Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

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Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Documenti • 14 Agosto 2012

Requisitoria 04 agosto 2012, n.8/12

Procedimento penale presso il Tribunale dello Stato della Città del Vaticano per i reati di furto aggravato e favoreggiamento, 4 agosto 2012, prot. n. 8/12.

[fonte: http://press.catholica.va]

UFFICIO DEL PROMOTORE DI GIUSTIZIA

Prot. N. 8/12 Reg. Gen. Pen.
All’Illustrissimo
Signor Giudice Istruttore
SEDE
REQUISITORIA DEL PROMOTORE DI GIUSTIZIA

Sommario: 1) Rapporti della Polizia Giudiziaria e perquisizioni regolarmente autorizzate; 2) Prosecuzione delle indagini in istruttoria formale; 3) Pluralità di reati ed ordine della loro trattazione nell’istruttoria; 4) Fatti costituenti furto aggravato contestati a Gabriele Paolo; 5) gli artt. 46 e 47 del codice penale ed il problema dell’imputabilità del Gabriele; 6) La relazione peritale del Prof. Roberto Tatarelli e quella del secondo perito Prof. Tonino Cantelmi; 7) La responsabilità del Gabriele; 8) Fatti costituenti reato contestati allo Sciarpelletti Claudio e sua responsabilità; 9) Richieste del Promotore di Giustizia.
 
1) Rapporti della Polizia Giudiziaria e perquisizioni regolarmente autorizzate
Con rapporto del 3 febbraio 2012 pervenuto a questo Ufficio il 6 febbraio 2012 (Prot. n. 8/12 Reg. Gen. Pen.), il direttore dei Servizi di Sicurezza e Protezione Civile riferì al sottoscritto Promotore di Giustizia notizie diffuse in Italia, sulla rete televisiva La7, nella trasmissione televisiva "Gli Intoccabili" ed altre notizie apparse sulla stampa italiana circa la pubblicazione di corrispondenze riservate inerenti il «caso (…)», nonché alcuni altri fatti (…). Poiché si trattava di gravi reati, il Direttore presentò «denuncia contro ignoti per la commissione di delitti contro lo Stato e i poteri dello stesso, calunnia e diffamazione». Questo Ufficio provvide immediatamente ad iniziare le non facili indagini, anche a mezzo della Polizia Giudiziaria.
Successivamente il Sommo Pontefice provvide a nominare una Eminentissima Commissione Cardinalizia con il compito di svolgere, in via amministrativa, un’«indagine autorevole sulla fuga di notizie e la divulgazione di documenti coperti dal segreto d’ufficio».
Il 20 maggio 2012 veniva presentato in Italia il libro del giornalista Gianluigi Nuzzi dal titolo Sua Santità. Le carte segrete di Benedetto XVI. Il 23 maggio perveniva a questo Ufficio altro rapporto con il quale il Direttore dei Servizi di Sicurezza e Protezione Civile sollevava sospetti nei confronti del Signor Paolo Gabriele, Aiutante di Camera di Sua Santità, quale responsabile di furto aggravato di documenti riservati che erano stati forniti al Nuzzi. Contemporaneamente il predetto Direttore richiedeva al Promotore di Giustizia l’autorizzazione a procedere alla perquisizione personale, domiciliare, nonché dell’ufficio del Gabriele. Il sottoscritto, con provvedimento dello stesso 23 maggio, autorizzava la Polizia Giudiziaria a procedere alla predetta perquisizione, nonché, con provvedimento nella stessa data, a procedere altresì all’analisi forense delle apparecchiature informatiche, cine-fotografiche, e dei telefoni cellulari o fissi in possesso del predetto Gabriele.
Con ulteriore rapporto del 24 maggio il predetto Direttore segnalava che a pag. 132 del libro di Nuzzi era pubblicato un documento che avrebbe potuto essere stato divulgato da (…) e richiedeva l’autorizzazione alla perquisizione personale e degli ambienti in uso al predetto (…). Autorizzazione che il sottoscritto accordava.
Con rapporto 24 maggio 2012 il Direttore dei Servizi di Sicurezza e Protezione Civile informava, poi, questo Ufficio che, a seguito della perquisizione a carico del Gabriele, era stato rinvenuta una enorme quantità di documenti, alcuni dei quali, di proprietà e di stretto interesse della Santa Sede e dello Stato della Città Vaticano, risultavano, già ad un primo esame, pubblicati nel libro del Nuzzi. Su autorizzazione di questo Ufficio si procedeva, quindi, all’arresto del Gabriele, arresto immediatamente convalidato dal sottoscritto, che, nella stessa data, autorizzava la Polizia Giudiziaria a provvedere ad una analisi preliminare della documentazione sequestrata.
Con rapporto 25 maggio 2012 il Direttore dei predetti Servizi segnalava, inoltre, che il signor Claudio Sciarpelletti risultava avere avuto continui contatti con il Gabriele e – previa autorizzazione del sottoscritto – veniva quindi eseguita, nello stesso giorno 25 maggio, una ulteriore perquisizione, nei locali della Segreteria di Stato, e delle relative pertinenze in uso allo Sciarpelletti. Anche questa perquisizione dava esito positivo, in quanto venivano sequestrati ulteriori documenti rilevanti ai fini della presente procedura. Contestati, quindi, i reati di falsa testimonianza, concorso reale nel reato di furto aggravato di documenti, favoreggiamento, nonché il reato di violazione dei segreti, lo Sciarpelletti veniva posto in stato di arresto(Prot. n. 19/12 Reg. Gen. Pen.).
Il sottoscritto Promotore di Giustizia (Prot. n. 19/12 Reg. Gen. Pen.), in data 26 maggio, interrogato l’imputato, gli ha, peraltro, concesso la libertà provvisoria, previa cauzione e con l’obbligo di osservare alcune prescrizioni, disponendo, inoltre, la riunione del presente procedimento a quello Prot. n. 8/12 Reg. Gen. Pen. a carico di Gabriele Paolo, per connessione.
 
