Sentenza 23 aprile 1986, n.113
Corte costituzionale. Sentenza 23 aprile 1986, n. 113: “Obiezione di coscienza – equiparazione, agli effetti penali, degli obiettori ammessi al servizio civile ai cittadini che prestano servizio militare e conseguente sottoposizione alla giurisdizione dei tribunali militari (art. 11 legge 15 dicembre 1972, n. 772 e artt. 37 e 263 c.p.m.p.)”.
(Paladin; Conso)
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente: prof. Livio PALADIN;
Giudici: prof. Antonio LA PERGOLA, prof. Virgilio ANDRIOLI, prof. Giuseppe FERRARI, dott. Francesco SAJA, prof. Giovanni CONSO, prof. Ettore GALLO, prof. Aldo CORASANITI, prof. Giuseppe BORZELLINO, dott. Francesco GRECO, prof. Renato DELL’ANDRO, prof. Gabriele PESCATORE,
ha pronunciato la seguente
Sentenza
nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 11 della leg ge 15 dicembre 1972, n. 772 (Norme per il riconoscimento dell’obiezione di coscienza), e degli artt. 37, primo comma, e 263 del codice penale militare di pace, promossi con ordinanze emesse il 19 gennaio 1979 dal Tribunale Supremo Militare (due ordinanze), il 3 maggio 1979 dal Tribunale militare territoriale di Padova, il 23 ottobre 1979 dal Tribunale militare territoriale di La Spezia, il 19 giugno 1980 dal Tribunale militare territoriale di Torino, il 16 agosto 1984 dal Giudice istruttore del Tribunale militare di Bari, l’11 luglio 1984 dal Tribunale militare di Verona, il 12 dicembre 1984 dal Tribunale militare di La Spezia, il 14 novembre 1984 dal Tribunale militare di Cagliari, il 12 novembre 1984 dal Giudice istruttore del Tribunale militare di Verona e il 26 marzo 1985 dal Tribunale militare di Verona, iscritte rispettivamente ai nn. 373, 374 e 617 del registro ordinanze 1979, ai nn. 97 e 649 del registro ordinanze 1980, ai nn. 1148 e 1184 del registro ordinanze 1984, ai nn. 138, 164, 233 e 348 del registro ordinanze 1985 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 182 (le prime due) e 304 del 1979, nn. 105 e 304 del 1980, nn. 56- bis, 59-bis, 143-bis, 161-bis, 179-bis e 238-bis del 1985.
Visti gli atti di costituzione di Santi Lorenzo, nonché gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica del 18 febbraio 1986 il Giudice relatore Giovanni Conso;
uditi gli avvocati Giuseppe Ramadori e Mauro Mellini per Santi Lorenzo e l’Avvocato dello Stato Franco Chiarotti per il Presidente del Consiglio dei ministri.
(omissis)
Considerato in diritto
1.-Le undici ordinanze di rimessione, pronunciate tutte da giudici militari, sollevano questioni di legittimità costituzionale per lo più coincidenti e nel resto strettamente connesse: i relativi giudizi vengono, pertanto, riuniti al fine di essere decisi con un’unica sentenza.
2.-Comune oggetto di censura è l’art. 11 della legge 15 dicembre 1972, n. 772 (Norme per il riconoscimento dell’obiezione di coscienza), nel!a parte in cui, attraverso l’equiparazione ” ad ogni effetto penale ” degli obiettori di coscienza ammessi a prestare servizio sostitutivo civile ai cittadini che prestano il normale servizio militare, stabilisce che gli obiettori stessi siano sottoposti alla giurisdizione militare. Due i parametri costantemente invocati, dato il riferimento di tutte le ordinanze agli artt. 103, terzo comma, secondo periodo, e 25, primo comma, della Costituzione. Ad essi l’ordinanza del Tribunale militare territoriale di Torino (r.o. 649 del 1980) affianca pure l’art. 52, primo e secondo comma, della Costituzione.
