Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

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Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Documenti • 22 Maggio 2014

Sentenza 20 gennaio 2014, n.1096

Corte di Cassazione. Sez. I Civile. Sentenza 20 gennaio 2014, n. 1096: "Rettificazione dell'atto di matrimonio difforme da quello contenuto nei registri parrocchiali".

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SALME' Giuseppe – Presidente –
Dott. BERNABAI Renato – Consigliere –
Dott. DOGLIOTTI Massimo – Consigliere –
Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Consigliere –
Dott. DE CHIARA Carlo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:
F.G.L. (C.F. (OMISSIS)), rappresentata e difesa, per procura speciale a margine del ricorso, dagli avv.ti MARCUCCI PILLI Daniela (C.F. MRCDNL43C42G482Y) ed Elisabetta Nardone (C.F. NRDLBT67T42H501J) ed elett.te dom.ta presso lo studio di quest'ultima in Roma, Piazza Cola di Rienzo n. 92;
– ricorrente –

contro

G.G., rappresentato e difeso per procura speciale margine del controricorso, dagli avv.ti RUSSO Roberto e Giovanna Giannamati ed elett.te dom.to presso lo studio della seconda in Roma, Piazzale delle Belle Arti n. 3;
– controricorrente –

avverso il decreto pronunciato dalla Corte d'appello di Roma nel procedimento iscritto al n. 11440/08 del Ruolo Generale per gli Affari Diversi, depositato il 4 maggio 2010;
udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del 29 ottobre 2013 dal Consigliere Dott. Carlo DE CHIARA;
udito per la ricorrente l'avv. Arturo BENIGNI, per delega;
udito per il controricorrente l'avv. Marco PASTACALDI, per delega;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. PRATIS Pierfelice, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Su ricorso proposto dal sig. G.G. nei confronti della sig.ra F.L., che il ricorrente aveva sposato con rito canonico celebrato il 9 dicembre 1987, il Tribunale di Roma dispose, ai sensi del D.P.R. 3 novembre 2000, n. 396, art. 95, la rettifica dell'atto di matrimonio, trascritto nei registri dello stato civile, mediante l'inserimento della clausola di opzione dei coniugi per il regime della separazione dei beni. Il Tribunale osservò che la clausola di opzione era contenuta nell'originale dell'atto, sul retro del foglio, e che l'omissione della medesima nella copia trasmessa per la trascrizione all'ufficiale di stato civile era dipesa da un mero errore del parroco, come confermato dal comportamento concludente dei coniugi, i quali durante il matrimonio, in sede di stipula di atti pubblici, avevano sempre dichiarato entrambi di trovarsi in regime di separazione dei beni. Respinse, infine, la richiesta della F. di attribuire efficacia ex nunc alla rettifica, negando di avere tale potere.
La sig.ra F. propose reclamo alla Corte d'appello reiterando la propria opposizione alla rettifica. Obbiettò che nell'atto di matrimonio redatto per la trasmissione all'ufficiale di stato civile non figurava, a differenza che in quello redatto per l'ufficio parrocchiale, alcuna scelta per il regime di separazione; che anzi la parte del modulo a stampa relativa all'inserimento di tale clausola risultava barrata; e che qualora l'atto di matrimonio concordatario, redatto per legge in doppio originale, manifesti un contrasto circa la scelta del regime patrimoniale, la volontà delle parti non può essere ricercata fuori della convenzione e deve prevalere il regime che la legge prevede come naturale e automatico, ossia quello della comunione dei beni.
La Corte d'appello di Roma ha respinto il reclamo perchè, come risultava dall'atto custodito nell'archivio parrocchiale, i coniugi avevano, con regolare dichiarazione sottoscritta dagli stessi, dai testimoni e dal parroco apposta sulla seconda facciata del foglio contenente l'atto di matrimonio, optato chiaramente per il regime della separazione dei beni; nè del resto era stata sollevata alcuna contestazione in ordine all'autenticità della sottoscrizione della dichiarazione o alla eventuale non corrispondenza al vero di quest'ultima. La manifestazione di volontà delle parti non poteva ritenersi venuta meno soltanto perchè il parroco, nel redigere il secondo originale dell'atto di matrimonio, aveva per errore omesso di trascrivere quella dichiarazione, e doveva escludersi la sussistenza di una sorta di contrasto fra due atti originali in cui la prevalenza fosse da attribuire a quello trasmesso all'ufficio di stato civile, come sostenuto dalla reclamante: la volontà dei coniugi, invece, ha efficacia indipendentemente dalla sua mancata registrazione, per errore, nel secondo originale. Del resto la L. 25 marzo 1985, n. 121, art. 8, prevede l'obbligo del parroco di redigere l'atto di matrimonio in doppio originale ai fini della trascrizione nei registri dello stato civile e dei conseguenti effetti del matrimonio canonico nell'ordinamento statale, ma le dichiarazioni dei coniugi inserite nell'atto, secondo quanto consentito dalla legge civile, non perdono efficacia se non sono riportate nel secondo originale, essendosi la relativa manifestazione di volontà formata ed espressa ritualmente.
La Corte ha anche confermato il rigetto della richiesta della sig.ra F. circa la decorrenza della rettifica, osservando che non poteva neppure porsi un problema di affidamento dei terzi, dato che i coniugi avevano sempre dichiarato, negli atti di compravendita e di mutuo fondiario prodotti in giudizio, d trovarsi appunto in regime di separazione dei beni, onde i terzi non erano stati indotti in errore.
La sig.ra F. ha impugnato il decreto della Corte d'appello con ricorso per cassazione articolando quattro motivi di censura, illustrati anche con memoria. L'intimato ha resistito con controricorso.

