Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

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Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Documenti • 20 Marzo 2015

Ordinanza 17 marzo 2015, n.40

Corte Costituzionale, ordinanza 25 febbraio – 17 marzo 2015, n. 40: "E' ammissibile il ricorso per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato promosso dal Presidente del Consiglio dei Ministri nei confronti della Corte di Cassazione sul tema dell'avvio delle trattative per la conclusione di un'intesa ex art. 8, comma 3, Cost".

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:
– Alessandro CRISCUOLO Presidente
– Paolo Maria NAPOLITANO Giudice
– Giuseppe FRIGO ”
– Paolo GROSSI ”
– Giorgio LATTANZI ”
– Aldo CAROSI ”
– Marta CARTABIA ”
– Mario Rosario MORELLI ”
– Giancarlo CORAGGIO ”
– Giuliano AMATO ”
– Silvana SCIARRA ”
– Daria de PRETIS ”
– Nicolò ZANON ”

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato sorto a seguito della sentenza della Corte di cassazione-sezioni unite civili, 28 giugno 2013, n. 16305, promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso depositato in cancelleria il 22 settembre 2014 ed iscritto al n. 5 del registro conflitti tra poteri dello Stato 2014, fase di ammissibilità.

Udito nella camera di consiglio del 25 febbraio 2015 il Giudice relatore Paolo Maria Napolitano.

Ritenuto che, con ricorso depositato in data 22 settembre 2014 (reg. confl. pot. amm. n. 5 del 2014), il Presidente del Consiglio dei ministri, in proprio e a nome del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha sollevato conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato nei confronti della Corte di cassazione, sezioni unite civili, in relazione alla sentenza n. 16305 del 12 marzo-28 giugno 2013 con la quale è stato respinto il ricorso per motivi attinenti alla giurisdizione proposto dallo stesso Presidente del Consiglio avverso la sentenza del Consiglio di Stato, sezione IV, n. 6083 del 18 novembre 2011;

che il ricorrente riferisce in ordine alla richiesta dell’Unione degli atei e degli agnostici razionalisti (UAAR), associazione non riconosciuta, costituita con atto notarile nel 1991, la quale aveva proposto ricorso avanti al TAR Lazio chiedendo l’annullamento della delibera del Consiglio dei ministri in data 27 novembre 2003, con la quale, recependo il parere dell’Avvocatura generale dello Stato, il Consiglio dei ministri decideva di non avviare le trattative finalizzate alla conclusione dell’intesa ai sensi dell’art. 8, terzo comma, della Costituzione, ritenendo che la professione di ateismo non potesse essere assimilata ad una confessione religiosa;

che con sentenza 31 dicembre 2008, n. 12359, il TAR Lazio dichiarava inammissibile il ricorso per difetto assoluto di giurisdizione, ritenendo che la determinazione impugnata avesse natura di atto politico non sindacabile;

che il Consiglio di Stato, con la citata sentenza n. 6083 del 2011, riformando la decisione di primo grado, affermava la giurisdizione del giudice amministrativo ritenendo che l’atto impugnato fosse espressione di mera discrezionalità tecnica della pubblica amministrazione, come tale sindacabile dal giudice amministrativo in sede di giurisdizione generale di legittimità e che, pertanto, l’avvio delle trattative potesse «addirittura considerarsi obbligatorio sol che si possa pervenire a un giudizio di qualificabilità del soggetto istante come confessione religiosa, salva restando da un lato la facoltà di non stipulare l’intesa all’esito delle trattative ovvero – come già detto – di non tradurre in legge l’intesa medesima, e dall’altro lato la possibilità, nell’esercizio della discrezionalità tecnica cui si è accennato, di escludere motivatamente che il soggetto presenti le caratteristiche che le consentirebbero di rientrare fra le “confessioni religiose”»;

che le parti venivano quindi rimesse avanti al primo giudice; 

che avverso tale decisione, il Presidente del Consiglio dei ministri proponeva ricorso straordinario ai sensi dell’art. 111, ultimo comma, Cost., alle sezioni unite della Corte di cassazione, sostenendo che il rifiuto di avviare le trattative per la conclusione dell’intesa ex art. 8 Cost. doveva qualificarsi come “atto politico”, come tale insindacabile;

che la Corte di cassazione, con sentenza n. 16305 del 2013, respingeva il ricorso affermando che l’accertamento preliminare relativo alla qualificazione dell’istante come confessione religiosa costituirebbe esercizio di discrezionalità tecnica da parte dell’amministrazione atteso che il soggetto che avanza l’istanza di avvio delle trattative per la conclusione dell’intesa sarebbe portatore di una pretesa costituzionalmente tutelata all’apertura delle stesse, azionabile in giudizio, di tal che il Governo avrebbe
l’obbligo giuridico di avviare le trattative ex art. 8 Cost. per il solo fatto che una qualsiasi associazione lo richieda e a prescindere dalle evenienze che si possono verificare nel prosieguo dell’iter legislativo;

che, ad avviso della Corte di cassazione, «l’apertura della trattativa è dovuta in relazione alla possibile intesa, disciplinata, nel procedimento, secondo i canoni dell’attività amministrativa; [mentre] la legge di approvazione segue le regole e le possibili vicende […] proprie degli atti di formazione [per cui] le variabili fattuali della seconda fase non incidono sulla natura della situazione giuridica che sta alla base delle bilateralità pattizia voluta dal costituente»;

che «negare la sindacabilità del diniego di apertura della trattativa per il fatto che questa è inserita nel procedimento legislativo significa privare il soggetto istante di tutela e aprire la strada […] a una discrezionalità foriera di discriminazioni»;

che, successivamente a tale pronuncia, il TAR Lazio, con sentenza 3 luglio 2014 n. 7068, ha respinto nel merito il ricorso della UAAR escludendo che essa possa qualificarsi come confessione religiosa;

che il Presidente del Consiglio dei ministri, ed il Consiglio dei ministri, non condividendo i principi affermati dalla Corte di cassazione e ritenendo che il rifiuto di avviare le trattative finalizzate alla stipula dell’intesa sia un atto politico, come tale sottratto al sindacato giurisdizionale, hanno sollevato conflitto di attribuzione tra poteri nei confronti della Corte di cassazione;

che, in ordine alla ammissibilità del conflitto, i ricorrenti sostengono che sarebbe pacifica la legittimazione soggettiva del Presidente del Consiglio dei ministri in proprio e del Consiglio dei ministri a dichiarare definitivamente la volontà del potere di riferimento e che, nel caso di specie, il rifiuto all’avvio delle trattative sarebbe stato opposto dal Consiglio dei ministri, organo al quale, ai sensi dell’art. 2, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400 (Disciplina dell'attività di Governo e ordinamento  della Presidenza del Consiglio dei Ministri), sono riservate le determinazioni sulle intese;

che, in ordine alla legittimazione passiva, le sezioni unite della Corte di cassazione sarebbero competenti a dichiarare la definitiva volontà del potere giudiziario, in considerazione della efficacia vincolante per tutti i giudici comuni, anche in altri processi, delle decisioni da essa assunte in ordine alla giurisdizione;

che, quanto al profilo oggettivo, i ricorrenti richiamando gli artt. 7, 8, 92 e 95 Cost., osservano come la Corte di cassazione, con la sentenza n. 16305 del 2013, avrebbe illegittimamente esercitato il suo potere giurisdizionale menomando la funzione di indirizzo politico che la Costituzione assegna al Governo in materia religiosa la quale sarebbe assolutamente libera nel fine e quindi insuscettibile di controllo da parte dei giudici comuni;

che, nel merito, si afferma come non possa essere condivisa la conclusione delle sezioni unite in ordine alla doverosità dell’avvio delle trattative per la stipula dell’intesa  ex art. 8, comma terzo, Cost.;

che tale ultima disposizione costituirebbe norma sulle fonti, dal momento che le intese integrerebbero il presupposto per l’avvio dell’iter legislativo finalizzato alla emanazione della legge che regola i rapporti tra Stato e confessione religiosa, e, pertanto, parteciperebbero della stessa natura, di atto politico, delle successive fasi dell’iter;

che inoltre, se il Governo è libero di non dare seguito alla stipula dell’intesa omettendo di esercitare l’iniziativa per l’emanazione della legge prevista dall’art. 8, terzo comma, Cost., a maggior ragione deve essere libero, nell’esercizio delle sue valutazioni politiche, di non avviare alcuna trattativa;

