Sentenza 14 maggio 2018, n.11696
Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 30 novembre 2017 – 14 maggio 2018, n. 11696
Presidente Tirelli – Relatore Acierno
Fatti di causa
1. La Corte d’appello di (omissis), confermando la sentenza di primo grado, ha respinto il ricorso proposto da P.D. e F.C.H. volto a far dichiarare l’illegittimità del rifiuto di trascrizione del loro matrimonio celebrato in (omissis) il (omissis) e, successivamente, con rito civile in (omissis) il (omissis) .
2. A sostegno della decisione la Corte territoriale ha affermato che alla luce del complessivo quadro costituzionale e convenzionale i singoli Stati membri del Consiglio d’Europa conservano la libertà di scegliere il modello di unione (tra persone dello stesso sesso) giuridicamente riconosciuta nell’ordinamento interno e che in ordine a tale modello deve rinvenirsi una riserva assoluta di legislazione nazionale. Il matrimonio tra persone dello stesso sesso non corrisponde al modello matrimoniale delineato dal nostro ordinamento e, di conseguenza, la trascrizione di un atto estero di tale contenuto determinerebbe un quadro d’incertezza incompatibile con l’assetto e la funzione della trascrizione.
3. Avverso tale pronuncia hanno proposto ricorso per cassazione P.D. e F.H. sulla base di due motivi. Ha resistito con controricorso e ricorso incidentale il sindaco di (omissis) come Ufficiale del Governo ed ha proposto controricorso adesivo l’associazione "Rete Lenford". Hanno depositato memoria i ricorrenti e i controricorrenti adesivi "Rete Lenford".
Ragioni della decisione
4. Deve rilevarsi, preliminarmente, che nelle more del giudizio per cassazione è intervenuta la L. n. 76 del 2016 ed i decreti legislativi delegati previsti dall’art.1, comma 28, lettera b) riguardanti l’adeguamento delle disposizioni dell’ordinamento dello stato civile in materia di iscrizioni, trascrizioni ed annotazioni nonché delle norme in materia di diritto internazionale privato. Sono stati, infatti, emanati rispettivamente i decreti legislativi 19 gennaio 2017 n. 5 e 7 del 2017.
4.1. L’illustrazione dei motivi di ricorso verrà, conseguentemente completata dalle integrazioni contenute nelle memorie depositate, dovendosi affrontare, tra gli altri, il profilo dell’applicabilità della nuova disciplina normativa anche ai rapporti sorti prima dell’entrata in vigore del nuovo complesso sistema legislativo, ed ai giudizi instaurati anteriormente ad esso.
5. Nel primo motivo di ricorso viene dedotta la violazione e falsa applicazione del principio generale del favor matrimonì in relazione agli artt. 2, 3, 29 della Costituzione, nonché del principio di tassatività e tipicità delle fattispecie, del principio della conservazione degli atti, del diritto alla vita familiare e del divieto di discriminazione. In particolare, le parti contestano che il matrimonio tra persone dello stesso sesso celebrato all’estero sia inidoneo alla produzione di effetti giuridici nel nostro ordinamento e che viga il principio di tassatività in ordine alla trascrizione degli atti. Viene rilevato che l’art. 63, secondo comma, del d.p.r. n. 396 del 2000, stabilisce che i matrimoni celebrati all’estero, davanti all’autorità locale, secondo le leggi del luogo, devono essere trascritti nei registri dello stato civile e che l’art. 27 della l. n. 218 del 1995 afferma che la capacità matrimoniale e le altre condizioni per contrarre matrimonio sono regolate dalla legge nazionale del nubendo. Infine l’art. 115 cod. civ. richiama per il cittadino italiano le norme nazionali sulle condizioni per contrarre matrimonio contenute negli artt. 84 e ss. cod. civ. Nessuna di tali norme contiene riferimenti testuali diretti od indiretti alla diversità di sesso dei coniugi. Una volta soddisfatti i requisiti sostanziali di stato e capacità previsti dalla legge italiana il matrimonio del cittadino italiano celebrato nel rispetto della lex loci ha immediata validità nel nostro ordinamento.
Alla luce di queste premesse, una volta superata anche dalla giurisprudenza di legittimità la tesi dell’inesistenza giuridica del matrimonio contratto tra persone dello stesso sesso e la vigenza dell’art. 9 della Carta dei diritti Fondamentali dell’Unione Europea e 12 della CEDU rimane priva di fondamento l’intrascrivibilità del predetto matrimonio.
Se la differenza di sesso tra i nubendi non è un requisito necessario per la esistenza e validità del matrimonio non può neanche incidere sulla sua efficacia.
Né può più ritenersi la contrarietà al parametro dell’ordine pubblico del matrimonio in questione ex art. 16 l. n. 218 del 1995, essendo tale impedimento escluso dalla giurisprudenza di legittimità ed essendo applicabile il principio secondo il quale i matrimoni celebrati tra cittadini italiani e stranieri hanno immediata rilevanza nel nostro ordinamento sempre che essi risultino celebrati secondo le forme previste dalla legge straniera e sempre che sussistano i requisiti di capacità previsti dalla legge nazionale.