2) Prosecuzione delle indagini in istruttoria formale
Poiché a questo punto, già si configuravano gravi reati di competenza del Tribunale e due imputati posti in stato di arresto, il sottoscritto Promotore di Giustizia, già con provvedimento del 24 maggio 2012, richiedeva l’apertura dell’istruttoria formale ai sensi dell’artt. 187 e segg. c.p.p. Le ulteriori indagini sono, quindi, proseguite sotto la direzione del Giudice Istruttore e con la presenza del sottoscritto Promotore di Giustizia, nella sola funzione di pubblico ministero.
 
3) Pluralità di reati ed ordine della loro trattazione nell’istruttoria
La Polizia giudiziaria, con i rapporti sopra ricordati, ha provveduto a denunciare a questo Ufficio tutta una serie di reati: delitti contro lo Stato (art. 104 e ss. C.p.); delitti contro i poteri dello Stato (art.117 ess. C.p.); vilipendio delle istituzioni dello Stato (art. 126 C.p.); calunnia (art. 212 C.p.); diffamazione (art. 333 C.p.); furto aggravato (artt. 402, 403 e 404 C.p.); concorso di più persone in reato (art. 63 C.p.); favoreggiamento(art. 225 C.p.); inviolabilità dei segreti (art. 159 C.p.).
In tale situazione l’istruttoria si presentava complessa e laboriosissima e, quindi, suscettibile di durare per un periodo molto lungo.
Si è posta, pertanto, la necessità di stabilire un ordine nella trattazione dei vari capi di accusa ed il Signor Giudice Istruttore, su parere conforme di questo Ufficio, ha dato la precedenza al furto aggravato, anche, perché, per tale reato vi erano due imputati in stato di detenzione.
Contestati i fatti preveduti dalla legge come reato, effettuate le perquisizioni, sentiti i testimoni, proceduto agli interrogatori degli imputati, espletata la perizia, il sottoscritto ritiene che, nell’economia dei giudizi, si possa ormai chiudere l’istruttoria formale, limitatamente al solo reato di furto aggravato e nei confronti degli imputati Paolo Gabriele e Claudio Sciarpelletti, restando, ovviamente, aperta l’istruttoria per i restanti fatti costituenti reato nei confronti dei predetti imputati, e/o di altri. Per questo motivo il Promotore di Giustizia, ai sensi dell’art. 266 c.p.p., chiede la parziale chiusura dell’istruzione formale.
 
