Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

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Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Documenti • 3 Ottobre 2003

Sentenza 26 gennaio 1999

Tribunale di Isernia. Sentenza 20-26 gennaio 1999.

(Cuomo; Daniello)

(omissis)

Ritiene il Tribunale, invece, che ricorrano gli estremi per una pronuncia di condanna in riferimento all’episodio contestato al capo b) del capo di imputazione nei confronti del Daniello, della Bufano e dell’Ameruoso. Il fatto storico, nella sua concreta verificazione, oltre ad essere comprovato dalla
deposizione della persona offesa e di altri testimoni, non è posto in dubbio nemmeno dalla
Bufano e dall’Ameruoso, che volontariamente si sono sottoposti ad esame.
Ad ulteriore conferma dell’andamento dei fatti giova segnalare la testimonianza di
Chicchino Carmela, che ha assistito, richiamata dalle implorazioni di aiuto della novizia, alla drammatica sequenza del rapimento e all’allontanamento della vettura, dal cui sportello sporgevano ancora i piedi della ragazza. La violenza dispiegata per costringere suor Maria Elisabetta a salire in macchina è testimoniata anche dal ritrovamento di un sandalo da costei calzato, immediatamente
consegnato alle suore del convento di Castelpetroso da Cicchino Carmela.

In riscontro a quanto dianzi esposto, la suora De Luca Carmela ha precisato di aver
comunicato per telefono la sera dei fatti con Bufano Maria, che disse « mia figlia sta con me
e la teniamo per qualche giorno ».

In diritto, è appena il caso di ribadire che ai fini della limitazione della libertà di
locomozione, richiesta dal delitto di sequestro di persona, non è necessario che la vittima sia fin dall’inizio contraria ad accompagnarsi con i futuri aggressori, ma basta che ad un certo momento si determini un evidente conflitto tra la volontà della vittima stessa ed il compor-tamento
obiettivo dei suoi accompagnatori, che con la loro condotta le impediscono, con
qualsiasi forma di violenza, anche passiva, di compiere atti di affrancamento della loro sfera
di arbitrio.

Non può revocarsi in dubbio che la giovane donna, peraltro maggiorenne, avesse
espressamente esternato la sua contrarietà al coercitivo trasferimento in altra dimora non
solo ai genitori ma anche al conducente (il cugino Ameruoso Vito), che appare consape-volmente coinvolto nella vicenda …

Trattenere a bordo di una vettura una persona che voglia scendere, proseguendo la
marcia in modo che essa non possa abbandonare il veicolo senza rischiare una lesione della
propria integrità fisica integra il reato di sequestro di persona (Cassazione pen., sez. V, 4 dicembre 1991).
In effetti la condotta in addebito non aveva prodotto soltanto l’effetto di allontanare la
novizia dal Convento, ma si era convertito in una indebita ritenzione per oltre un giorno,
nonostante la sua contraria volontà, esternata drammaticamente più volte durante il viaggio e, poi, a casa dei parenti.
Le stesse modalità del fatto appaiono dimostrative dell’esistenza di un concerto preventivo tra gli imputati come la proposta alla ragazza di visitare il luogo delle apparizioni,
dove sarebbe stato più facile attuare il piano per la presenza di un numero sparuto di
persone, che avrebbero potuto impedire il rapimento o allertare prontamente le forze
dell’ordine …
Ai fini della sussistenza dell’elemento psicologico è inconferente il motivo che ha
determinato la compressione della libertà della ragazza e che ha innescato la condotta,
sebbene le precedenti manifestazioni di ostilità dei genitori rispetto alle legittime aspettative della figlia forniscano utili chiavi di lettura.
Ed infatti, la giovane Daniello Filomena aveva fin dall’età di diciassette anni confidato
ai suoi genitori di voler prendere i voti e di entrare in convento.
A fronte dell’atteggiamento di rifiuto dei suoi familiari, la ragazza attese il compimento
della maggiore età e, nel mese di luglio del 1996, fuggì di casa per assecondare la sua
vocazione.
La novizia, all’epoca dei fatti appena diciottenne, appare una ragazza con un carattere particolarmente tenace e volitivo, che le aveva già fatto raggiungere un livello di maturazione sufficiente per assumere responsabilmente decisioni così importanti e tali da condizionare in maniera pregnante la sua futura esistenza.
Al contrario, i genitori, portatori di valori socio-culturali diversi ed improntati ad una
morale familiare del tutto intransigente, avrebbero forse voluto influire in maniera pre-gnante sulla vita della loro figlia, magari incidendo sui percorsi affettivi e lavorativi a cui costei avrebbe dovuto uniformarsi incondizionatamente.
I fatti in trattazione non si esauriscono soltanto in un gratuito episodio di violenza, ma attengono a vicende familiari che riguardano la libertà individuale di assumere consapevolmente autonome determinazioni e di disporre liberamente della propria vita.
Il Daniello e la Bufano non avevano mai accettato di buon grado l’apostolato della
giovane Filomena (peraltro maggiorenne) ne´, tampoco, il significato profondo di tale scelta, che si era tradotta in un legittimo atteggiamento di critica e di ribellione rispetto all’imposizione proveniente dagli imputati, depositari probabilmente di una concezione esistenziale che riteneva erroneamente l’attività monastica come un ostacolo al soddisfacimento dei
doveri di solidarietà sociali e familiari della figlia.
I tentativi di persuasione e di riconsiderazione del periodo, fino a quel momento trascorso in convento, effettuati con lunghi colloqui e con alcune telefonate, certamente non numerosi durante il periodo di noviziato, si erano mantenuti fino a quel momento nell’alveo della liceità, anche per verificare l’effettiva vocazione della ragazza e saggiare l’accettazione fino in fondo del conseguente regime di vita.
Quando gli imputati si erano avveduti del radicamento della convinzione della novizia
e del suo ostinato rifiuto a ritornare nel paese di origine, ordirono il piano di imporre, con modalità così mortificanti, la loro volontà con mezzi coercitivi di dissuasione.
Consentire o tollerare siffatte violenze, anche ad opera dei genitori, equivarrebbe a
legittimare la sovrapposizione coattiva della volontà di terzi sulle future scelte della persona, che degradata ad oggetto, verrebbe vulnerata nel diritto di autodeterminarsi per il prosieguo dell’esistenza.
La soppressione della libertà personale o una sua limitazione così grave, sminuisce in
modo notevole la funzione sociale dell’individuo, che viene violato nella sua dignità e spiritualità per aver preso una decisione con risvolti esistenziali così profondi e, comunque, rispettabili.
Le giustificazioni addotte dalla madre di aver ricondotto la figlia a casa allo scopo di
verificare se fosse stata plagiata dalle suore e soprattutto per sottoporla a controlli medici
non appaiono fondate, non essendo emersi deficit caratteriali, debolezze psicologiche,
nonché gravi forme patologiche ovvero trattamenti sanitari e farmacologici che avrebbero potuto legittimare una così pregnante restrizione fisica della ragazza.
In ogni caso, anche ammettendo la necessità di espletare riscontri diagnostici, è
incontestabile che le modalità attuative della privazione della libertà personale sono tra-smodate in un uso di mezzi esorbitanti rispetto al fine che gli imputati si erano prefissi (il che rende non configurabili nemmeno le invocate scriminanti dell’adempimento del dovere o dell’esercizio di diritti connessi all’esercizio della potestà genitoriale).

(omissis)