6. Nel secondo motivo viene dedotta specificamente la violazione del divieto di discriminazione in ordine all’affermazione della Corte d’appello secondo la quale il matrimonio tra persone dello stesso sesso non corrisponde alla tipologia di matrimonio delineato nel nostro ordinamento e perciò non è trascrivibile. La trascrizione ha solo efficacia certativa e non costitutiva di un atto che è immediatamente valido ed efficace tanto che non sarebbe consentito un secondo matrimonio di uno dei componenti l’unione coniugale in questione ex art. 116 cod. civ. Inoltre il ricorrente di nazionalità brasiliana, ha ottenuto il rilascio del permesso di soggiorno per motivi familiari proprio in considerazione dell’unione matrimoniale. Alla luce della giurisprudenza Cedu in tema d’interpretazione degli artt. 8, 12 e 14 della Convenzione non si riscontra alcuna proporzionalità nella soluzione adottata dalla Corte d’appello. Essa viola la vita privata e famigliare dei ricorrenti, la loro libertà individuale e li discrimina in ragione del loro orientamento sessuale.
7. Le ragioni dei ricorrenti sono state corroborate anche dal controricorso adesivo dell’Associazione "Rete Lenford", in particolare sotto il profilo dell’insussistenza dell’impedimento dovuto alla contrarietà all’ordine pubblico da intendersi come ordine pubblico internazionale, attualmente del tutto aperto al riconoscimento giuridico delle unioni tra persone dello stesso sesso. La scelta del modello è rimessa al legislatore interno e non entra nella valutazione di compatibilità posta dal limite dell’ordine pubblico internazionale.
8. Nella memoria delle parti ricorrenti è stata evidenziata l’entrata in vigore della legge n. 76 del 2016 e la previsione nell’art. 1, comma 28 lettera b), della delega al Governo per l’emanazione di decreti attuativi in ordine alla materia del diritto internazionale privato "prevedendo l’applicazione della disciplina dell’unione civile tra persone dello stesso sesso regolata dalle leggi italiane alle coppie formate da persone dello stesso sesso che abbiano contratto all’estero matrimonio, unione civile o altro istituto analogo".
Nella relazione illustrativa era stato sostenuto che "per quanto riguarda il matrimonio tra persone dello stesso sesso celebrato all’estero, la soluzione obbligata è quella per cui lo stesso produce in Italia gli effetti dell’unione civile regolata dalla legge italiana, indipendentemente dalla cittadinanza (italiana o straniera) delle parti". Successivamente, tuttavia, la Commissione affari Costituzionali del Senato e le Commissioni Giustizia di Camera e Senato hanno rilevato che questa formulazione così ampia contraddicesse i principi generali in materia di diritto internazionale privato, determinando una situazione di disparità di trattamento tra coppie dello stesso sesso straniere coniugate all’estero e coppie unite all’estero da un vincolo diverso dal matrimonio. Da tale indicazione è sorta la formulazione dell’art. 32bis della l. n. 218 del 1995, che stabilisce solo per i cittadini italiani dello stesso sesso che abbiano contratto matrimonio all’estero la produzione nel nostro ordinamento degli effetti dell’unione civile.
La norma è applicabile soltanto nell’ipotesi in cui entrambi i nubendi siano italiani. La conclusione è suggerita dalla relazione accompagnatoria che riferisce la soluzione al matrimonio contratto all’estero, ove si tratti di cittadini italiani dello stesso sesso.
La norma sulla trascrizione applicabile, pertanto, è l’art. 125, comma 5, r.d. n. 1238 del 1939 che prescrive la trascrizione nei registri di matrimonio degli atti di matrimonio celebrati all’estero.
Dunque la legge italiana non può più regolare situazioni, quali quella dedotta in giudizio, antecedenti il 5 giugno 2016 (data di entrata in vigore della l. n. 76 del 2016).
9. Nella memoria dell’associazione "Rete Lenford" viene affrontata specificamente la categoria delle coppie cd. miste, ovvero composte da un cittadino italiano ed un cittadino straniero con matrimonio celebrato all’estero. Questa tipologia di unione coniugale non può produrre gli effetti dell’unione civile, in quanto il citato art. 32 bis l. n. 218 del 1995 limita tale peculiare effetto solo ai matrimoni contratti dai cittadini italiani. La conferma della correttezza dell’inapplicabilità della limitazione degli effetti alle coppie miste deriva dal confronto tra lo schema di decreto legislativo trasmesso una prima volta al Parlamento, che si riferiva genericamente al matrimonio contratto all’estero da persone dello stesso sesso, e il testo effettivamente adottato che si riferisce invece a "cittadini italiani dello stesso sesso". Il rinvio esclusivo alla legge italiana avrebbe impedito l’applicazione delle regole di diritto internazionale privato il cui scopo è il coordinamento con gli ordinamenti stranieri.
Nella memoria viene, infine, sottolineato il difetto di coordinamento normativo tra l’art. 125, comma 5, n.1 del r.d. n. 1238 del 1939, che prescrive la trascrizione nei registri di matrimonio celebrati all’estero e l’art. 134 bis, introdotto dal d.lgs n. 5 del 2017, secondo il quale tutti gli atti di costituzione delle unioni civili avvenute all’estero e gli atti di matrimonio tra persone dello stesso sesso avvenuti all’estero devono essere trascritti nel registro delle unioni civili. Si tratta di una dimenticanza del legislatore delegato, come sottolineato anche dal Consiglio Nazionale del Notariato. Deve pertanto ritenersi che il citato art. 134 bis sia applicabile soltanto ai matrimoni contratti da soli cittadini italiani all’estero in quanto non è plausibile che una tipologia di matrimonio che secondo le norme di diritto internazionale privato può essere trascritto come tale debba subire, per una disposizione relativa ad una fase meramente certativa, una sorte diversa. I matrimoni composti da coppie miste non sono stati celebrati all’estero con un intento elusivo, costituendo l’esercizio di un diritto soggettivo riconosciuto dall’art. 12 Cedu e 9 Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea.
