Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

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Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Documenti • 28 Aprile 2015

Sentenza 05 marzo 2015, n.315

Corte d'Appello di Bari. Prima Sezione Civile. Sentenza 5 marzo 2015, n. 315: "Riconoscimento dello status di rifugiato a cittadino pakistano di religione Ahmadya, minoranza religiosa perseguitata nel suo Paese d'origine".

La Corte di Appello di Bari, prima sezione civile, riunita in camera di consiglio e composta dai magistrati:

– dr. Vito SCALERA presidente
– dr. Filippo LABELLARTE consigliere
– dr. Patrizia PAPA consigliere rel.

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel procedimento n.1267/2014 R.G.,
avente ad oggetto: appello avverso l’ordinanza del Tribunale di Bari del 29/1/2014 resa nel giudizio RG 8620/2013

TRA

elettivamente domiciliato in Bari, via Calefati 266, presso lo studio dell’avv. S. De Napoli dalla quale è rappresentato e difeso come da procura in atti
(APPELLANTE)

E

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore
Commissione Territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale di Bari
(APPELLATI NON COSTITUITI)

E

Procuratore Generale presso la Corte d’Appello di Bari
(INTERVENUTO)

FATTO E DIRITTO

…, nato in Pakistan, nel distretto di Narowal ha adito il Tribunale di Bari chiedendo il riconoscimento dello “status” di rifugiato ovvero il riconoscimento della protezione sussidiaria ovvero il riconoscimento del diritto d’asilo negatogli dalla Commissione. Il Tribunale ha rigettato la domanda con ordinanza del Tribunale di Bari del 29/1/2014, peraltro sostenendo che l’istante avesse già ottenuto il riconoscimento della protezione umanitaria, seppure tale circostanza non risulta dagli atti.
… ha reclamato per la riforma della decisione; il Ministero si è costituito, contestando la fondatezza delle avverse pretese.
…. è cittadino pakistano di religione Ahmadya, cioè appartiene a una minoranza religiosa ed ha riferito alla Commissione che per tale suo credo nel suo paese di provenienza è perseguitato e rischia attualmente la morte: in particolare, ha rappresentato che al suo villaggio è stato perseguitato perché suo padre ha fatto l’Azzan, cioè la chiamata alla preghiera, in una moschea del villaggio, violando il divieto per gli Ahamady di frequentare le moschee musulmane; il padre era stato perciò arrestato; il fratello era riuscito a scappare e attualmente si trova in Italia dove ha ottenuto la protezione sussidiaria; insieme a sua madre egli è stato perciò costretto a scappare a Lahore, quindi è partito per l’Europa; nell’area della sua regione di provenienza erano stati distribuiti e affissi volantini in cui lui e suo fratello erano indicati come passibili di morte e in cui si prometteva pure una taglia sulla loro cattura. La commissione ha considerato inattendibile il racconto perché l’istante non avrebbe saputo fornire adeguate informazioni sul profeta Issa, che sarebbe figura analoga a quella del Gesù dei Cristiani.
Il Tribunale ha ritenuto cessata la materia del contendere perché … avrebbe ottenuto la protezione umanitaria (ma così non è), senz’altro osservare sulla sua situazione, sui riscontri, sulle motivazioni di diniego della Commissione
Questa Corte ha ritenuto allora di ascoltare nuovamente il richiedente protezione, non ascoltato in primo grado, che, assistito dal suo difensore e nel contraddittorio con l’avvocato dello Stato, ha chiarito le circostanze di fatto poste dalla Commissione a fondamento del rigetto di ogni forma di protezione.
Innanzitutto non è dubitabile la provenienza del richiedente: ne sono conferma il nome e la lingua parlata, coerenti rispetto alla zona dichiarata come paese di origine.
In fatto, in particolare, l’istante ha riferito che dal 1974 la sua religione è stata dichiarata “fuorilegge” dai musulmani e che è stato vietato loro di frequentare la moschea; pertanto non è vero che prima della cattura sua padre avesse potuto frequentare la moschea tranquillamente e regolarmente; ha poi ribadito che Issa è un profeta, corrispondente a Gesù dei Cristiani; questo profeta, tuttavia, non ha un ruolo di particolare rilievo per gli Ahmady e ciò spiega perché egli non ne conosca la vita nei particolari; ha chiarito di aver utilizzato per andare a Bologna il biglietto acquistato da un suo amico e a lui intestato, perché non aveva soldi per acquistarlo e che comunque ha partecipato all’incontro organizzato dalla comunità religiosa Ahmady di Bologna e di voler provare tale circostanza a mezzo del referente di Bologna di cui ha fornito identità e recapito telefonico.
