Sentenza 05 febbraio 1993, n.1470
Cassazione. Seconda sezione civile. Sentenza 5 febbraio 1993, n. 1470
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE II CIVILE ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da TURRISI DOMENICO, elettivamente domiciliato in Roma, Via Filippo Nicolai, 48 (c-o avv. Giuseppe Bartoli); rappresentato e difeso dall’avv. Attilio Grisafi giusta mandato in calce al ricorso.Ricorrente contro OPERA PIA COLLEGIO DI MARIA DI S. MAURO CASTELVERDE, in persona del legale rappresentante, elettivamente domiciliata in Roma, Via Capodistria, 18 (c-o avv. Serena Miceli); rappresentata e difesa dall’avv. Salvatore Restivo giusta mandato in calce al controricorso.Resistente Per l’annullamento della sentenza della Corte d’appello di Palermo 24-6-21-10-1988. Udita la relazione sulla causa svolta all’udienza del 24-2-1992 dal Cons. Dott. Preden.Udito l’avv. Giuseppe Bartoli – su delega dell’avv. Grisafi – per il ricorrente, il quale ha concluso per l’accoglimento del ricorso.Udito il P.M., in persona del dott. Dettori, il quale ha concluso per il rigetto del ricorso.
Ritenuto in diritto
1. Con il primo motivo – deducendo violazione e falsa applicazione dell’art. 117 Cost., dell’art. 14, lett. m, dello Statuto della Regione Sicilia, nonché del d.P.R. n. 9-1972 – lamenta il ricorrente che erroneamente la Corte d’appello avrebbe ritenuto sussistente la competenza del Prefetto in tema di autorizzazione alle opere pie ad accettare legati e quindi valido l’atto autorizzativo del 21-9-1972.
Sostiene, infatti, che, avendo l’art. 14, lett. m, del d. legisl (NDR: così nel testo). n. 455-1946, recante lo Statuto della Regione siciliana, attribuito alla Regione predetta la legislazione esclusiva in materia di “pubblica beneficenza ed opere pie”, alla medesima Regione spetta anche il potere di autorizzare tali enti ad accettare legati.
La censura non è fondata.
L’art. 14, lett. m, dello Statuto attribuisce alla Regione siciliana la competenza legislativa esclusiva in materia di “pubblica beneficenza ed opere pie”, ed il successivo art. 20 dispone che il Presidente e gli Assessori regionali svolgono, nella regione, le funzioni esecutive ed amministrative concernenti, tra l’altro, la suindicata materia.
Non pertinente appare tuttavia il richiamo alle citate disposizioni al fine di sostenere l’attribuzione alla Regione siciliana della competenza amministrativa ad autorizzare le opere pie a conseguire legali, poiché siffatta autorizzazione non rientra nella materia “pubblica beneficenza ed opere pie”.
Si tratta invero di una peculiare figura autorizzativa, finalizzata ad impedire il formarsi della cosiddetta “manomorta” ed a proteggere i diritti dei successibili, che inerisce al regime comune a tutte le persone giuridiche (art. 17 c.c.), quali che ne siano la natura e gli scopi istituzionali, così giustificandosi la riserva alla Stato della relativa competenza, come ha ritenuto la Corte costituzionale con le sentenze n. 139-1972 e n. 62-1973.
Nè vale opporre che le menzionate sentenze si riferiscono al d.P.R. n. 9-1972, che, all’art. 3, n. 5, stabilisce detta riserva solo nei confronti delle regioni a statuto ordinario, poiché la ratio delle decisioni (inerenza dell’autorizzazione al regime di tutte le persone giuridiche, pubbliche o private, in vista della tutela di interessi che si contrappongono a quello dell’ente autorizzando), è tale da consentirne l’estensione alle regioni a statuto speciale, e quindi anche alla Regione siciliana, nella vigenza della suindicata normativa.
Completezza d’esame impone altresì di osservare che non rileva, ai fini della decisione del caso in esame, il mutamento di disciplina introdotto dal d.P.R. n. 616-1977, all’art. 15 – che ha trasferito alle regioni, in relazione agli enti amministrativi da esse dipendenti, e delegato alle medesime, in relazione alle persone giuridiche private, l’esercizio delle funzioni amministrative concernenti l’acquisto di immobili e l’accettazione di donazioni, eredità e legati – poiché l’autorizzazione di cui si controverte risale ad epoca precedente (21-9-1972).
2. Con il secondo motivo – deducendo violazione dell’art. 2697 c.c. – il ricorrente addebita alla Corte d’appello di aver ritenuto sufficiente a dimostrare la giuridica esistenza dell’ente al momento dell’instaurazione del giudizio (5-10-1972) una certificazione prefettizia attestante l’esistenza dell’ente solo sino all’8-11-1966.
La censura non è fondata.
Esattamente la Corte d’appello ha rilevato che, attestando il certificato del Prefetto che il Collegio di Maria di S. Mauro di Castelverde era una IPAB riconosciuta agli effetti della l. n. 6972-1890, e non essendo stata proposta querela dl falso, la originaria giuridica esistenza dell’ente non era contestabile.
Nè può addebitarsi alla Corte del merito di non aver fatto gravare sull’ente l’onere di provare la sua persistente esistenza al momento dell’instaurazione del giudizio, poiché il convenuto non deduce di avere eccepito, innanzi al predetto giudice, la sopravvenienza di specifici eventi estintivi.