L’unione matrimoniale dedotta nel presente giudizio non solo è coerente con la lex soci, ma ha un elemento di transnazionalità che non è stato creato ad hoc ma è agganciato alla legge nazionale di uno dei coniugi, e, dunque, nell’esercizio di un diritto fondamentale. In conclusione, l’art. 32 bis l. n. 218 del 1995 non è applicabile alla fattispecie.
9.1 L’applicazione del cd. downgrading (ovvero l’applicazione della disciplina normativa delle unioni civili) anche ai matrimoni cd. misti determinerebbe una violazione dell’art. 3 Cost. Ove si ritenga, contro il chiaro dato testuale, che l’art. 32 bis sopra citato sia applicabile alla fattispecie, deve essere prospettata eccezione d’illegittimità costituzionale delle seguenti norme:
– art. 1, comma 28, lettera b) l. n. 76 del 2016 nella parte in cui prevede anche per i matrimoni formati all’estero da una coppia formata da un cittadino italiano e da uno straniero l’applicazione della disciplina dell’unione civile;
– l’art. 134 bis comma 3 lettera a) del r.d. n. 1238 del 1939 nella parte in cui prevede che nel registro delle unioni civili di cui all’art. 14 n. 4bis del r.d. n. 1238 del 1939 debbano trascriversi tutti gli atti di matrimoni tra persone dello stesso sesso avvenuti all’estero.
L’eccezione viene prospettata in relazione agli artt. 2, 3, 29 e 117 Cost. nonché in relazione agli artt. 8 e 14 Cedu. L’interpretazione censurabile sarebbe infatti fondata soltanto sul sesso e sull’orientamento sessuale dei coniugi così violando il principio di uguaglianza.
In assenza dell’impedimento costituito dalla contrarietà all’ordine pubblico internazionale non è ragionevole ed è discriminatoria la disparità di trattamento tra matrimonio contratto all’estero da coppia eterosessuale e dello stesso sesso nell’ipotesi di matrimonio cd. misto.
10. ECCEZIONI PRELIMINARI D’INAMMISSIBILITÀ DEL RICORSO.
Preliminarmente devono essere affrontate le eccezioni d’inammissibilità del ricorso per cassazione prospettate dall’Avvocatura dello Stato in rappresentanza e difesa del Sindaco in qualità di ufficiale del Governo.
10.1 In primo luogo è stato dedotto il difetto di notifica del ricorso per cassazione al Procuratore generale presso la Corte di cassazione. Le parti ricorrenti hanno depositato all’udienza del 30 novembre 2017 la copia dell’avviso di ricevimento dell’atto regolarmente notificato al suddetto Procuratore generale. Deve, peraltro, evidenziarsi che il ricorso non deve essere notificato al Procuratore generale presso la Corte di Cassazione ma soltanto all’ufficio della Procura generale presso la Corte d’appello, in quanto parte del giudizio che ha dato luogo al provvedimento impugnato. La giurisprudenza costante di questa Corte, ha, al riguardo, stabilito che anche tale ultima omissione sia priva di rilievo ove le conclusioni del P.G. presso la corte d’appello siano state accolte dalla sentenza impugnata e il controllo di legittimità sia stato assicurato dalla partecipazione al procedimento davanti la Corte di cassazione del Procuratore generale che abbia, come nella specie, rassegnato le sue conclusioni (Cass. 11211 del 2014).
10.2 Il Procuratore generale, all’udienza pubblica del 30 novembre 2017, ha concluso per il rigetto del ricorso, richiamando gli orientamenti già espressi da questa Corte ante legge n. 76 del 2016, ed ha ritenuto la fattispecie dedotta in giudizio, ratione temporis, non regolata dalla nuova legge.
11. È stato prospettato dalla parte controricorrente anche un unico motivo di ricorso incidentale volto alla dichiarazione di nullità della sentenza impugnata e di tutto il procedimento per effetto della mancata notifica del ricorso introduttivo e del reclamo al Sindaco del comune di (omissis)in qualità di Ufficiale del Governo presso l’Avvocatura di Stato. Presumibilmente il ricorso ed il reclamo sono stati notificati direttamente al Sindaco e non presso l’Avvocatura di Stato, trascurando la sua qualità di Ufficiale del Governo nella specie, ma il giudice del merito, sia in primo che in secondo grado, non ha disposto la rinnovazione della notificazione.
11.1 La censura deve essere disattesa. Tra le attribuzioni del sindaco nei servizi di competenza statale, l’art. 54 del d.lgs n. 267 del 2000 include specificamente alla lettera a) la tenuta dei registri dello stato civile. Questa funzione pubblica viene svolta dal sindaco in qualità di Ufficiale del Governo. L’eccezione prospettata richiede il preventivo l’esame della natura dell’attività svolta dal Sindaco in tale peculiare ruolo. Può osservarsi al riguardo che si tratta dell’esercizio di una funzione certificativa a carattere dichiarativo del tutto priva di discrezionalità amministrativa, in quanto regolata esclusivamente da norme legislative o regolamentari che ne pongono in luce la vincolatività. Il potere di rifiuto della trascrizione dell’atto, se contrario all’ordine pubblico, si colloca all’interno dell’esercizio di una funzione amministrativa vincolata dal momento che il parametro alla luce del quale verificare la coerenza o la non conformità a tale canone deriva da un complesso tessuto costituzionale, convenzionale e legislativo e più specificamente, per gli ufficiali di stato civile, dalle prescrizioni, per essi cogenti, contenute nelle circolari del Ministero degli Interni al riguardo. L’ulteriore indice della natura vincolata della funzione svolta e della correlata situazione di diritto soggettivo del richiedente la trascrizione si può cogliere nella giurisdizione del giudice ordinario e nell’articolazione del rapporto tra organo giudicante e ufficiale dello stato civile così come previsto dalla norma. Al riguardo, a fronte del rifiuto alla trascrizione dell’atto, il richiedente può proporre ricorso giurisdizionale nei modi indicati nell’art. 95, c.1.d.p.r. n. 396 del 2000 e ai sensi del successivo art. 96 c.1: "Il tribunale puo, senza particolari formalità, assumere informazioni, acquisire documenti e disporre l’audizione dell’ufficiale dello stato civile. 2. Il tribunale, prima di provvedere, deve sentire il procuratore della Repubblica e gli interessati e richiedere, se del caso, il parere del giudice tutelare".
L’audizione dell’ufficiale dello stato civile, ha, pertanto, natura eventuale, in quanto conseguente alle valutazioni relative alle esigenze istruttorie formulate dal Tribunale e non è, di conseguenza, idonea a predeterminare una partecipazione necessaria dell’Ufficiale dello stato civile al giudizio.
12. APPLICABILITÀ DELLA L. N. 76 DEL 2016 E DEI DECRETI LEGISLATIVI DELEGATIVI N. 5 E 7 DEL 2017 AL GIUDIZIO.
Pregiudiziale all’esame dei singoli motivi di ricorso è la verifica dell’applicabilità alla fattispecie dedotta in giudizio della nuova disciplina normativa relativa alle unioni civili tra persone dello stesso sesso. Nella specie il matrimonio di cui si chiede la trascrizione è stato contratto prima del 5 giugno 2016, giorno in cui è entrata in vigore la l. n. 76 del 2016 ed anche il giudizio è stato instaurato anteriormente a tale data.
La giurisprudenza di legittimità, in relazione a un caso analogo (matrimonio contratto all’estero da due cittadini italiani dello stesso sesso), con la sentenza n. 4124 del 2012 ha escluso la legittimità della trascrizione e, successivamente, con la sentenza n. 2400 del 2015 ha ritenuto inapplicabile il modello matrimoniale alle unioni omoaffettive, in una fattispecie sorta dal rifiuto di procedere alle pubblicazioni matrimoniali, nonostante la indubitabile riconducibilità di tali unioni tra le formazioni sociali che godono di pieno riconoscimento e protezione ex art. 2 Cost.
In entrambe le decisioni è stato evidenziato come sia l’art. 9 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea sia l’art. 12 Cedu, non impongano agli Stati l’adozione del modello matrimoniale per il riconoscimento giuridico delle unioni omoaffettive al loro interno, ferma la necessità di garantire un grado di protezione dei diritti individuali e relazionali sorti da tali unioni tendenzialmente omogeneo a quelle coniugali.
La conseguenza, prospettata dal Procuratore Generale nella propria requisitoria, della inapplicabilità del nuovo regime giuridico introdotto dalla l. n. 76 del 2016, anche alla luce delle pronunce n. 138 del 2010 e 170 del 2014, è la radicale intrascrivibilità del matrimonio contratto da una coppia omoaffettiva all’estero.
Tale conclusione, tuttavia, non può essere integralmente condivisa, dal momento che la legge n. 76 del 2016 oltre ad introdurre un peculiare modello giuridicamente riconosciuto per le unioni omoaffettive, ha regolato specificamente anche la disciplina delle trascrizioni dei matrimoni o delle unioni giuridicamente riconosciute di natura omoaffettiva contratte all’estero.
Il legislatore ha avvertito l’inadeguatezza della regolazione dei rapporti di famiglia contenuti nel Titolo III, capo IV della l. n. 218 del 1995 ed ha introdotto gli artt. 32 bis, ter, quater, quinquies. Gli artt. 32 ter e quater hanno ad oggetto l’individuazione della giurisdizione e della legge applicabile in ordine alla capacità e alle condizioni per contrarre matrimonio e allo scioglimento delle unioni civili. Gli artt. 32 bis e quinquies riguardano, invece, specificamente il tema degli effetti nel nostro ordinamento dei matrimoni e delle unioni civili (o istituti analoghi come precisa l’art. 32 quinquies) contratte all’estero da cittadini italiani.
La definizione degli effetti rispettivamente del matrimonio e dell’unione civile (o istituto analogo) contratti all’estero da cittadini italiani non può essere temporalmente limitata, proprio in virtù dell’intrinseca ratio della novella, alle relazioni coniugali o alle unioni giuridicamente riconosciute, contratte dopo l’entrata in vigore della legge italiana né può essere condizionata dalla data d’instaurazione del giudizio. Nessuna delle due norme contiene la delimitazione dell’efficacia temporale del meccanismo legislativo di conversione (nell’ipotesi del matrimonio contratto all’estero) o di equiparazione degli effetti (nell’ipotesi dell’unione contratta all’estero) e, del resto, una previsione diversa avrebbe determinato un’ingiustificata ed irragionevole disparità di trattamento per i cittadini italiani che abbiano contratto matrimoni o unioni all’estero prima dell’entrata in vigore della nuova legge, ai quali sarebbe preclusa in via generale l’applicazione delle nuove norme di diritto internazionale privato, volte proprio ad evitare soluzioni di continuità e disomogeneità di condizioni di riconoscimento e di tutela all’interno del nostro ordinamento, con riferimento a situazioni omogenee.
L’applicazione delle nuove norme ai rapporti sorti prima della sua entrata in vigore non costituisce una deroga al principio d’irretroattività della legge, ma una conseguenza della specifica funzione di coordinamento e legittima circolazione degli status posta alla base della loro introduzione nell’ordinamento.
L’esigenza primaria, indicata anche nel comma 28 dell’art. 1 della l. n. 76 del 2016, nel quale è definito l’ambito della delega al Governo nella materia, deve rinvenirsi proprio nella necessità di fornire un regime giuridico uniforme alle coppie che abbiano (già) contratto all’estero un matrimonio, unione civile od altro istituto.
Poiché con il matrimonio o con l’unione civile od istituto analogo si costituisce uno status tipicamente a natura non istantanea, ma destinato a durare nel tempo quanto meno fino all’eventuale suo scioglimento, deve essere applicato, in tema di riconoscimento degli effetti di esso in ordinamento diverso da quello in cui il vincolo è stato contratto, il regime giuridico vigente al momento della decisione, non essendo costituzionalmente compatibile una soluzione che, solo in virtù di una preclusione temporale, potrebbe impedire il riconoscimento di effetti giuridici all’interno del nostro ordinamento a cittadini italiani e stranieri.
13. LA TRASCRIZIONE DEL MATRIMONIO CONTRATTO ALL’ESTERO DA UN CITTADINO ITALIANO E DA UN CITTADINO STRANIERO.
Premessa l’astratta applicabilità del nuovo regime di diritto internazionale privato alla fattispecie dedotta in giudizio, ed in particolare degli artt. 32 bis e quinquies, specificamente riguardanti il riconoscimento di matrimoni o unioni riconosciute contratte all’estero, deve in primo luogo essere definito l’oggetto dell’accertamento relativo al riconoscimento dell’efficacia di atti, provvedimenti o sentenze straniere nel nostro ordinamento secondo gli artt. 64 e ss. della l. n. 218 del 1995.
13.1 Il giudizio di riconoscimento degli atti e dei provvedimenti giurisdizionali esteri.
Secondo il consolidato orientamento di questa Corte, il sindacato giurisdizionale deve essere rivolto agli effetti che possono prodursi nel nostro ordinamento a causa del riconoscimento o, nella specie, della trascrizione dell’atto, senza che lo stesso possa essere sottoposto ad un sindacato contenutistico (Cass. 15343 del 2016) o, nel caso si tratti di una sentenza straniera, senza che si debba verificare la correttezza della soluzione adottata dal giudice straniero in relazione alla disciplina di diritto positivo interno (cfr. Cass. 9483 del 2013, sulla irrilevanza della diversità del regime patrimoniale coniugale vigente negli Stati Uniti rispetto a quello italiano).
Neanche l’accertamento dell’esistenza (o della mancanza) di analogo istituto nell’ordinamento italiano costituisce, in linea generale, un ostacolo impeditivo al riconoscimento, come è accaduto nelle pronunce che hanno riconosciuto provvedimenti e sentenze straniere di divorzio ancorché negli ordinamenti di provenienza non fosse conosciuta la separazione personale.
Il limite effettivo, in ordine ai rapporti di famiglia, è costituito dal complesso dei principi anche di natura valoriale, costituzionale e convenzionale che, sul fondamento della dignità della persona, della uguaglianza di genere e della non discriminazione tra generi ed in relazione all’orientamento sessuale, determinano l’orizzonte non oltrepassabile dell’ordine pubblico internazionale.
Un atto o provvedimento straniero che sia rispettoso di tale limite merita di essere riconosciuto nel nostro ordinamento con riferimento specifico agli effetti che è destinato a produrre.
13.2 La peculiarità della domanda.
L’applicazione dei principi sopra esposti alla fattispecie dedotta nel presente giudizio presenta delle peculiarità che meritano di essere sinteticamente rilevate.
Le parti ricorrenti hanno richiesto la trascrizione dell’atto di matrimonio come tale.
Esse, come ribadito anche in tutti gli atti difensivi dimessi in giudizio, richiedono il riconoscimento della loro unione coniugale come matrimonio e non come unione civile. Non ritengono legittima l’applicazione del cd. downgrading ovvero la conversione della loro unione matrimoniale in unione civile.
Non ritengono, di conseguenza, sufficiente che mediante la trascrizione negli atti del registro delle unioni civili del loro matrimonio si producano automaticamente nel nostro ordinamento gli effetti giuridici previsti dalla L. n. 76 del 2016 e la conseguente, tendenziale, equiparazione delle tutele a quelle previste per l’unione coniugale con i limiti in essa indicati e salva la clausola di salvaguardia per i diritti già riconosciuti in sede giurisdizionale, contenuta nel comma 20 dell’art. 1 della L. 76 del 2016.
Alla peculiarità della domanda proposta dalle parti ricorrenti corrisponde specularmente la complessità del sistema giuridico ad essa astrattamente applicabile.
