Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

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Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Documenti • 29 Agosto 2003

Sentenza 06 dicembre 1973, n.176

Corte costituzionale. Sentenza 6 dicembre 1973, n. 176: “Matrimonio concordatario e divorzio (art. 2 della legge 1° dicembre 1970, n. 898)”.

(Bonifacio; Crisafulli)

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Presidente: prof. Francesco Paolo BONIFACIO;

Giudici: dott. Giuseppe VERZÌ, dott. Giovanni Battista BENEDETTI, dott. Luigi OGGIONI, dott. Angelo DE MARCO, avv. Ercole ROCCHETTI, prof. Enzo CAPALOZZA, prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI, prof. Vezio CRISAFULLI, dott. Nicola REALE, prof. Paolo ROSSI, avv. Leonetto AMADEI, prof. Giulio GIONFRIDA, prof. Edoardo VOLTERRA, prof. Guido ASTUTI,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale dell’art. 2 della Iegge 1° dicembre 1970, n. 898 (Disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio), promossi con le seguenti ordinanze:

1) ordinanza emessa l’8 giugno 1972 dalla Corte suprema di cassazione – sezioni unite civili – nel procedimento civile vertente tra Muscillo Amina e Saviotti Claudio, iscritta al n. 310 del registro ordinanze 1972 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 279 del 25 ottobre 1972;

2) ordinanza emessa il 6 luglio 1972 dalla Corte d’appello di Napoli nel procedimento civile vertente tra De Matthaeis Maria e Monti Francesco, iscritta al n. 387 del registro ordinanze 1972 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 21 del 24 gennaio 1973;

3) ordinanza emessa il 10 novembre 1972 dalla Corte d’appello di Torino nel procedimento civile vertente tra Negro Giuseppe e Schaeffer Maria, iscritta al n. 53 del registro ordinanze 1973 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 88 del 4 aprile 1973;

4) ordinanze emesse 1’8 novembre 1972 dalla Corte d’appello di Napoli nei procedimenti civili vertenti tra Ferraioli Celeste e Turlà Luigi e tra Abbondante Vincenzo e Murolo Giuseppina, iscritte ai nn. 141 e 142 del registro ordinanze 1973 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 163 del 27 giugno 1973;

5) ordinanza emessa il 28 febbraio 1973 dalla Corte d’appello di Napoli nel procedimento civile vertente tra Lubrano Francesca e Flagiello Agostino, iscritta al n. 259 del registro ordinanze 1973 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 176 dell’11 luglio 1973;

6) ordinanza emessa il 30 marzo 1973 dalla Corte d’appello di Trieste nel procedimento civile vertente tra Mulloni Gino e Corona Maria, iscritta al n. 335 del registro ordinanze 1973 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 236 del 12 settembre 1973.

Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri e di costituzione di Muscillo Amina, De Matthaeis Maria, Negro Giuseppe, Saviotti Claudio e Monti Francesco;

udito nell’udienza pubblica del 21 novembre 1973 il Giudice relatore Vezio Crisafulli;

uditi l’avv. Piero Santucci, per Muscillo Amina e Negro Giuseppe, l’avv. Teodoro Doria, per De Matthaeis Maria, gli avvocati Luigi Tirone e Giovanni Pugliese, per Saviotti Claudio, ed il sostituto avvocato generale dello Stato Michele Savarese, per il Presidente del Consiglio dei ministri.

(omissis)

Considerato in diritto:

1.—Le ordinanze delle sezioni unite civili della Corte di cassazione, della Corte d’appello di Napoli, della Corte d’appello di Torino e di quella di Trieste hanno ad oggetto la stessa questione e i relativi giudizi vengono perciò decisi con unica sentenza.

2.—Deve essere preliminarmente disattesa l’eccezione di inammissibilità prospettata dalla difesa del Monti per essere la questione sollevata con l’ordinanza del giudice a quo diversa da quella proposta dalla controparte: spetta, infatti, al giudice il potere-dovere di sollevare, anche d’ufficio, le questioni di legittimità costituzionale, sulle quali questa Corte è chiamata a pronunciarsi nei termini e nei limiti dallo stesso giudice precisati nella sua ordinanza.

3.—La questione si accentra sull’asserito contrasto dell’art. 2 della legge 1 dicembre 1970, n. 898, che demanda ai tribunali statali di giudicare delle cause di cessazione degli effetti civili dei matrimoni canonici cosiddetti ” concordatari “, con l’art. 34 del Concordato tra lo Stato italiano e la Santa Sede, che riserva ai tribunali e dicasteri ecclesiastici il potere di conoscere delle cause di nullità del detto matrimonio, nonché della dispensa dal matrimonio rato e non consumato, con indiretta violazione, quindi, degli artt. 7 e 138 Cost., per il combinato disposto dei quali modificazioni alle norme di esecuzione dei Patti del Laterano non possono validamente essere introdotte con legge ordinaria senza previa intesa con la Santa Sede, dovendosi, in mancanza, seguire il procedimento della revisione costituzionale.

4.—La questione non è fondata.

E’ da premettere che, qualunque concezione si ritenga di accogliere, sul piano teorico, in tema di rapporti tra diritto soggettivo ed azione, certo è comunque—in forza del preciso disposto dell’art. 24 Cost.—che la legge non avrebbe potuto, né potrebbe, attribuire il diritto di ottenere, ricorrendo le condizioni in essa previste, la cessazione degli effetti civili del matrimonio concordatario, senza assicurare al tempo stesso l’azione per farlo valere, e con essa quella tutela giurisdizionale la cui mancanza priverebbe il diritto medesimo di qualsiasi consistenza. Ché anzi, trattandosi nella specie di diritto ad un mutamento giuridico non realizzabile se non attraverso una pronuncia costitutiva del giudice, può ben dirsi che diritto ed azione si risolvono l’uno nell’altra.

In presenza di situazioni giuridiche siffatte, scindere l’aspetto o profilo sostanziale dal profilo della giurisdizione, non è, dunque, possibile. Ed in questo senso, la particolare questione oggi sottoposta all’esame della Corte era già logicamente ricompresa in quella, più vasta, risolta con la sentenza n. 169 del 1971, che tutte le ordinanze dichiarano di non voler riproporre e che l’ordinanza della Corte d’appello di Torino ha addirittura dichiarato manifestamente infondata.

Segue dal già detto che, se la riserva di giurisdizione e competenza ai tribunali e dicasteri ecclesiastici, operata dal quarto comma dell’art. 34 del Concordato, fosse—come si assume nelle ordinanze—piena e totale, cioè comprensiva di tutte le cause inerenti sia alla validità sia agli effetti del matrimonio concordatario, con la sola eccezione delle cause di separazione personale tra i coniugi, in modo da non lasciare spazio (come si legge nell’ordinanza delle sezioni unite) ” per ulteriori e diverse competenze giurisdizionali nazionali “, la conseguenza pratica finirebbe per essere la rinuncia dello Stato a disciplinare il rapporto matrimoniale specie conferendo alle parti situazioni giuridiche soggettive, le quali, per quanto ora accennato, non potrebbero non essere azionabili davanti agli organi giurisdizionali italiani. Rinuncia che, invece, non sussiste, come ebbe a ritenere questa Corte con la ricordata sentenza n. 169 del 1971 (ribadita con l’ordinanza n. 31 del 1972), precisando che, con il Concordato, per la parte che qui interessa, lo Stato ha assunto unicamente l’impegno di riconoscere al matrimonio contratto secondo il diritto canonico, e regolarmente trascritto, gli stessi effetti del matrimonio celebrato davanti all’ufficiale di stato civile: libero restando, peraltro, di regolare tali effetti, anche quanto alla loro permanenza nel tempo ed ai limiti che questa, secondo il suo proprio diritto, può incontrare in casi determinati.

5.—Ma soprattutto è decisivo il rilievo che una riserva di giurisdizione e competenza così ampia, ed anzi addirittura illimitata, come quella che viene ipotizzata dalle ordinanze, seppur fosse ammissibile, non potrebbe di certo presumersi, né può farsi derivare dalle singole specifiche cause enumerate nel quarto comma dell’art. 34: l’espressa previsione delle quali, fatta per di più in termini rigorosamente puntuali (nullità del matrimonio, dispensa dal matrimonio rato e non consumato), depone invece univocamente in senso opposto.