che tale conclusione troverebbe conferma nella sentenza della Corte costituzionale n. 346 del 2002, ove si afferma che il Governo non è vincolato a norme specifiche per quanto riguarda l’obbligo di negoziare e stipulare l’intesa;

che, infine, vi è di ciò conferma nella recente sentenza di questa Corte n. 81 del 2012 la quale avrebbe riconosciuto l’esistenza di spazi riservati alla scelta politica;

che, in definitiva, il rifiuto del Consiglio dei ministri di avviare le trattative per la conclusione dell’intesa sarebbe espressione della fondamentale funzione di direzione e di indirizzo politico del Governo, in quanto tale libera nel fine ed insuscettibile di controllo da parte dei giudici comuni, non tollerando interferenze da parte del potere giudiziario di tal che sarebbe abnorme la sentenza che annulla il diniego di avvio delle trattative imponendo al Governo di riesaminare la questione o di concludere l’intesa con un determinato soggetto;

che, conseguentemente, i ricorrenti chiedono alla Corte costituzionale di dichiarare che non spettava alla Corte di cassazione, sezioni unite civili, di affermare la sindacabilità, ad opera dei giudici comuni, del rifiuto del Consiglio dei ministri di avviare le trattative finalizzate alla conclusione dell’intesa di cui all’art. 8, terzo comma, Cost.


Considerato che in questa fase del giudizio, a norma dell’art. 37, terzo e quarto comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), questa Corte è chiamata a deliberare, senza contraddittorio, se il ricorso sia ammissibile in quanto vi sia «materia di un conflitto la cui risoluzione spetti alla sua competenza», sussistendone i requisiti soggettivo ed oggettivo e restando impregiudicata ogni ulteriore questione, anche in punto di ammissibilità del conflitto;

che sotto il profilo soggettivo, il Presidente del Consiglio dei ministri, sia in proprio sia in rappresentanza del Consiglio dei ministri, è legittimato a promuovere il presente conflitto in quanto organo competente a dichiarare definitivamente la volontà del potere cui appartiene in ordine alla stipula delle intese con le confessioni religiose diverse da quella cattolica, ai sensi dell’art. 8, terzo comma, della Costituzione;

che sussiste, altresì, la legittimazione a resistere nel conflitto della Corte di cassazione dal momento che, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, si deve riconoscere ai singoli organi giurisdizionali la legittimazione ad essere parti di conflitti di attribuzione tra poteri dello Stato, in quanto in posizione di piena indipendenza garantita dalla Costituzione e competenti a dichiarare definitivamente, nell’esercizio delle relative funzioni, la volontà del potere cui appartengono (ex plurimis, ordinanze n. 286 del 2014 e n. 69 del 2013);

che, quanto al profilo oggettivo del conflitto, il ricorso è finalizzato a tutelare la sfera di attribuzioni costituzionalmente garantite del Governo che, secondo la prospettazione del ricorrente, ad esso sarebbero attribuite dagli artt. 8, terzo comma, 92 e 95 Cost. i quali assegnano a detto organo la funzione di indirizzo politico in materia religiosa, e che la sentenza della Corte di cassazione, esorbitando dalle proprie competenze, avrebbe menomato.

per questi motivi

la CORTE COSTITUZIONALE

1) dichiara ammissibile, ai sensi dell’art. 37 della legge 11 marzo 1953, n. 87, il ricorso per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato, promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri nei confronti della Corte di cassazione con l’atto indicato in epigrafe;
2) dispone:
a) che la cancelleria della Corte dia immediata comunicazione della presente ordinanza al ricorrente Presidente del Consiglio dei ministri;
b) che, a cura del ricorrente, il ricorso e la presente ordinanza siano notificati alla Corte
di cassazione, entro il termine perentorio di sessanta giorni dalla comunicazione di cui al punto a), per essere successivamente depositati, con la prova dell’avvenuta notifica, nella cancelleria della Corte entro il termine perentorio di trenta giorni dalla notificazione, a norma del l’art. 24, comma 3, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 25 febbraio 2015.

F.to:
Alessandro CRISCUOLO, Presidente
Paolo Maria NAPOLITANO, Redattore
Gabriella Paola MELATTI, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 17 marzo 2015.
Il Direttore della Cancelleria
F.to: Gabriella Paola MELATTI