Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

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Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Documenti • 27 Agosto 2003

Sentenza 14 gennaio 1991, n.13

Corte costituzionale. Sentenza 14 gennaio 1991, n. 13: “Insegnamento della religione cattolica e scelta di altra attività da parte dei non avvalentisi”.

(Conso; Casavola)

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Presidente: prof. Giovanni CONSO;

Giudici: prof. Ettore GALLO, dott. Aldo CORASANITI, prof. Giuseppe BORZELLINO, dott. Francesco GRECO, prof. Gabriele PESCATORE, avv. Ugo SPAGNOLI, prof. Francesco Paolo CASAVOLA, prof. Antonio BALDASSARRE, prof. Vincenzo CAIANIELLO, avv. Mauro FERRI; prof. Luigi MENGONI, prof. Enzo CHELI, dott. Renato GRANATA;

ha pronunciato la seguente

Sentenza

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 9, numero 2, della legge 25 marzo 1985, n. 121 (Ratifica ed esecuzione dell’accordo, con protocollo addizionale, firmato a Roma il 18 febbraio 1984, che apporta modificazioni al Concordato lateranense dell’11 febbraio 1929, tra la Repubblica italiana e la Santa Sede), e del punto 5, lettera b), numero 2, del relativo Protocollo addizionale, promosso con ordinanza emessa il 4 maggio 1990 dal Pretore di Firenze nei procedimenti civili riuniti vertenti tra Sommani Letizia ed altri e Amministrazione scolastica ed altro, iscritta al n. 477 del registro ordinanze 1990 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 33, prima serie speciale, dell’anno 1990;

Visto l’atto di costituzione di Sommani Letizia ed altri, nonché l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

Udito nell’udienza pubblica dell’11 dicembre 1990 il giudice relatore Francesco Paolo Casavola;

Uditi gli avvocati Stefano Grassi, Carlo Mezzanotte, Corrado Mauceri, per Sommani Letizia ed altri e l’Avvocato dello Stato Antonio Palatiello per il Presidente del Consiglio dei ministri.

(omissis)

Considerato in diritto

1. – Il Pretore di Firenze, con ordinanza del 4 maggio 1990 (R.O. n. 477 del 1990), in riferimento agli artt. 2, 3, 19 e 97 della Costituzione, solleva questione di legittimità costituzionale dell’art. 9, numero 2, della legge 25 marzo 1985, n. 121, e del punto 5, lettera b), numero 2, del relativo Protocollo addizionale, per duplice discriminazione negativa derivante dalla collocazione dell’insegnamento di religione cattolica nell’ordinario orario delle lezioni ai non avvalentisi, sia in quanto obbligati a rimanere inattivi nella scuola durante l’insegnamento della religione cattolica, sia per la riduzione di altra attività didattica per lo spazio temporale riservato al detto insegnamento.

2. – Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura dello Stato, eccepisce nell’atto di intervento la inammissibilità della questione per due motivi: a) non prendendo posizione il Pretore rimettente in ordine alla interpretazione delle norme denunciate, non risulta quale sia la rilevanza della questione nel giudizio a quo; b) versando la doglianza di parte sull’assetto organizzatorio derivante da circolari ministeriali, e dunque in materia di competenza del giudice amministrativo, risulterebbe difetto di giurisdizione del Pretore rimettente.

La prima eccezione è superabile se si considera che il petitum mira ad ottenere una più ampia individuazione della portata del concetto di “stato di non-obbligo” degli studenti non avvalentisi dell’insegnamento di religione cattolica, con conseguenze circa la legittimità del regime di non discriminazione introdotto dall’Amministrazione della pubblica istruzione.

Quanto alla seconda eccezione, questa Corte ribadisce che, “versandosi in materia di diritto soggettivo, qual è il diritto di avvalersi o di non avvalersi dell’insegnamento di religione cattolica, non è contestabile la giurisdizione del giudice ordinario” (sentenza n. 203 del 1989).

3. – Ferma restando la ratio di quella sentenza, nel senso che “l’insegnamento di religione cattolica, compreso tra gli altri insegnamenti del piano didattico, con pari dignità culturale, come previsto nella normativa di fonte pattizia”, non è causa di discriminazione e non contrasta – essendone anzi una manifestazione – col principio supremo di laicità dello Stato, il thema decidendum in ordine alla questione ora sollevata si circoscrive attorno alla portata dello “stato di non-obbligo” degli studenti che scelgono di non avvalersi dell’insegnamento di religione cattolica.