MOTIVI DELLA DECISIONE
1. – Con il primo motivo di ricorso, denunciando violazione della L. 25 marzo 1985, n. 121, art. 8 (Ratifica ed esecuzione dell'accordo, con protocollo addizionale, firmato a Roma il 18 febbraio 1984, che apporta modificazioni al Concordato lateranense dell'11 febbraio 1929, tra la Repubblica italiana e la Santa Sede), si deduce che, ai sensi della predetta norma, l'atto di matrimonio dev'essere redatto in doppio originale, il secondo dei quali, destinato alla trascrizione nei registri dello stato civile, è l'unico rilevante per l'ordinamento statale e dunque prevale sul primo, custodito presso gli uffici parrocchiali e rilevante solo per l'ordinamento canonico.
2. – Con il secondo motivo, denunciando falsa applicazione della medesima norma di legge, si censura la decisione impugnata per aver degradato a mera copia quello che invece è un secondo originale dell'atto di matrimonio.
3. – Tali motivi, da esaminare congiuntamente in quanto connessi, non possono trovare accoglimento.
La redazione di un atto in duplice originale è solo una particolare modalità di documentazione, che nulla toglie alla unicità dell'atto stesso. Se l'atto è unico, il suo contenuto non può che essere unico e corrispondere a ciò che è stato effettivamente stipulato secondo quanto accertato, in fatto, dal giudice di merito.
Nella specie i giudici di merito hanno appunto accertato tale contenuto basandosi sulla pacifica presenza, nell'originale custodito presso l'ufficio parrocchiale, della clausola di separazione dei beni debitamente sottoscritta dagli sposi.
Nè è corretto negare che i giudici potessero basarsi su detto originale perchè non era quello redatto ai fini della trascrizione nei registri dello stato civile, il solo – secondo la ricorrente – produttivo di effetti nell'ordinamento dello Stato. Ribadito, infatti, che l'atto negoziale produttivo di effetti giuridici nell'ordinamento statale a seguito della trascrizione è unico, a prescindere dalla particolare modalità di documentazione in doppio originale, va osservato che ciò che conta, ai fini in discorso (accertamento del contenuto del negozio), è il valore documentale dell'originale custodito presso la parrocchia, per il quale rileva soltanto la sua esistenza ed è indifferente la sua destinazione.
4. – Con il terzo motivo, denunciando violazione dell'art. 1362 e segg., anche in relazione agli artt. 159 e 160, e dell'art. 2729 c.c., nonchè difetto di motivazione, si censura l'affermazione che i coniugi avevano chiaramente manifestato la volontà di optare per il regime di separazione dei beni, obbiettando:
a) che la Corte d'appello avrebbe dovuto interpretare la volontà delle parti sulla base del solo atto rilevante per l'ordinamento statale, ossia l'originale inviato all'ufficiale di stato civile per la trascrizione, privilegiando il criterio letterale, che nella specie era sufficiente per risolvere il problema ermeneutico essendo barrata la parte del documento contenente l'opzione per il regime di separazione, e comunque privilegiando il criterio ermeneutico di cui all'art. 1369 c.c., che parimenti conduceva a ritenere voluto dai coniugi il regime ordinario della comunione;
b) che le presunzioni devono essere non solo gravi e precise, ma anche concordanti, mentre nella specie non esisteva alcuna prova "concordante", dato che l'originale dell'atto destinato allo Stato italiano evidenziava con chiarezza la volontà dei coniugi di optare per il regime di comunione;
c) che la Corte d'appello non aveva fornito alcuna spiegazione della natura della ritenuta omissione del parroco e, soprattutto, delle ragioni per cui essa derivasse da mera dimenticanza e dovesse ritenersi irrilevante.
5. – Tale motivo, nella parte in cui non è semplicemente ripetitivo di quelli già esaminati, è inammissibile perchè la ricorrente critica la ricostruzione dei fatti operata dalla Corte d'appello (secondo cui, per mero errore del celebrante, la clausola di separazione dei beni, presente nel primo originale dell'atto di matrimonio, non era stata riprodotta anche nel secondo) in maniera assai generica, limitandosi a dolersi di asseriti difetti di motivazione ma senza neppure indicare chiaramente, a ben guardare, la sua versione alternativa dei medesimi fatti.
6. – Con il quarto motivo, denunciando violazione dell'art. 162 c.c., comma 3, si censura la statuizione di retroattività della rettifica dell'atto, lesiva dei diritti dei terzi.
7. – Il motivo è infondato, anche se va rettificata la motivazione in diritto, sul punto, del decreto impugnato. La ragione dell'infondatezza della tesi della ricorrente, infatti, è che tra i coniugi la rettifica non può che avere, secondo la sua natura, efficacia retroattiva; l'efficacia della rettifica nei confronti dei terzi è questione diversa, della quale, peraltro, può discutersi soltanto in eventuali controversie che li riguardino.
8. – Il ricorso va in conclusione respinto con condanna della ricorrente alle spese processuali liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alle spese processuali, liquidate in Euro 10.200,00, di cui Euro 10.000,00 per compensi di avvocato, oltre accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 29 ottobre 2013.
Depositato in Cancelleria il 20 gennaio 2014