A sua volta, l’ordinanza del Tribunale militare territoriale di Padova (r.o. 617 del 1979) si caratterizza rispetto alle altre in quanto sospetta di illegittimità costituzionale anche le più generali prescrizioni degli artt. 37 e 263 del codice penale militare di pace, l’uno in relazione all’art. 103, terzo comma, l’altro in relazione agli artt. 25, primo comma, e 103, terzo comma, della Costituzione, e ciò per l’assoggettamento degli obiettori di coscienza alla giurisdizione dei tribunali militari, anziché dei giudici ordinari, al quale condurrebbero gli artt. 37 e 263 del codice penale militare di pace se l’equiparazione ad ogni effetto penale disposta dall’art. 11 della legge 15 dicembre 1972, n. 772, dovesse intendersi limitata agli aspetti sostanziali, con conseguente esclusione di quelli processuali o, comunque, relativi alla giurisdizione.
3.- Le ragioni anzidette inducono a prendere le mosse dalle questioni concernenti l’art. 11 della legge 15 dicembre 1972, n. 772, non senza sùbito osservare che-pur non mancando di adesioni la tesi propensa ad intendere l’espressione ” ogni effetto penale ” in senso restrittivo, limitatamente cioè ai soli effetti di diritto sostanziale – il notevole numero e, più ancora, il largo fronte di provenienza delle ordinanze di rimessione testimoniano di una così diffusa linea interpretativa da non consentire che la si possa disattendere nella presente sede. La Corte è, quindi, tenuta a pronunciarsi sulla legittimità costituzionale della norma in forza della quale gli obiettori di coscienza ammessi a prestare servizio sostitutivo civile vengono equiparati ai cittadini che prestano il normale servizio militare anche per quanto riguarda l’assoggettamento alla giurisdizione dei tribunali militari.
In realtà, l’equiparazione ad ogni effetto penale, come pure agli altri effetti, operata dall’art. 11 della legge 15 dicembre 1972, n. 772, è letteralmente formulata con generale, indiscriminato, riguardo ai ” giovani ammessi ad avvalersi delle disposizioni della presente legge ” e, quindi, sia ai giovani ammessi a prestare servizio militare non armato sia ai giovani ammessi a prestare servizio sostitutivo civile, ma la norma impugnata dalle ordinanze di rimessione si presenta, se non altro per ragioni di rilevanza, rigorosamente circoscritta agli obiettori di coscienza di questa seconda categoria, ad essa appartenendo tutti gli imputati dei procedimenti a quibus.
4.- Dei tre parametri costituzionali complessivamente addotti, il primo a richiamare l’attenzione, anche perché quasi sempre indicato anteriormente agli altri nella motivazione ed alcune volte pure nel dispositivo delle ordinanze di rimessione, è l’art. 103, terzo comma, secondo periodo, della Costituzione. La sua violazione discenderebbe dal rilievo che gli obiettori di coscienza ammessi al servizio sostitutivo civile non potrebbero essere considerati alla stregua di ” appartenenti alle Forze armate “, così rendendosi irrealizzabile in capo ad essi l’inde fettibile condizione soggettiva cui l’art. 103, terzo comma, se condo periodo, della Costituzione subordina la sottoponibilità alla giurisdizione dei tribunali militari in tempo di pace.
La questione è fondata.
5.- L’argomentazione su cui più insistono le ordinanze di rimessione fa leva sul ” dato incontrovertibile che, se una categoria di persone viene dal legislatore equiparata “ai cittadini che prestano il normale servizio militare”, resta con ciò stesso dimostrato che quella categoria è stata vista dal legislatore come estranea alla compagine di coloro che quel servizio prestano”, con il che lo stesso ” legislatore riconosce che la qualità di appartenente alle Forze armate… non sussiste nei confronti di coloro che prestano servizio sostitutivo civile ” (r.o. 373 del 1979, 374 del 1979). In altri termini, ricorrendo ad una ” operazione di equiparazione ” (r.o. 164 del 1985) tra coloro che prestano normale servizio militare e gli ammessi al servizio sostitutivo civile, ” la norma… implicitamente ha mantenuto la distinzione tra le due categorie, riconoscendone la differenza di stato. Sicché gli ammessi al servizio civile, restando estranei alla categoria dei primi, non ne possono condividere la qualità di appartenenti alle Forze armate “, donde il contrasto con la Costituzione del loro assoggettamento alla giurisdizione militare (r.o. 1148 del 1984; v. anche r.o. 97 del 1980,348 del 1985).