Alla luce di tali chiarimenti, la motivazione di diniego adoperata dalla Commissione non è proprio condivisibile, perché il richiedente risulta attendibile.
Ciò posto, deve quindi ulteriormente considerarsi che ricava da fonti più che sicure (v. portale www.ecoi.net, European country of origin information network) che gli Ahmady sono attualmente una setta minoritaria perseguitata in Pakistan: essi si identificano come musulmani e seguono gli insegnamenti del profeta Maometto e il Corano, ma credono altresì nel profeta Mirza Ghulam Ahmad, nato nella città del Punjab di Qadian. Si stima che ce ne siano tra 600.000 a 700.000 in Pakistan e, con un emendamento costituzionale adottato sotto il governo di Zulfiqar Ali Bhutto, in questo paese sono stati dichiarati, nel 1974, "non-musulmani"; il generale Zia-ul-Haq, dopo Bhutto, ha vietato agli ahmadi di chiamare i loro luoghi di culto come "moschee" o le chiamate alla preghiera come "Azaan" o l’uso del saluto “Assalamo alaikum” e fissato una pena detentiva per gli ahmadi che offendano i sentimenti religiosi dei musulmani; questa norma del codice penale viola evidentemente la libertà religiosa (ORDINANCE NO. XX OF 1984 – The Section 298C of the Penal Code states).
Pertanto, considerata la situazione del paese d’origine e la corposità dei riscontri individualizzanti (la storia è coerente e credibile, ne è riscontro il volantino di minaccia di morte e con la promessa di una taglia con le foto dell’istante e di suo fratello; a distanza di tempo l’istante ha reso il medesimo racconto senza incertezze nella ricostruzione dei fatti), in riforma dell’impugnata ordinanza, al richiedente deve essere concesso lo status di rifugiato politico, sussistendo la certezza, in caso di ritorno nel Paese di origine, di discriminazioni e, comunque, il rischio di gravi minacce alla incolumità ad opera di appartenenti ad altre confessioni religiose (e sul punto, invero, si ribadisce che “non è necessario che provenga dalla Stato la minaccia di grave danno giustificante tale protezione, ben potendo provenire anche – tra gli altri – da ‘soggetti non statuali’ se le autorità statali o le organizzazioni che controllano lo Stato o una parte consistente del suo territorio ‘non possono o non vogliono fornire protezione’ adeguata ai sensi dell’art. 6, comma 2, d.lgs. cit. (art. 5, lett. c), del medesimo d.lgs” – così da ultimo Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 1, ordinanza 9 luglio – 18 novembre 2013, n. 25873).
Per le superiori osservazioni l’appello è accolto e al richiedente deve essere riconosciuto lo status di rifugiato.
Le spese del primo grado di giudizio, così come liquidate in dispositivo secondo i parametri del D.M. 140/12 (in considerazione dell’unicità del mandato), sono poste a carico del Ministero appellante in favore dell’appellato per il primo grado, non risultando ammissione a gratuito patrocinio.
In questo grado risulta depositata istanza di ammissione in data 4/8/14, contestualmente all’iscrizione a ruolo dell’appello; nell’istanza sono contenute le dichiarazioni di cui all’art. 79 dlgs 113/02, lett. c e d.
Conseguentemente, deve ammettersi … nato in Pakistan l'… a patrocinio a spese dello Stato e non si provvede perciò sulle spese di questo grado (Cass. Civ. II n.18583/2012), salvo il diritto del difensore di ottenere la liquidazione dei suoi compensi con separato decreto ex art. 82 dlgs 113/2002.

p.q.m.

La Corte d’Appello di Bari, definitivamente pronunciando sull’appello proposto da … nato in Pakistan l’11/10/88, avverso l’ordinanza pronunciata dal Tribunale di Bari, sez. II, in data 29/1/2014 tra lo stesso e il MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore, con l’intervento del Procuratore Generale presso la Corte d’Appello di Bari, uditi i procuratori delle parti, così provvede, in riforma dell’impugnata ordinanza:

– riconosce ad … nato in Pakistan l’… lo status di rifugiato;
– condanna il MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore al pagamento, in favore di …. nato in Pakistan l’… delle spese del primo grado di giudizio che liquida in complessivi E.2.500,00 oltre IVA, CPA e rimborso forfetario del 15% come per legge;
– ammette … in Pakistan l’11/10/88 al patrocinio a spese dello Stato;
– nulla per le spese di questo grado.

Così deciso in Bari, nella camera di consiglio della I sez. civile della Corte d’Appello, in data 3 marzo 2015.