Deve rilevarsi, al riguardo, che le norme di diritto internazionale privato (artt. 64 e ss l. n. 218 del 1995; per i provvedimenti ed atti in materia di famiglia, artt. 65 e 66), come già evidenziato, concernono il riconoscimento degli effetti dell’atto. L’impedimento costituito dalla contrarietà all’ordine pubblico, nella configurazione sopra delineata, coerente con gli orientamenti di questa Corte (Cass. 11599 del 2016 e S.U.16601 del 2017), riguarda gli effetti e non la qualificazione dell’atto.
A tal proposito deve precisarsi che la disciplina contenuta nell’art. 28 della l. n. 218 del 1995, relativa alla validità formale del matrimonio, riguarda la legge applicabile e non il riconoscimento o la trascrizione dell’atto formato all’estero.
Ai fini dell’individuazione della legge applicabile per la validità formale dell’atto, in via generale, concorre con gli altri criteri anche quello del luogo della celebrazione ma tale disposizione non incide sulla determinazione degli effetti nonché delle condizioni e capacità matrimoniali che, anche ai fini della legge applicabile, sono regolate dal criterio della legge nazionale dei contraenti (art. 27). Quest’ultima, ove diversa, darà luogo ad ambiti di riferimento giuridico diverso, rispetto ai quali non viene indicato un criterio di prevalenza.
Nel caso di specie, la non contrarietà all’ordine pubblico internazionale, così come interpretato dal legislatore della l. n. 76 del 2016 e dei decreti delegati, del riconoscimento del matrimonio e delle unioni civili o istituti analoghi contratti all’estero, è consacrata dagli artt. 32 bis e quinquies della L. n. 218 del 1995. Gli atti di matrimonio e di unioni riconosciute producono senz’altro effetti giuridici nel nostro ordinamento secondo il regime di convertibilità stabilito dalle nuove norme.
13.3 L’esame del quadro giuridico di riferimento.
La norma cardine per stabilire entro che limiti può essere riconosciuto nel nostro ordinamento l’atto di matrimonio dedotto nel presente giudizio è l’art. 32 bis della l. n. 218 del 1995.
La norma dispone che "Il matrimonio contratto all’estero da cittadini italiani con persona dello stesso sesso produce gli effetti dell’unione civile regolata dalla legge italiana."
La formulazione vigente è frutto di una modifica del testo iniziale, dovuta all’intervento correttivo sollecitato dalle Commissioni Affari Costituzionali e Giustizia sul testo precedente che non prevedeva la limitazione della conversione in unione civile ai matrimoni contratti da "cittadini italiani" all’estero ma si riferiva genericamente ai matrimoni contratti all’estero, comprendendovi anche i cittadini stranieri. Tale estensione è stata ritenuta ingiustificata rispetto alla ratio antielusiva posta a base della nuova norma.
In particolare si è ritenuto che quando il matrimonio è stato contratto all’estero da cittadini stranieri non può ravvisarsi in esso alcun intento di aggiramento della L. n. 76 del 2016 e del modello di unione civile vigente nel nostro ordinamento, così da doversi escludere la necessità di derogare alle regole generalmente applicabili di diritto internazionale privato in relazione alla legge applicabile a tale relazione coniugale.
In tale peculiare ipotesi non può essere ignorato il carattere intrinsecamente transnazionale del rapporto matrimoniale contratto tra cittadini stranieri, in quanto caratterizzato da un sufficiente grado di estraneità rispetto al nostro ordinamento, con conseguente operatività dei criteri di collegamento stabiliti negli artt. da 26 a 30 della l. n. 218 del 1995 o, ove applicabili, dei regolamenti UE in materia matrimoniale (Regolamento CE n. 2201 del 2003 e 1259 del 2010).
L’art. 32 bis, in conclusione, non trova applicazione diretta nell’ipotesi in cui venga richiesto il riconoscimento di un’unione coniugale contratta all’estero tra due cittadini stranieri. Il matrimonio dovrebbe essere trascritto, in questa ipotesi, come tale, senza operare alcuna conversione ancorché l’art. 63 del r.d. n. 1238 del 1939, così come modificato dal d.lgs n. 5 del 2017, non preveda un registro dei matrimoni contratti da cittadini stranieri dello stesso sesso all’estero ma, al contrario, per questa ipotesi stabilisca, verosimilmente per un difetto di coordinamento con l’altro d.lgs n. 7 del 2017, all’art. 63, c. 2, lettera c-bis, che anche tali atti vadano trascritti nel registro delle unioni civili. Tale profilo critico, tuttavia non incide sull’applicazione della regola sostanziale della lex fori, in considerazione della funzione meramente certificativa della trascrizione di un atto che sia idoneo a produrre effetti nell’ordinamento ove ciò sia stato richiesto in forza di una norma di legge o di un provvedimento giurisdizionale.
Il testo dell’art. 32 bis lascia tuttavia irrisolta la questione, formante oggetto del presente giudizio, relativa alla trascrizione in Italia del matrimonio tra persone dello stesso sesso, di cui una sia cittadino italiano e l’altro cittadino straniero, contratto all’estero.
Come già rilevato, le nuove norme regolative della trascrizione (e della conseguente produzione degli effetti nel nostro ordinamento) delle unioni matrimoniali (o delle unioni civili) omoaffettive contratte all’estero sono l’art. 32 bis e l’art. 32 quinquies.
Dall’esame coordinato di esse può essere ricavato in primo luogo il principio, definito efficacemente dalla dottrina di ordine pubblico "positivo", di netto favor in ordine al riconoscimento giuridico delle unioni omoaffettive ed all’accesso alle unioni civili ex l. n. 76 del 2016.