Un’argomentazione così congegnata, non potendo non valere anche per gli ammessi al servizio militare non armato, pure essi fatti oggetto di equiparazione ai cittadini in normale servizio militare dall’art. 11 della legge 15 dicembre 1972, n. 772, urta, però, con l’avviso di quei giudici a quibus (r.o. 617 del 1979,1148 del 1984,164 del 1985; solo in un caso – r.o. 348 del 1985-si parla degli obiettori di coscienza in generale) che ritengono fuori discussione l’appartenenza alle Forze armate degli ammessi al servizio militare non armato e, quindi, non contrastante con l’art. 103, terzo comma, secondo periodo, della Costituzione la loro sottoposizione alla giurisdizione dei tribunali militari.
6.-La ragione determinante dell’illegittimità è un’altra.
Anche di essa non mancano tracce nelle ordinanze di rimessione. Ciò soprattutto là dove si afferma che ” tra lo status di militare e quello di obiettore riconosciuto esiste una incompatibilità di ordine giuridico intrinseco, rilevandosi che il soggetto ammesso a compiere il servizio sostitutivo civile, sebbene arruolato, è stato dispensato dall’assumere il servizio militare e distaccato presso Enti ed Organismi che sono del tutto fuori dell’Organizzazione militare ” (r.o. 164 del 1985); o, più semplicemente, che ” per la stessa specifica natura della prestazione richiestagli (servizio sostitutivo civile) ” (r.o. 97 del 1980) e, quindi, ” a causa della natura non militare dei compiti affidati ” (r.o. 138 del 1985), chi è stato ammesso al servizio sostitutivo civile “deve del tutto ritenersi estraneo allo status di appartenente alle forze armate “.
In realtà, gli obiettori di coscienza ammessi a prestare servizio sostitutivo civile non possono considerarsi appartenenti alle Forze armate, perché l’avvenuto accoglimento della domanda a tal fine proposta, facendo loro perdere lo status di militare, li rende estranei ad esse.
7.-D’altronde, a fronte di una posizione soggettiva specifica, quale la posizione di obiettore di coscienza riconosciuto, non contemplata (anche se non esclusa: cfr. sentenza n. 164 del 1985) dalla Costituzione, vana si rivelerebbe la pretesa di cogliere, all’interno dell’art. 103, terzo comma, secondo periodo, della Costituzione, indicazioni utili a chiarire i rapporti tra ” appartenenti alle Forze armate ” e obiettori di coscienza, se si eccettua quella, più generale, che presenta la giurisdizione dei tribunali militari in tempo di pace come una giurisdizione eccezionale, circoscritta entro limiti rigorosi (v. le sentenze n. 81 del 1980, n. 48 del 1959, n. 29 del 1958).
Ancor più impensabile sarebbe una ricerca volta a rintracciare, nella legislazione preesistente alla Costituzione e in quella immediatamente successiva, elementi in grado di chiarire tali rapporti, dato che soltanto con la legge 15 dicembre 1972, n. 772, contenente il riconoscimento dell’obiezione di coscienza, il problema ha avuto modo di porsi.
Piuttosto, i riferimenti all’ordinamento militare nei suoi aspetti di più persistente tradizione valgono a meglio puntualizzare, attraverso il raffronto con le normali vicende dell’appartenenza alle Forze armate, la condizione giuridica dell’obiettore di coscienza ammesso a prestare servizio sostitutivo civile nei momenti salienti dell’insorgere e dell’ulteriore estrinsecarsi di essa.
