenza