Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

Olir

Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Documenti • 28 Agosto 2003

Sentenza 24 febbraio 1971, n.32

Corte costituzionale. Sentenza 24 febbraio 1971, n. 32: “Trascrizione del matrimonio concordatario (artt. 12 e 16 della legge 27 maggio 1929, n. 847)”.

(Branca; Fragali)

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Presidente: prof. Giuseppe BRANCA;

Giudici: prof. Michele FRAGALI, prof. Costantino MORTATI, prof. Giuseppe CHIARELLI, dott. Giuseppe VERZÌ, dott. Giovanni Battista BENEDETTI, prof. Francesco Paolo BONIFACIO, dott. Luigi OGGIONI, dott. Angelo DE MARCO, avv. Ercole ROCCHETTI, prof. Enzo CAPALOZZA, prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI, prof. Vezio CRISAFULLI, dott. Nicola REALE, prof. Paolo ROSSI,

ha pronunziato la seguente

Sentenza

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 16, in relazione all’art. 12, della legge 27 maggio 1929, n. 847 (disposizioni per l’applicazione del Concordato dell’11 febbraio 1929 tra la Santa Sede e l’Italia, nella parte relativa al matrimonio), promosso con ordinanza emessa il 10 aprile 1968 dal tribunale di Milano nel procedimento civile vertente tra Leporati Marco e Bolza lolanda, iscritta al n. 171 del registro ordinanze 1968 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 248 del 28 settembre 1968.

Visti gli atti di costituzione di Leporati Marco e d’intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito il Giudice relatore Costantino Mortati;

uditi gli avvocati Mario Cassola e Giambattista Nappi, per il Leporati, ed il sostituto avvocato generale dello Stato Francesco Agrò, per il Presidente del Consiglio dei ministri.

(omissis)

Considerato in diritto:

1.—In ordine all’eccezione di tardività dell’intervento e Presiente del Consiglio, sollevata nella memoria della parte priata perché avvenuta oltre venti giorni dalla notifica, e da osservare come la Corte, già con la sentenza n. 47 del 1957, ebbe a ritenere che, alla stregua di quanto dispone l’art. 3 Norme mtegrative, non debbono essere computati nel termine in questione i giorni compresi fra l’ultima notificazione e la pubblicazione dell’ordinanza nella Gazzetta Ufficiale. E pertanto I’intervento deve ritenersi avvenuto in termine.

2.—La questione di merito sollevata dall’ordinanza del tribunale di Milano investe l’art. 16 legge 27 maggio 1929 n. 847 pel fatto che questo, se messo in relazione con il precedente art. 12, violerebbe il comma primo dell’art. 3 della Costituzione poiché può condurre a far escludere la possibilita di impugnativa della avvenuta trascrizione del matrimonio concordatario che sia stato contratto da chi, pur versando in stato di infermità mentale, non risulti tuttavia dichiarato interdetto.

Deve essere preliminarmente presa in esame la tesi prospettata dalla difesa del Leporati, secondo la quale si renderebbe possibile procedere ad un’interpretazione sistematica della norma denunciata, la quale, portando ad includere nella previsione del matrimonio contratto dall’interdetto anche quella del naturalmente incapace, farebbe cadere, se accolta, l’eccezione di incostituzionalità.

A contestare l’esattezza di tale interpretazione (ed a fare invece ritenere che il legislatore abbia considerato tassative le ipotesi indicate dall’art. 12 per le quali non si fa luogo a trascrizione), è da osservare che il riferimento contenuto nell’art. 16 alle ” cause ” di impedimento alla trascrizione non può intendersi, secondo ritenuto dalla difesa, come se volesse riguardare i fattori determinanti i ” casi ” previsti dal precedente art. 12, così da consentire di comprendervi anche la semplice incapacità naturale, considerata quale presupposto dell’interdizione. Basta osservare che mentre il rinvio contenuto nell’art. 16, per la sua formulazione generica, dovrebbe riguardare tutte le fattispecie prima enunciate, appare in realtà applicabile solo alla terza, non già alle prime due che si limitano a prevedere la esistenza di precedenti matrimoni “in qualunque forma celebrati”. Chiaro invece appare che la differenza di dizione fra i due articoli corrisponde al diverso concetto voluto esprimere: il primo, riferendosi al divieto della trascrizione, è elencativo delle ipotesi in cui esso ricorre; il secondo, avendo riguardo alla impugnativa, fa riferimento alle causae petendi su cui si rende possibile fondarla.

3.— La censura d’incostituzionalità dell’art. 16 appare fondata se venga valutata nei termini in cui risulta prospettata dall’ordinanza di rimessione, nel senso cioè che la questione sia da esaminare con riferimento non già alla fase della celebrazione, bensì a quella dell’opzione effettuata in ordine alla forma del rito matrimoniale.

Non è dubitabile che l’art. 34 del Concordato fra lo Stato italiano e la Santa Sede e la legge di attuazione 27 maggio 1929, n. 847, impegnando lo Stato a conferire effetti civili ai matrimoni disciplinati dal diritto canonico e riservando ai tribunali ecclesiastici il giudizio sulle cause concernenti la nullità dei matrimoni, abbia introdotto una diffferenziazione di trattamento giuridico per motivi di religione, in quanto ha permesso che la scelta fra i due riti sia consentita solo ai cittadini legittimati dal diritto canonico a procedere a matrimonio religioso. Tuttavia tale discriminazione non configura una violazione del principio di eguaglianza di cui al primo comma dell’art. 3 perché la discriminazione stessa risulta, nei sensi indicati con la sentenza di pari data n. 30, espressamente consentita da altra norma costituzionale, e cioè dall’art. 7, secondo comma, che, per la disciplina dei rapporti fra Stato e Chiesa, rinvia ai Patti lateranensi dei quali il Concordato è parte integrante.