3. Vanno congiuntamente esaminati,in quanto tra loro connessi, il terzo ed ottavo motivo, con i quali il ricorrente – deducendo violazione degli artt. 649, 662 e 669 c.c., nonché dell’art. 295 c.p.c. – lamenta che: a) la Corte del merito lo avrebbe ritenuto passivamente legittimato, in relazione alla domanda di consegna dei beni, quale erede, ex art. 649, comma 3, c.c., malgrado tale qualità fosse controversa in altro giudizio, senza disporre la sospensione del giudizio sino all’esito dell’altro, e senza integrare il contraddittorio nei confronti degli altri eredi; b) ove poi la Corte avesse ritenuto promossa l’azione dall’Opera Pia nella veste di proprietaria, per rivendicare i terreni nei suoi confronti, quale terzo possessore dei terreni, sarebbe stata necessaria la rigorosa prova della proprietà, che l’attrice non ha invece fornito.
Le censure non sono fondate.
La Corte del merito, dopo aver osservato che il convenuto sarebbe stato legittimato, nella veste di erede, ai sensi dell’art. 649, comma 3, c.c. (in base al quale il legatario – che, in virtù dei precedenti commi, acquista la proprietà delLa cosa determinata oggetto del legato al momento della morte dei testatore, senza necessità di accettazione – è tenuto a domandare all’onerato il possesso della cosa legata), per essersi affermato tale, ha rilevato che la suindicata disposizione (indicata, per evidente errore materiale, come art. 669 c.c.) non era applicabile, postulando essa il possesso in capo all’erede, laddove, nel caso in esame, il possesso lo aveva un terzo (e cioè il Torrisi).
La censura sua risulta quindi formulata sulla base di un inesatto presupposto, e va disattesa.
Quanto alla censura sub b),vale identica considerazione. Non si rinviene, infatti, nell’impugnata sentenza, alcuna espressione indicativa di una qualificazione della domanda, da parte della Corte del merito, come azione di rivendicazione. Per converso, dal congiunto esame della narrativa e della parte motiva della sentenza si desume che la Corte d’appello ha ritenuto promossa dall’Opera Pia, quale legataria, una azione di rilascio di immobili detenuti dal Turrisi senza titolo. E cioè una azione personale, in relazione alla quale, non avendo il convenuto contrapposto un proprio titolo di proprietà, l’attrice non era soggetta al rigoroso onere probatorio proprio dell’azione di rivendicazione.
Nè sulla ammissibilità di una azione siffatta può questa Corte pronunciarsi, in difetto di specifica censura.
4. Con il quarto motivo – deducendo violazione degli artt. 676 e 65 c.p.c. – il ricorrente ripropone alcune doglianze attinenti al sequestro giudiziario (per essere stata eseguita la nomina del custode da organo incompetente; per aver effettuato la notifica della citazione per la convalida il messo di conciliazione, non delegato; per essere stato eseguito il sequestro su beni diversi da quelli indicati nel ricorso e nel decreto), già disattese dalla Corte del merito.
Il motivo è inammissibile, in quanto non reca alcuna censura avverso le argomentazioni svolte dalla Corte del merito circa l’intervenuta preclusione a sollevare le dette questioni.
5. Con il quinto motivo – deducendo insufficiente e contraddittoria motivazione – il ricorrente si duole della mancata ammissione della prova per testi tesa a dimostrare l’incapacità naturale del testatore.
La censura è infondata.
La Corte ha invero adeguatamente motivato sulla inconferenza delle prove richieste, rilevando che esse non consentivano, in difetto di “un preciso riferimento temporale, di relazionare l’eventuale strano comportamento del de cuius al momento della redazione del testamento.
6. Con il sesto motivo – deducendo violazione dell’art. 1150 c.c., e contraddittoria motivazione il ricorrente lamenta che la Corte d’appello, pur avendo accolto la domanda dell’Opera Pia ritenendolo possessore dei terreni, abbia poi negato l’ammissione delle prove da esso richieste a sostegno della domanda di attribuzione dell’indennità per i miglioramenti apportati ai fondi, sul rilievo che le dette prove non avevano ad oggetto il possesso dei beni.
La censura è infondata.
La Corte ha invero osservato che il possesso del convenuto risultava provato a decorrere dalla morte del fratello (e, permanendo sino al momento dell’instaurazione del giudizio, fondava la legittimazione del Turrisi), mentre nessuna prova l’appellante aveva articolato circa la sussistenza del possesso in epoca anteriore, quando le migliorie sarebbero state effettuate. Nessuna contraddizione è quindi ravvisabile, avendo la Corte avuto riguardo a situazioni di possesso riferite ad epoche diverse.
7. Con ii settimo motivo – denunciando violazione dell’art. 91 c.p.c. – il ricorrente si duole della condanna alle spese relative al giudizio svoltosi davanti al Pretore, sul rilievo che in detto giudizio egli sarebbe rimasto vittorioso, avendo il Pretore accolto la sua eccezione di incompetenza per valore.
La censura non è fondata.
Esattamente la Corte ha confermato le pregresse statuizioni sulle spese, ivi compresa quella attinente al giudizio pretorile.
Invero, la pronuncia di incompetenza è stata adottata dal Pretore a seguito della proposizione, da parte del convenuto Turrisi, di domanda riconvenzionale eccedente la competenza di quel giudice, sicché correttamente le spese del giudizio sono state poste a carico del predetto (sent. n. 1843-1966).
8. In conclusione, il ricorso va rigettato. Le spese seguono la soccombenza.
P.Q.M
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese, che liquida in L. 75.950 oltre L. 2.000.000 per onorari.
Autore:
Corte di Cassazione - Civile
Nazione:
Italia
Parole chiave:
Legati, Stato, Ipab, Autorizzazione, Riserva, Assistenza e beneficenza, Opera pia
Natura:
Sentenza