8.-La puntualizzazione deve prendere le mosse dal momento in cui per l’obbligato alla leva diventa concretamente possibile presentare la domanda di ammissione al servizio sostitutivo civile. Il testo dell’art. 2, primo comma, della legge 15 dicembre 1972, n. 772, è estremamente chiaro in proposito: l’obbligato alla leva ” deve presentare domanda motivata ai competenti organi di leva entro 60 giorni dall’arruolamento “. Ciò significa che, all’atto della presentazione della domanda, il giovane il quale si professa obiettore, in quanto arruolato o, più precisamente, in quanto abile e arruolato (v. art. 2, secondo comma, della stessa legge), riveste lo status di militare, trovandosi, come tutti gli arruolati in attesa di chiamata alle armi, collocato in c6ngedo illimitato provvisorio (sentenza n. 112 del 1986).
Durante l’intero periodo che va dalla presentazione della domanda alla conclusiva decisione la suddetta situazione rimane immutata: resta sospesa la chiamata alle armi (art. 3, terzo comma, della legge 15 dicembre 1972, n. 772), ma continua l’appartenenza alle Forze armate e, quindi, l’assoggettamento alla giurisdizione dei tribunali militari. Lo stesso è a dirsi, ovviamente, per il caso in cui la domanda venga disattesa.
Se, invece, la domanda è accolta, l’ammesso al servizio so stitutivo civile perde lo status di militare acquisito in forza dell’arruolamento, con conseguente cessazione della sua ap partenenza alle Forze armate e della sua assoggettabilità alla giurisdizione militare.
In seguito al riconoscimento dell’obiezione di coscienza nella forma della prestazione del servizio sostitutivo civile, una nuova ipotesi di cessazione dall’appartenenza alle Forze armate dello Stato agli effetti della legge penale militare si è così venuta ad aggiungere alle ipotesi previste dall’art. 8 del codice penale militare di pace: un’ipotesi che differisce, però, da queste ultime per le condizioni risolutive cui la sottopongono gli artt. 6 e 9 della legge 15 dicembre 1972, n. 772, comminando la decadenza dal beneficio dell’ammissione al servizio sostitutivo civile nei confronti, rispettivamente, di chi ” omette, senza giusto motivo, di presentarsi entro quindici giorni da quello stabilito, all’ente, organizzazione o corpo cui appartiene ” o ” commette gravi mancanze disciplinari o tiene condotta incompatibile con le finalità dell’ente, organizzazione o corpo cui appartiene ” e di chi trasgredisce ai permanenti divieti di detenere ed usare le armi e munizioni, indicate rispettivamente negli articoli 28 e 30 del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, nonché fabbricare e commerciare, anche a mezzo di rappresentante, le armi e le munizioni predette “.
In ciascuna di tali evenienze verrà a ripristinarsi in capo all’obiettore di coscienza decaduto dal beneficio in esame lo status di militare e con esso l’appartenenza alle Forze armate: nei casi dell’art. 6 si sarà in presenza di un chiamato alle armi e nei casi dell’art. 9 di un chiamato alle armi o di un militare in congedo illimitato, a seconda del momento nel quale la decadenza si sarà verificata.
Ciò dimostra l’inaccettabilità della tesi sostenuta dall’Avvocatura dello Stato negli atti di intervento per il Presidente del Consiglio dei ministri, tutti imperniati sull’asserzione che ” L’art. 11 della legge n. 772/1972, mediante l’esposto principio dell’equiparazione, non innova affatto rispetto alla sotto posizione alla giurisdizione militare degli obiettori ammessi al servizio civile sostitutivo; al massimo può ritenersi che, trattandosi di militari in congedo, li annoveri tra i militari consi derati in servizio alle armi (art. 5, n. 6, c.p.m.p.) “. A parte ogni altro rilievo, l’annoverare tra i ” militari in congedo ” gli obiettori di coscienza durante il periodo nel quale prestano ser vizio sostitutivo civile svuoterebbe di ogni significato la nozione tecnica di ” congedo “, decisamente contrapposta per definizione all’idea di servizio in atto.
