Sentenza 27 maggio 1996, n.178
Corte costituzionale. Sentenza 27 maggio 1996, n. 178: “Deducibilità delle erogazioni liberali ai Testimoni di Geova (art. 10, primo comma, lett. e) i) ed l) del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917″.
(Ferri; Granata)
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente: avv. Mauro FERRI;
Giudici: prof. Luigi MENGONI, prof. Enzo CHELI, dott. Renato GRANATA, prof. Francesco GUIZZI, prof. Cesare MIRABELLI, prof. Fernando SANTOSUOSSO, avv. Massimo VARI, dott. Cesare RUPERTO, dott. Riccardo CHIEPPA, prof. Gustavo ZAGREBELSKY, prof. Carlo MEZZANOTTE,
ha pronunciato la seguente
Sentenza
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 10 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597 (Istituzione e disciplina dell’imposta sul reddito delle persone fisiche) – recte: art. 10, primo comma, lett. e), i) ed l), del d.P.R. 22 dicembre 1986, n.917 (Approvazione del testo unico delle imposte sui redditi) -, promosso con ordinanza emessa il 15 dicembre 1994 dalla Commissione tributaria di I grado di Milano sul ricorso proposto da Fabiani Giandomenico Paolo contro l’Intendenza di Finanza di Milano, iscritta al n. 908 del registro ordinanze 1995 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 1, prima serie speciale, dell’anno 1996.
Visto l’atto di costituzione di Fabiani Giandomenico Paolo, nonchè gli atti di intervento della Congregazione dei Testimoni di Geova e del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica del 16 aprile 1996 il Giudice relatore Renato Granata;
udito l’avv.to Paolo Barile per Fabiani Giandomenico Paolo e per la Congregazione Cristiana dei Testimoni di Geova e l’Avvocato dello Stato Carlo Salimei per il Presidente del Consiglio dei ministri.
(omissis)
Considerato in diritto
1. — è stata sollevata questione incidentale di legittimità costituzionale – in riferimento agli artt. 2, 3, 8, 19 e 53 della Costituzione – dell’art. 10 del d.P.R. 29 settembre 1973, n.597 (Istituzione e disciplina dell’imposta sul reddito delle persone fisiche), nella parte in cui dispone la deducibilità dal reddito, ai fini dell’IRPEF, di erogazioni liberali dei fedeli a favore di quelle sole confessioni religiose che abbiano stipulato un’intesa con lo Stato italiano, per sospetta violazione (principalmente) del principio di eguaglianza sotto il profilo dell’illegittima discriminazione sia tra confessioni religiose che tra singoli fedeli in ragione dell’esistenza, o meno, dell'”intesa” ex art. 8, terzo comma, della Costituzione, elemento questo asseritamente inidoneo a giustificare la disciplina differenziata della deducibilità di tali erogazioni.
2. — Preliminarmente va dichiarato ammissibile l’intervento della Congregazione cristiana dei Testimoni di Geova atteso che essa è portatrice di un interesse specificamente proprio e qualificato per il fatto di essere destinataria dell’elargizione liberale della cui deducibilità si discute nel giudizio a quo.
3. — Va poi precisato – disattendendosi la eccezione di inammissibilità avanzata dalla Avvocatura dello Stato sul rilievo di una asserita equivocità della ordinanza di rimessione circa la individuazione del testo normativo censurato – che la disposizione oggetto della questione proposta si identifica de plano – in ragione del contenuto precettivo chiaramente individuato dal giudice a q5uo – non già, come indicato per mero errore in dispositivo, nell’art. 10 del d.P.R. 29 settembre 1973, n.597 (che, nel disciplinare gli oneri deducibili ai fini dell’IRPEF, non contiene alcuna previsione in tema di deducibilità di elargizioni liberali in favore di confessioni religiose), bensì, come indicato nella motivazione, nel successivo art. 10 del d.P.R. 22 dicembre 1986, n.917 (Approvazione del testo unico delle imposte sui redditi), e più esattamente nel citato art. 10 come sostituito dall’art. 2 del decreto-legge 31 maggio 1994, n. 330, convertito in legge 27 luglio 1994, n. 473, che nel comma 1, lettere e), i) ed l), detta la nuova disciplina degli oneri deducibili in questione.