Al riguardo devono tenersi presenti due considerazioni. La prima è che tali riserve furono pattuite, e risultano disposte, in vista del riconoscimento di effetti civili alle pronuncie adottate in merito dalle autorità ecclesiastiche: così come—reciprocamente, e pur non essendone fatta espressa menzione nei Patti—le sentenze e i provvedimenti dei giudici italiani, relativi alla separazione dei coniugi, ” hanno valore anche nel foro canonico ” (art. 53 della Istruzione del lq luglio 1929 della Sacra Congregazione de disciplina sacramentorum agli Ordinari ed ai parroci d’Italia). Ciò che—sia detto di passaggio— concorre a ridimensionare il rilievo, sul quale viene posto in particolare l’accento negli scritti defensionali di talune tra le parti private, della parola ” consente “, usata nell’ultimo comma dell’art. 34 del Concordato per esprimere il riconoscimento da parte della Santa Sede della competenza dell’autorità giudiziaria civile a giudicare delle cause di separazione (a prescindere anche dalla circostanza che identica formula risulta adoperata poco oltre, nel successivo art. 36, laddove lo Stato italiano “consente che l’insegnamento religioso, ora impartito nelle scuole pubbliche elementari, abbia un ulteriore sviluppo nelle scuole medie “: con riferimento, in entrambi i casi, ad una sorta di deroga, consensualmente stabilita, ad orientamenti per l’innanzi costantemente seguiti nei rispettivi ordinamenti).

La seconda considerazione è che le anzidette riserve, per la loro stessa natura e funzione, non potevano ovviamente riferirsi se non ad oggetti sui quali le autorità ecclesiastiche già avevano, in base al diritto canonico, giurisdizione o competenza.

Tali sono, infatti, le cause di nullità del matrimonio, in ordine alle quali la riserva (ed il connesso riconoscimento di effetti civili) sono coerenti con l’impegno assunto di considerare l’atto del matrimonio, validamente sorto nell’ambito dell’ordinamento canonico, quale presupposto cui attribuire —dopo la intervenuta trascrizione—gli effetti civili. Tale è, altresì, la dispensa dal matrimonio rato e non consumato, istituto tipico del diritto canonico: la sola, tra le ipotesi dell’art. 34, assimilabile, per 1’efficacia ex nunc del relativo provvedimento del Sommo Pontefice, ad una causa di risoluzione del rapporto (non rilevando in questa sede la problematica concernente la più corretta qualificazione che debba darsene dal punto di vista della dogmatica canonistica). Ed è significativo che gli altri casi di ” scioglimento ” ammessi nell’ordinamento canonico (la professione di voti solenni e il cosiddetto privilegio paolino) non siano invece contemplati nell’art. 34: di tal che, in conclusione, il riconoscimento di effetti civili, cui è preordinata la riserva, non si estende che ad una parte (e sia pure alla maggior parte) delle pronuncie e provvedimenti degli organi ecclesiastici in materia matrimoniale.

6.—Sta di fatto, dunque, che il quarto comma dell’art. 34 del Concordato, frutto di lunghe, complesse, faticose trattative, contiene una precisa specificazione, per ipotesi tassative, delle cause matrimoniali riservate alla giurisdizione e competenza delle autorità ecclesiastiche, con il connesso obbligo dello Stato italiano di riconoscere piena efficacia, nel proprio ambito, alle pronuncie da queste ultime adottate. Cosi che ben si comprende come la qualifica di ” esclusiva “, che nelle originarie proposte della Santa Sede accompagnava detta riserva, sia scomparsa poi, nella fase conclusiva, dal testo definitivamente concordato tra le parti. E poiché la introduzione, nella legge n. 898 del 1970, di una serie di cause di cessazione degli effetti civili del matrimonio concordatario lascia intatte le riserve dell’art. 34, risulta ulteriormente confermata la conclusione, cui questa Corte era giunta nella sentenza n. 169 del 1971, al punto 4° della motivazione, non essersi apportata alcuna modificazione ai Patti del Laterano (e relative norme interne di esecuzione), nemmeno per la parte relativa all’art. 34, quarto comma.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 2 della legge 1° dicembre 1970, n. 898, recante ” Disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio “, sollevata, in riferimento agli artt. 7 e 138 della Costituzione, in relazione all’art. 34 del Concordato con la Santa Sede 11 febbraio 1929 ed alla legge di esecuzione 27 maggio 1929, n. 810, nonché agli artt. 5 e 17 della legge 27 maggio 1929, n. 847, dalle ordinanze in epigrafe.

(omissis)