Come stabilito dalla sentenza n. 203 del 1989, “La previsione come obbligatoria di altra materia per i non avvalentisi sarebbe patente discriminazione a loro danno, perché proposta in luogo dell’insegnamento di religione cattolica, quasi corresse tra l’una e l’altro lo schema logico dell’obbligazione alternativa (…). Per quanti decidano di non avvalersene l’alternativa è uno stato di non-obbligo”.

Per corrispondere al non-obbligo, l’Amministrazione ha predisposto, con circolari n. 188 del 25 maggio 1989 e n. 189 del 29 maggio 1989, moduli sia per la scelta di avvalersi o non avvalersi dell’insegnamento di religione cattolica sia per la scelta ulteriore, da parte dei non avvalentisi, di:

a) attività didattiche e formative;

b) attività di studio e/o di ricerca individuali con assistenza di personale docente;

c) nessuna attività, che l’Amministrazione interpreta come libera attività di studio e/o ricerca senza assistenza di personale docente.

È evidente che tale modulazione di scelta nell’intento dell’Amministrazione aveva per fine la realizzazione di un contenuto liberamente voluto così da non contraddire ma anzi fedelmente tradurre lo “stato di non-obbligo”.

Per coloro tuttavia che non esercitino nessuna delle tre scelte proposte sorge questione se lo “stato di non-obbligo” possa avere tra i suoi contenuti anche quello di non presentarsi o allontanarsi dalla scuola.

4. – Occorre qui richiamare il valore finalistico dello “stato di non-obbligo”, che è di non rendere equivalenti e alternativi l’insegnamento di religione cattolica ed altro impegno scolastico, per non condizionare dall’esterno della coscienza individuale l’esercizio di una libertà costituzionale, come quella religiosa, coinvolgente l’interiorità della persona.

Non è pertanto da vedere nel minore impegno o addirittura nel disimpegno scolastico dei non avvalentisi una causa di disincentivo per le future scelte degli avvalentisi, dato che le famiglie e gli studenti che scelgono l’insegnamento di religione cattolica hanno motivazioni di tale serietà da non essere scalfite dall’offerta di opzioni diverse. Va anzi ribadito che dinanzi alla proposta dello Stato alla comunità dei cittadini di fare impartire nelle proprie scuole l’insegnamento di religione cattolica, l’alternativa è tra un sì e un no, tra una scelta positiva ed una negativa: di avvalersene o di non avvalersene. A questo punto la libertà di religione è garantita: il suo esercizio si traduce, sotto il profilo considerato, in quella risposta affermativa o negativa. E le varie forme di impegno scolastico presentate alla libera scelta dei non avvalentisi non hanno più alcun rapporto con la libertà di religione.

Lo “stato di non-obbligo” vale dunque a separare il momento dell’interrogazione di coscienza sulla scelta di libertà di religione o dalla religione, da quello delle libere richieste individuali alla organizzazione scolastica.

5. – Alla stregua dell’attuale organizzazione scolastica è innegabile che lo “stato di non-obbligo” può comprendere, tra le altre possibili, anche la scelta di allontanarsi o assentarsi dall’edificio della scuola.

Quanto alla collocazione dell’insegnamento nell’ordinario orario delle lezioni, nessuna violazione dell’art. 2 della Costituzione è ravvisabile. Questa Corte ha già sottolineato nella sentenza n. 203 del 1989 che “l’insegnamento della religione cattolica sarà impartito, dice l’art. 9 (scil. della legge 25 marzo 1985, n. 121) nel quadro delle finalità della scuolà, vale a dire con modalità compatibili con le altre discipline scolastiche”.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

Dichiara non fondata nei sensi di cui in motivazione la questione di legittimità costituzionale dell’art. 9, numero 2, della legge 25 marzo 1985, n. 121 (Ratifica ed esecuzione dell’accordo, con protocollo addizionale, firmato a Roma il 18 febbraio 1984, che apporta modificazioni al Concordato lateranense dell’11 febbraio 1929, tra la Repubblica italiana e la Santa Sede), e del punto 5, lettera b), numero 2, del relativo Protocollo addizionale, sollevata, in relazione agli artt. 2, 3, 19 e 97 della Costituzione, dal Pretore di Firenze con l’ordinanza di cui in epigrafe.

(omissis)