In particolare tale disposizione prevede, alla lettera i) del comma 1, la deducibilità dal reddito complessivo delle erogazioni liberali in danaro, fino all’importo di due milioni di lire, a favore dell’Istituto centrale per il sostentamento del clero della Chiesa cattolica italiana. Deducibilità, peraltro, già prevista in termini testualmente identici dall’art. 46 della legge 20 maggio 1985, n. 222 (Disposizioni sugli enti e beni ecclesiastici in Italia e per il sostentamento del clero cattolico in servizio nelle diocesi), nel quale si aggiunge soltanto che le relative modalità sono determinate con decreto del Ministro delle finanze, ripetendo alla lettera identica disposizione delle norme per la disciplina della materia degli enti e beni ecclesiastici formulate dalla commissione paritetica istituita dall’art. 7, numero 6, dell’accordo, con protocollo addizionale, del 18 febbraio 1984 che ha apportato modificazioni al Concordato lateranense del 1929 tra lo Stato italiano e la Santa Sede.
A sua volta, la lettera l) del cit. art. 10 contempla lo stesso beneficio della deducibilità per le erogazioni liberali in danaro, di cui rispettivamente all’art. 29, comma 2, della legge 22 novembre 1988, n.516 (Norme per la regolazione dei rapporti tra lo Stato e l’Unione italiana delle Chiese cristiane avventiste del 7° giorno), all’art. 21, comma 1, della legge 22 novembre 1988, n.517 (Norme per la regolazione dei rapporti tra lo Stato e le Assemblee di Dio in Italia) e all’art. 3, comma 2, della legge 5 ottobre 1993, n.409 (Integrazione dell’intesa tra il Governo della Repubblica italiana e la Tavola valdese, in attuazione dell’articolo 8, terzo comma, della Costituzione). Si tratta di tre confessioni religiose che hanno regolato i loro rapporti con lo Stato con distinte intese (ex art. 8, terzo comma, della Costituzione), recepite in legge, nelle quali è previsto il beneficio della deducibilità in termini (analoghi, ma) non identici, né tra loro né con riguardo a quelli contemplati dall’art. 46 della legge n.222 del 1985 cit. in favore della Chiesa cattolica. Infatti l’art. 29 della legge n.516 del 1988 – senza peraltro limitare il destinatario dell’elargizione ad un ente centralizzato della confessione (come invece fa l’art. 46 cit.) – prevede il beneficio per le erogazioni destinate (oltre che al sostentamento del clero, al pari dell’art. 46 cit.) anche a specifiche esigenze di culto e di evangelizzazione. Analogamente l’art. 21 della legge n.517 del 1988 prevede anche la deducibilità di elargizioni liberali per soddisfare le esigenze di cura delle anime e di amministrazione ecclesiastica. Ancora ulteriormente differenziato è il beneficio della deducibilità riconosciuto dall’art. 3 della legge n.409 del 1993 cit. perché, oltre al fine di culto, sono previsti anche quelli di istruzione e beneficenza nonché quelli delle Chiese e degli enti aventi parte nell’ordinamento valdese.
Infine, la lettera e) del citato art. 10, nella sua seconda parte, menziona “i contributi di cui all’art. 30 comma 2 della legge 8 marzo 1989, n. 101” ripetendo che questi contributi “sono deducibili alle condizioni e nei limiti ivi stabiliti”. Disposizione – questa di cui al richiamato art. 30, comma 2, della citata legge 8 marzo 1989, n.101 (Norme per la regolazione dei rapporti tra lo Stato e l’Unione delle Comunità ebraiche italiane) – la quale appunto prevede un’ulteriore ipotesi di deducibilità, che però riguarda (non più le elargizioni liberali, ma) i contributi annuali corrisposti dagli appartenenti alle Comunità israelitiche ai sensi dell’art. 18 dello Statuto dell’ebraismo italiano; diversa è anche la misura del beneficio, perché l’importo di tali contributi è deducibile dal reddito complessivo imponibile (ai fini dell’IRPEF) fino a concorrenza del dieci per cento del reddito per un importo massimo non superiore a lire settemilionicinquecentomila.