L’art. 32 quinquies contiene una clausola di salvaguardia secondo la quale le unioni civili o altri istituti analoghi, anche se non dotati di un complesso di strumenti di tutela equiparabili a quelli contenuti nella l. n.76 del 2016, producono gli stessi effetti delle unioni civili regolate dalla legge italiana. La norma stabilisce la prevalenza della legge italiana rispetto a leggi straniere che non tutelino in maniera equivalente tali unioni e costituisce uno degli indicatori della centralità e l’esclusività della scelta adottata dal legislatore italiano in ordine al riconoscimento delle unioni omoaffettive.
L’art. 32 bis completa, pertanto, il quadro degli effetti che possono produrre le diverse tipologie di unioni formate da coppie omoaffettive nel nostro ordinamento, in quanto stabilisce anche per l’ipotesi dell’unione coniugale contratta all’estero quantomeno la produzione degli effetti dell’unione civile ex L. n. 76 del 2016.
Deve, in conclusione, ritenersi che il legislatore italiano abbia inteso esercitare pienamente la libertà di scelta del modello di riconoscimento giuridico delle unioni omoaffettive coerentemente con il quadro convenzionale (artt. 8 e 12 Cedu) e con quello derivante dal sistema anche costituzionale dell’Unione Europea (art. 9 Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea).
È stato prefigurato un sistema di riconoscimento delle unioni omoaffettive, contratte all’estero, fondato sulla preminenza del modello adottato nel diritto interno delle unioni civili.
Con la legge n. 76 del 2016 il legislatore ha colmato il vuoto di tutela che caratterizzava l’ordinamento interno, così come richiesto dalla Corte Cost. con la sentenza n. 170 del 2014 e dalla Corte Europea dei diritti umani nella sentenza Oliari contro Italia (sentenza del 21 luglio 2105 ricorsi n.18766 e 36030 del 2011), operando una scelta diversa da quella di molti altri Stati, fondata, invece sull’adozione del modello matrimoniale.
Tale scelta è stata il frutto dell’esercizio di una discrezionalità legislativa del tutto rientrante nel "potere di apprezzamento degli Stati" indicato dalla giurisprudenza della Corte Edu proprio con riferimento all’interpretazione dell’art. 12 (Sentenza Schalk e Kopf del 3 giugno 2010, ricorso n. 30141 del 2004) e della precisa indicazione proveniente dalla citata sentenza n. 170 del 2014.
Per le unioni omoaffettive è stato scelto un modello di riconoscimento giuridico peculiare, ancorché in larga parte conformato, per quanto riguarda i diritti ed i doveri dei componenti dell’unione, al rapporto matrimoniale. Alla diversità della "forma" dell’unione civile rispetto al matrimonio corrisponde, peraltro, un’ampia equiparazione degli strumenti di regolazione, realizzata attraverso la tecnica del rinvio alla disciplina codicistica del rapporto matrimoniale da ritenersi, anche in ordine alla funzione adeguatrice della giurisprudenza, il parametro di riferimento antidiscriminatorio.
13.4 n riconoscimento del matrimonio formato all’estero da cittadino italiano e cittadino straniero.
Prima di procedere all’esame del nuovo sistema di diritto internazionale privato relativo agli effetti dei matrimoni e delle unioni contratte all’estero da cittadini dello stesso sesso, è necessario ribadire che all’esito del rifiuto della trascrizione dell’atto (o in virtù dell’opposizione al riconoscimento di un titolo giurisdizionale estero), il sindacato giurisdizionale riguarda gli effetti dell’atto o del provvedimento e non è limitato alla forma dello stesso. Il riconoscimento dell’atto determina il regime giuridico applicabile secondo le norme di collegamento di diritto internazionale privato elaborate dal d.lgs n. 7 del 2017 (prevalentemente coerenti con quelle preesistenti salve le esigenze di adeguamento dovute al nuovo istituto dell’unione civile).
Nel caso di specie occorre stabilire se trova applicazione la limitazione degli effetti stabilita nell’art. 32 bis alla fattispecie peculiare dedotta in giudizio o se l’atto in oggetto può essere trascritto come unione matrimoniale (e non come unione civile).
La specialità della normazione introdotta con il d.lgs n. 7 del 2017, nel sistema previgente di diritto internazionale privato, determina l’applicazione di questo peculiare regime giuridico degli effetti degli atti formati all’estero, nell’ambito delle unioni omoaffettive. La disciplina generale contenuta negli artt. 24 e seguenti della l. n. 219 del 1995 è integrata da quella puntuale sopra indicata e il rispetto del limite costituito dall’ordine pubblico internazionale non deve essere oggetto di un esame specifico, essendo già stato oggetto della valutazione operata dal legislatore all’interno del nuovo regime giuridico di carattere speciale ex art. 1, comma 28, della l. n. 76 del 2016. Le unioni omoaffettive nel nostro ordinamento non contrastano con l’ordine pubblico internazionale e, conseguentemente, anche quelle contratte all’estero devono essere riconosciute ed assistite da un sistema di tutele adeguato.
La compatibilità dei modelli adottati all’estero (matrimonio od unione civile) nel nostro ordinamento trova una regolazione puntuale con i meccanismi di conversione elaborati dal legislatore del d.lgs n 7 del 2016. Tale complesso di regole definisce, tuttavia, anche il perimetro all’interno del quale tali unioni producono effetti nel nostro ordinamento. La libertà di scelta del modello di unione omoaffettiva rimessa ai singoli Stati si estende, a fini antielusivi e di coerenza antiscriminatoria del sistema di regolazione interna, anche alla produzione degli effetti degli atti formati all’estero, salva l’ipotesi della totale transnazionalità di essi (matrimonio contratto all’estero da cittadini entrambi stranieri).