Del resto, lo stesso uso, sia pur non rigorosamente tecnico, della nozione di “distacco” (art. 5, terzo comma, della legge 15 dicembre 1972, n. 772) dal Ministero della Difesa “presso enti, organizzazioni o corpi di assistenza, di istruzione, di protezione civile e di tutela e incremento del patrimonio forestale” – situazione transitoria “nell’attesa dell’istituzione del Servizio civile nazionale “, che, per omogeneità di impostazione ed organicità di strutture, ancor meglio realizzerebbe la ” separazione ” – conferma come gli ammessi a prestare servizio sostitutivo civile vengano inquadrati al di fuori delle Forze armate. Proprio l’inserimento nell’ente, organizzazione o corpo presso cui ha luogo il distacco dimostra il sostanziale accostamento ai civili che abitualmente vi operano. Il tutto in piena coerenza con gli imprescindibili motivi di coscienza (art. 1, primo comma, della stessa legge) che, debitamente accertati, conducono gli obiettori di coscienza ammessi al servizio sostitutivo civile a non riconoscere né gradi né divise aventi le stellette, donde il loro esonero da qualsiasi forma di addestramento militare.
Le ragioni che impediscono di considerare ” militari in servizio ” gli obiettori di coscienza ammessi a prestare servizio sostitutivo civile escludono, altresì, che nel servizio sostitutivo civile in atto si possa ravvisare un particolare modo di esplicazione del servizio militare di leva. Nell’ottica dei ” modi ” si dovrebbe, caso mai, parlare di un diverso modo – dai contenuti non militari-di adempiere l’obbligo del servizio militare. Ma, più che all’ottica dei ” modi “, è all’ottica dei “limiti” del servizio militare obbligatorio, del pari fatti oggetto di riserva di legge dall’art. 52, secondo comma, della Costituzione, che deve ricondursi il discorso sull’ammissione al servizio sostitutivo civile. Ed in quanto limite all’adempimento dell’obbligo del servizio militare, essa non può non tradursi in un’alternativa di natura profondamente diversa.
L’art. 11 della legge 15 dicembre 1972, n. 772, nello stabilire che gli obiettori di coscienza ammessi al servizio sostitutivo civile siano sottoposti alla giurisdizione dei tribunali militari, oltrepassa sicuramente il limite soggettivo posto dall’art. 103, terzo comma, secondo periodo, della Costituzione alla giurisdizione dei tribunali militari in tempo di pace, donde l’illegittimità costituzionale della norma in questione.
Tale conclusione dispensa dall’esaminare gli altri motivi di illegittimità prospettati dai giudici a quibus nei confronti della stessa norma in riferimento agli artt. 25, primo comma, e 52, primo e secondo comma, della Costituzione.
9.-Una volta specificamente escluso, con la declaratoria di illegittimità parziale dell’art. 11 della legge 15 dicembre 1972, n. 772, che gli obiettori di coscienza ammessi a prestare servizio sostitutivo civile siano sottoponibili alla giurisdizione dei tribunali militari anziché dei giudici ordinari, restano prive di concreta rilevanza le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 37 e 263 del codice penale militare di pace, sollevate in via più generale, ma sempre in vista del medesimo risultato, dal Tribunale militare territoriale di Padova (r.o. 617 del 1979). Tali questioni vanno, pertanto, dichiarate inammissibili.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
1) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 11 della legge 15 dicembre 1972, n. 772 (Norme per il riconoscimento dell’obiezione di coscienza), nella parte in cui stabilisce che gli obiettori di coscienza ammessi a prestare servizio sostitutivo civile siano sottoposti alla giurisdizione dei tribunali militari;
2) dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 37 e 263 del codice penale militare di pace, sollevate, in riferimento agli artt. 25, primo comma, e 103, terzo comma, della Costituzione, dal Tribunale militare territoriale di Padova con ordinanza del 3 maggio 1979 (r.o. 617 del 1979).
Autore:
Corte Costituzionale
Nazione:
Italia
Parole chiave:
Forze armate, Giurisdizione, Equiparazione, Tribunali militari, Servizio sostitutivo
Natura:
Sentenza