4. — Inoltre va ricordato che la normativa ora riferita, successivamente alla ordinanza di rimessione, si è arricchita di altre disposizioni – art. 16 della legge 12 aprile 1995, n.116 (Norme per la regolazione dei rapporti tra lo Stato e l’Unione Cristiana Evangelica Battista d’Italia) ed art. 26 della legge 29 novembre 1995, n. 520 (Norme per la regolazione dei rapporti tra lo Stato e la Chiesa Evangelica Luterana in Italia (CELI)) – le quali prevedono ulteriori ipotesi di deducibilità delle elargizioni liberali sempre previamente concordate in intese, poi recepite in legge, tra lo Stato italiano e distinte confessioni acattoliche.
5. — A ben vedere, quindi, la censura di costituzionalità – in quanto da intendersi riferita, come si è chiarito, all’art. 10, comma 1, lettere e), i) ed l), del d.P.R. 22 dicembre 1986, n.917 – investe alcune delle ipotesi di deducibilità di elargizioni fatte in favore di confessioni religiose, le quali concorrono a comporre il più complesso e variegato quadro normativo sopra sinteticamente tracciato. Ma, pur così identificata la disposizione censurata, la questione di costituzionalità è inammissibile. Ed infatti, ove anche fosse rinvenibile in tale disposizione (la quale peraltro dovrebbe essere integrata dalle altre analoghe citate che completano il quadro normativo, ma che non potevano non restare fuori – ratione temporis – dalla questione come sopra sollevata) una tendenza legislativa favorevole a disciplinare in sede di intesa la deducibilità delle elargizioni liberali in esame, rispetto alla quale fosse in ipotesi configurabile una discriminazione in danno delle confessioni senza intesa, si dovrebbe comunque prendere atto che tale orientamento si è finora tradotto sempre e soltanto in specifiche discipline di attuazione di intese con singole confessioni, discipline similari ma nient’affatto sovrapponibili integralmente, sicché mancherebbe anche il modello univoco (sia quanto alle finalità, sia quanto alla natura dell’elargizione e al destinatario della stessa, sia quanto alla misura della deducibilità) che – in ipotesi con una pronuncia additiva quale è sostanzialmente quella richiesta dalla Commissione rimettente – possa estendersi ad ogni confessione senza intesa.
Alla stregua, quindi, della stessa impostazione della questione di costituzionalità come proposta dal giudice rimettente, deve constatarsi che in ogni caso la possibilità di prendere in esame la necessità di estendere alle confessioni senza intesa la attribuzione di un beneficio, che in ipotesi si assumesse essere allo stato illegittimamente limitato alle sole confessioni con intesa, è in limine preclusa dalla mancanza di quella “disciplina, posta da una legge comune, volta ad agevolare l’esercizio” del diritto di libertà religiosa, quale è la disciplina cui ha avuto riguardo la sentenza n. 195 del 1993. Vi sono invece distinte disposizioni specifiche, aventi ciascuna un contenuto precettivo variamente modulato; contenuto che per tale specifica sua connotazione rende appunto in limine inutile – e quindi inammissibile – lo scrutinio di costituzionalità richiesto dalla Commissione rimettente per estenderne l’ambito di applicazione.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 10, primo comma, lett. e), i) ed l), del d.P.R. 22 dicembre 1986, n.917 (Approvazione del testo unico delle imposte sui redditi) sollevata, in riferimento agli artt. 2, 3, 8, 19 e 53 della Costituzione, dalla Commissione tributaria di primo grado di Milano con l’ordinanza indicata in epigrafe.
(omissis)
Autore:
Corte Costituzionale
Nazione:
Italia
Parole chiave:
Erogazioni liberali, Intesa, Confessioni religiose, Testimoni di Geova, Laicità, Principio di eguaglianza
Natura:
Sentenza