E’ però da aggiungere che condizione necessaria per poter affermare la validità della rilevata eccezione al principio di eguaglianza deve considerarsi il possesso della piena capacità da parte di chi procede alla scelta del rito. L’esame da compiere si accentra pertanto nello stabilire i criteri in base ai quali siano da valutare i requisiti di validità della scelta medesima: criteri che non possono non desumersi, secondo i principi consacrati nell’art. 17 delle preleggi, dal diritto statale dell’aspirante alle nozze.

E’ canone indiscusso che l’assoggettamento di un cittadino ad un ordinamento diverso, in virtù del rinvio a questo effettuato dalla legge statale, deve essere contenuto negli stretti ed invalicabili limiti del fatto o rapporto oggetto del rinvio. E poiché nel caso presente l’elemento che funziona come criterio di collegamento pel rinvio al diritto canonico, ai sensi dell’art. 5 legge n. 847 cui si richiama l’art. 82 del codice civile, è l’atto della celebrazione del matrimonio, appare chiaro che ogni altro atto diverso da questo esorbita dall’ambito di applicazione del diritto canonico, ricadendo nel diritto dello Stato.

Sicché, ove si riesca a dimostrare che una persona, nel momento della scelta fosse incapace di intendere o di volere, per qualsiasi causa anche se transitoria, verrebbe a mancare il fondamento della validità della scelta del matrimonio canonico da lei contratto, con le necessarie conseguenze circa la trascrivibilità di questo.

4.—Le osservazioni che precedono condurrebbero a far ritenere che, a stretto rigore, I’art. 16, come l’intera legge n 847, essendo indirizzato alla finalità specifica sua propria di regolare esclusivamente gli effetti civili del matrimonio canonico, in attuazione dell’art. 34 del Concordato, non ha affatto disciplinato, né l’avrebbe potuto, le situazioni preesistenti al matrimonio stesso, la cui regolamentazione sarebbe dovuta avvenire secondo i principi generali dell’ordinamento statale. Tuttavia è da prendere atto che la giurisprudenza dominante ed una parte della dottrina hanno interpretato l’articolo in esame nel senso che esso precluda ogni indagine sulle condizioni di capacità del nubente prima della celebrazione ed è a tale significato, assunto nella vivente realtà giuridica, dall’articolo stesso, che occorre aver riguardo per la soluzione della questione in esame.

L’argomento che si fa valere a fondamento della interpretazione dominante, del quale si è fatta eco l’Avvocatura dello Stato, si fonda sulla asserita impossibilità di attribuire autonomia alla scelta del rito, in quanto tale momento non sarebbe isolabile da quello successivo della dichiarazione negoziale di volontà rivolta alla formazione del vincolo.

A tale argomentazione la replica è facile. Infatti è vero che a volte l’atto di decisione a dar vita ad un negozio a preferenza di un altro non assume rilievo esterno, risolvendosi nell’adesione prestata a quello posto effettivamente in essere, e rimanendo perciò irrilevante quanto si era svolto in precedenza, nel foro interno della coscienza, allorché si dibatteva il dubbio circa la scelta da effettuare fra quel negozio o un altro in alternativa al primo; tuttavia è anche vero che nella specie l’atto di scelta del rito, mentre assume un’autonomia non solo concettuale ma anche temporale ed obiettivamente accertabile in quanto si concreta in propri atti o comportamenti, viene a rivestire anche uno specifico rilievo giuridico allorché, come nella specie, i requisiti di capacità richiesti per tali atti e comportamenti appaiono regolati secondo criteri propri di un dato ordinamento, divergenti da quelli invocabili per la validità del negozio successivamente stipulato.

Ne deriva che la norma impugnata—che non trova giustificazione nell’art. 7 della Costituzione, giacché disciplina un atto di scelta logicamente anteriore alla celebrazione del matrimonio concordatario — è illegittima in base all’art. 3 della Costituzione in quanto consente che la persona naturalmente incapace subisca le conseguenze di una scelta non liberamente e coscientemente da lei adottata e sia assoggettata ad una disciplina che, per le cose innanzi dette, trova giustificazione solo nella libera opzione fra matrimonio religioso trascrivibile e matrimonio civile.

5.— Si conclude pertanto che, per effetto della dichiarazione di incostituzionalità, i requisiti di capacità da richiedere per la validità della scelta del rito sono da valutare alla stregua del diritto dello Stato e che la prova eventualmente fornita dell’incapacità di intendere o di volere di chi l’abbia effettuata non può non rendere inoperante l’efficacia della stessa, e conseguentemente giustificare l’impugnativa della trascrizione che fosse stata disposta.

PER QUESTI MOTlVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 16 della legge 27 maggio 1929, n. 847, recante disposizioni per l’applicazione del Concordato fra la Santa Sede e l’Italia, relativamente al matrimonio, nella parte in cui stabilisce che la trascrizione del matrimonio può essere impugnata solo per una delle cause menzionate nell’art. 12 e non anche perché uno degli sposi fosse, al momento in cui si è determinato a contrarre lI matrimonio in forma concordataria, in stato di incapacita naturale.

(omissis)