All’interno del quadro che si è delineato non risulta disagevole l’interpretazione dell’art. 32 bis della l. n. 219 del 1995.
Sul piano strettamente testuale, come è stato rilevato anche dalla dottrina, si può cogliere una differenza rilevante tra la formulazione dell’art. 32 bis e quella dell’art. 32 quinquies. Nella prima norma l’ambito soggettivo di applicazione del nuovo regime riguarda in generale "il matrimonio contratto all’estero da cittadini italiani" mentre l’art. 32 quinquies, che estende il sistema di tutele previsto dalla l. n. 76 del 2016 anche ad istituti analoghi, si riferisce ad unioni costituite all’estero "tra cittadini italiani", oltre a richiedere l’ulteriore requisito dell’abituale residenza in Italia. La differenza testuale ha un significato logico-giuridico chiaro. L’art. 32 bis esprime la nettezza della scelta legislativa verso il modello dell’unione civile, limitando gli effetti della circolazione di atti matrimoniali relativi ad unioni omoaffettive a quelle costituite da cittadini entrambi stranieri, come rileva l’indicatore costituito dall’uso del "da", rispetto alla diversa opzione adottata dall’art. 32quinquies che ha una ratio estensiva del regime giuridico di riconoscimento e tutela contenuto nella L. n. 76 del 2016 a tutti i cittadini italiani, ancorché abbiano dato vita all’estero ad un vincolo munito di un grado inferiore di diritti.
La soluzione indicata è coerente anche con il regime giuridico di diritto internazionale privato relativo alla capacità e alle condizioni per contrarre matrimonio. L’art. 27, applicabile nella specie, rinvia alla legge nazionale di ciascuno dei nubendi. Tale criterio nella specie creerebbe un conflitto non risolvibile in ordine alla forma ed agli effetti della trascrizione dell’atto contratto all’estero ove non si adottasse la soluzione interpretativa dell’art. 32 bis cui si è acceduto.
Si deve, inoltre, rilevare, che se l’art. 32 bis si applicasse anche ai cd. matrimoni "misti", ovvero contratti da un cittadino italiano e da un cittadino straniero, si determinerebbe una discriminazione cd. "a rovescio" tra i cittadini italiani che hanno contratto matrimonio all’estero e possono "trasportare" forma ed effetti del vincolo nel nostro ordinamento e quelli che hanno contratto un’unione civile in adesione al modello legislativo applicabile nel nostro ordinamento.
13. 5 Le eccezioni d’illegittimità costituzionale.
Alla luce del quadro costituzionale, convenzionale e di diritto interno delineato, non possono essere accolte le eccezioni d’illegittimità costituzionale formulate dall’interveniente Associazione Rete Lenford.
Premessa l’applicabilità diretta dell’art. 32bis l. n. 219 del 1995 in quanto norma diretta proprio a regolare la circolazione ed il riconoscimento degli effetti degli atti di matrimonio contratti da coppie omoaffettive all’estero, così come richiesto dalla dellega contenuta nell’art. 1, c. 28 della l. n. 76 del 2016, la non trascrivibilità dell’atto di matrimonio formato da un cittadino straniero ed un cittadino italiano non costituisce il frutto di un quadro discriminatorio per ragioni di orientamento sessuale o un’interpretazione convenzionalmente e costituzionalmente incompatibile con il limite antidiscriminatorio, dal momento che la scelta del modello di unione riconosciuta tra persone dello stesso sesso negli ordinamenti facenti parte del Consiglio d’Europa è rimessa al libero apprezzamento degli stati membri, salva la definizione di uno standard di tutele coerenti con l’interpretazione del diritto alla vita familiare ex art. 8 fornita dalla Corte Edu.
La discriminazione tra cittadini italiani non è ravvisabile ed anzi, come rilevato, un profilo di discriminazione inversa potrebbe individuarsi nella scelta ermeneutica contraria.
La discriminazione per orientamento sessuale dei cittadini stranieri in ordine alla libertà di circolazione e di stabilimento è del pari non rilevabile dal momento che l’unione omoaffettiva riconosciuta all’estero secondo il paradigma matrimoniale non è priva di effetti nel nostro ordinamento e la regolazione dei rapporti personali e patrimoniali tra i componenti dell’unione rimane disciplinata dal sistema generale di diritto internazionale privato (artt. 26 e ss.).
Infine la specialità del nuovo regime giuridico come illustrato evidenzia, da un lato, che non può essere valutato il limite dell’ordine pubblico internazionale in astratto, disancorato dalle norme di diritto internazionale privato concretamente in vigore, e, dall’altro, che la scelta legislativa è del tutto compatibile con tale parametro.
13.6 In conclusione il ricorso deve essere rigettato. La assoluta novità della questione impone la compensazione delle spese processuali del presente giudizio.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Compensa le spese processuali del presente giudizio.
In caso di diffusione omettere le generalità e i riferimenti geografici.
Autore:
Corte di Cassazione - Civile
Dossier:
Italia
Nazione:
Italia
Parole chiave:
Discriminazione, Ordine pubblico, Trascrizione, Matrimonio contratto all'estero, Unioni civili, Unioni omoaffettive
Natura:
Sentenza