Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

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Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Documenti • 7 Ottobre 2003

Sentenza 24 marzo 2000, n.6133

Consiglio di Stato. Sentenza 24 marzo 2000, n. 6133.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) ha pronunciato la seguente

DECISIONE

(omissis)

DIRITTO

Il ricorso è infondato.

Giova ricordare che la questione sottoposta all’esame del Collegio si inserisce, in via generale e salve le specificità della fattispecie, nel contesto della normativa che disciplina la nomina annuale degli insegnanti di Religione nelle scuole pubbliche (essenzialmente artt. 5, comma 1 e 6 L. 5 giugno 1930 n. 824 e art. 309 comma 2 D.L.vo 16 aprile 1994, n. 297).

Nel suo insieme, il sistema normativo richiamato è stato oggetto di esame da parte della Corte costituzionale (sent. 22 ottobre 1999, n. 390) che ne ha escluso il contrasto con il principio di uguaglianza, con il principio di ragionevolezza, con gli artt. 4 e 35 Cost., nonché con l’art. 97 Cost..

Significativamente, peraltro, il Giudice Costituzionale, nel tracciare le linee del sistema che prevede la nomina degli insegnanti di Religione, su proposta dell’Ordinario diocesano, con efficacia annuale, “senza alcuna possibilità di revoca ad libitum dell’incarico in presenza della revoca disposta dal medesimo ordinario diocesano”, perviene al giudizio di legittimità costituzionale attraverso passaggi logico-interpretativi che riconducono il sistema, per quanto particolarmente concerne il dedotto contrasto con l’art. 97 Cost., a criteri di ragionevolezza e non arbitrarietà.

Per quanto specificamente riguarda il caso di specie, la Corte ricorda che “in ragione della peculiarità di tale insegnamento che, nel rispetto della libertà di coscienza, è impartito in conformità alla dottrina della Chiesa, l’idoneità degli insegnanti deve essere riconosciuta dall’Autorità ecclesiastica e la loro nomina disposta dall’autorità scolastica d’intesa con essa (art. 9 n. 2 dell’Accordo di revisione del Concordato e punto 5 del protocollo addizionale). Il riconoscimento dell’idoneità presuppone una particolare qualificazione professionale degli insegnanti, i quali devono possedere uno dei titoli considerati adeguati per il livello scolastico nel quale l’insegnamento deve essere impartito; titoli che, in attuazione della previsione concordataria (punto 5, lett. a) e lett. b), n. 4, del protocollo di revisione del Concordato), sono stabiliti con la prevista intesa tra l’autorità scolastica e la Conferenza episcopale italiana (sottoscritta il 14 dicembre 1985 ed eseguita con il D.P.R. 16 dicembre 1985, n. 751).

Con il medesimo strumento della intesa (alla quale è stata data esecuzione con il D.P.R. 23 giugno 1990, n. 202) si è stabilito che il riconoscimento della idoneità all’insegnamento della religione ha effetto permanente, salvo revoca da parte dell’ordinario diocesano”.

Appare evidente che il giudizio positivo di costituzionalità della normativa in riferimento passa, nella lettura offerta dalla Corte Costituzionale, attraverso una interpretazione conforme ai fondamentali principi della nostra Costituzione.

Ne consegue che l’avere le norme concordatarie affidato in via esclusiva al giudizio dei competenti organi ecclesiastici la dichiarazione di idoneità all’insegnamento della religione comporta bensì l’impossibilità per il giudice italiano, di censurare ex se l’atto dichiarativo in parola, ma ciò non significa che esso non possa qualificarsi come atto endoprocedimentale finalizzato all’emissione dell’atto di nomina che resta di competenza dell’Autorità scolastica italiana.

Ma se così è, l’esercizio del potere di emettere il giudizio di idoneità da parte della Autorità ecclesiastica e del correlativo potere di revoca non può essere sottratto, affinché possa costituire valido presupposto per la legittimità dell’atto di nomina e per la sua revoca, ad un riscontro del corretto esercizio del potere secondo criteri di “ragionevolezza e di non arbitrarietà”.

Se così non fosse, una interpretazione della normativa in riferimento che consentisse l’acritico recepimento di atti autorizzatori dell’Autorità ecclesiastica palesemente abusivi e privi delle fondamentali caratteristiche che l’Ordinamento riconduce all’atto amministrativo, comporterebbe un giudizio di non conformità della normativa medesima ai principi costituzionali.

Nella specie, appare pertanto ultronea la doglianza del ricorrente Istituto secondo cui il giudice di primo grado avrebbe erroneamente censurato il comportamento dell’ordinario diocesano, eccedendo i propri limiti giurisdizionali.

Vero è, invece, che, per le particolarità della fattispecie, la palese contraddittorietà con cui l’Ordinario medesimo ha dapprima revocato la dichiarazione di idoneità nei confronti dell’appellata relativamente alla scuola per cui l’aveva già concessa e nello stesso giorno ha rilasciato, nei confronti della stessa persona, altra dichiarazione di idoneità per scuola dello stesso ordine diversamente ubicata, senza fornire un minimo di motivazione, ha determinato il convincimento del giudice che il potere così esercitato configurasse una forma di “straripamento di potere” che poneva l’atto autorizzatorio al di fuori di ogni regola fondamentale dal nostro Ordinamento in ordine ai requisiti capaci di conferire agli atti l’efficacia loro propria secondo lo schema normativo che li concerne.

In tali condizioni la pronuncia del giudice ha correttamente riguardato l’atto di revoca della nomina, atto proprio della autorità scolastica in quanto fondato su atto inidoneo a supportarlo.

Con ciò la sentenza impugnata non ha inciso sulle “opzioni discrezionali” che restano, in materia, riservate alla Autorità ecclesiastica (cfr. C.d.S. sez. VI-n. 365 del 16.9.1991), né ha inteso configurare un sindacato nel contenuto discrezionale dell’atto di designazione, bensì giudicare in ordine alla mancanza di valido supporto legittimamente per l’emissione dell’atto di revoca della nomina, impugnata in primo grado, atteso l’esercizio del potere privo di condizioni di ragionevolezza e di non arbitrarietà.

Le spese possono essere compensate.

P.Q.M.

il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione VI, definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe, lo respinge.

(omissis)