4) Fatti costituenti furto aggravato contestati a Gabriele Paolo
Il 19 maggio 2012 è stato pubblicato il già citato volume di Gianluigi Nuzzi Sua Santità. Il 21 successivo si è svolta una riunione della "Famiglia Pontificia", riunione di cui era preventivamente informato il Santo Padre. Erano presenti Mons. Georg Gänswein, Segretario particolare di Sua Santità, Mons. Alfred Xuereb, Prelato d’Onore di Sua Santità, Suor Birgit Wansing, le quattro memores e Paolo Gabriele.
Mons. Georg Gänswein, dopo aver riferito che nel volume erano inseriti documenti riservati, ha chiesto a ciascuno dei presenti se avesse consegnato documenti al giornalista (teste M, una delle memores, 18 luglio 2012, doc. 138 del fascicolo d’Ufficio). A fronte delle risposte negative dei presenti, Mons. Georg Gänswein ha fatto presente al Gabriele che «due lettere pubblicate nel volume Sua Santità. Le carte segrete di Benedetto XVI certamente lui (Gabriele) aveva avuto per le mani in quanto (egli Mons. Georg Gänswein) aveva chiesto a lui di preparare una risposta e che inoltre non erano uscite dall’ufficio. Gli ho anche indicato un appunto di P. Lombardi relativo al caso (…) che certamente non era uscito dall’ufficio. Avendogli detto davanti a tutti che questo, pur non dando la prova, creava un forte sospetto nei suoi confronti, ho avuto come risposta una negazione decisa e assoluta del fatto» (teste Gänswein 18 luglio 2012, doc. 136, del presente fascicolo). La teste O (stessa data, doc. 135) ha precisato, in proposito, che «egli (il Gabriele) non soltanto ha negato in modo fermo e deciso ogni sua responsabilità ma ha chiesto con molta meraviglia come questi sospetti fossero potuti nascere nella mente di Mons. Georg Gänswein ». Circostanze queste, confermate dalle testi M, già citata, e N, un’altra delle memores (stessa data, doc. 137).
Una volta arrestato, il 24 maggio 2012, Paolo Gabriele – assistito dai difensori di fiducia, avvocati Carlo Fusco e Cristiana Arru – è stato interrogato, per la prima volta, dal Giudice Istruttore. Pur avendo dichiarato di aver «deciso di dare la mia collaborazione ai fini dello scoprimento della verità», alle specifiche domande del Giudice si è, peraltro, avvalso della facoltà di non rispondere ed il Giudice Istruttore ha confermato lo stato di arresto, contestandogli il reato di furto aggravato (art. 402 e ss. c.p.) in stato di flagranza (art. 168 c.p.p.).
Interrogato una seconda volta nei giorni 5 e 6 giugno, il Gabriele ha successivamente risposto alle predette domande del Giudice. In particolare, in ordine ai documenti di proprietà della Santa Sede reperiti presso la sua abitazione, egli ha dichiarato di aver «proceduto alla duplicazione dei documenti fotocopiandoli in ufficio e successivamente portandoli a casa. Negli ultimi tempi, quando la situazione è degenerata, provvedevo, per non restare senza copie, alla loro duplicazione attraverso la fotocopiatrice inserita nella stampante del computer». In effetti«non ho conservato alcun documento originale in quanto altrimenti ne sarebbe stata notata la mancanza». L’imputato ha aggiunto: «anche se il possesso di tali documenti è cosa illecita ho ritenuto di doverlo effettuare spinto da diverse ragioni». Oltre agli interessi personali, fra i quali quello per l’intelligence, «ritenevo che anche il Sommo Pontefice non fosse correttamente informato». «Vedendo male e corruzione dappertutto nella Chiesa… ero sicuro che uno shock, anche mediatico, avrebbe potuto essere salutare per riportare la Chiesa nel suo giusto binario… In qualche modo pensavo che nella Chiesa questo ruolo fosse proprio dello Spirito Santo, di cui mi sentivo in certa maniera infiltrato» (verbale del 5 giugno 2012, doc. n. 46).
Quanto alla successiva diffusione dei predetti documenti, l’imputato ha dichiarato: «ho scelto la persona del Nuzzi come interlocutore a preferenza di altri soprattutto per l’impressione che aveva destato in me il volume Vaticano S.p.A. Il Nuzzi mi dava fiducia perché mi sembrava persona preoccupata di dare informazioni senza gettare fango e senza calunniare altre persone». Il Gabriele ha, quindi, precisato le modalità con le quali ha rintracciato, in Italia, il Nuzzi e gli incontri con lui – sempre in territorio italiano – fra novembre 2011 e gennaio 2012 «a distanza di circa una settimana e poi di due settimane… successivamente il nostro rapporto è venuto scemando di intensità». L’imputato ha, quindi, dichiarato di aver consegnato al Nuzzi i documenti a più riprese e che non aveva «mai ricevuto denaro o altri benefici». Il Nuzzi, del resto, gli aveva detto «che non era solito avere documentazione a pagamento». Il giornalista gli ha fatto anche un’intervista televisiva con «tutte le precauzioni necessarie affinché io non venissi riconosciuto», ma questa intervista è stata trasmessa solo in parte (verbale del 6 giugno 2012, doc. n. 47).
Il Gabriele ha, inoltre, precisato che «dei documenti consegnati a Nuzzi ho fatto fotocopie che ho consegnato al padre spirituale B», asserendo che «fra le copie» consegnate al Nuzzi e quelle consegnate a B «ci fosse una identità», salvo eventuali diversità meramente casuali. Pertanto «le carte rimaste a casa (e sequestrate a seguito della perquisizione) sono sostanzialmente un rimasuglio disordinato dovuto al caos di documenti che avevo con me» (verbale del 5 giugno citato). Il 28 giugno 2012 è stato, quindi, convocato quale testimone B, il quale ha confermato di aver ricevuto dal Gabriele, tra il febbraio ed il marzo 2012, una serie di documenti conservati in una scatola con lo stemma pontificio, di cui non aveva conosciuto il contenuto. Nell’affidare tali documenti il Gabriele non ebbe a porgli alcuna condizione, ma si limitò a dirgli che «si trattava di documenti molto importanti che riguardavano la Santa Sede». B ha dichiarato di averli conservati per qualche giorno per poi bruciarli in quanto, soprattutto, «sapevo che…erano il frutto di una attività non legittima e non "onesta" e temevo che se ne potesse fare uso altrettanto non legittimo e "onesto" (doc. n. 33).
Nell’ultimo interrogatorio del 21 luglio (doc. n. 142) il giudice Istruttore ha, fra l’altro, fatto presente che nel volume Sua Santità del Nuzzi sono stati riprodotti documenti non rinvenuti tra quelli reperiti, in sede di perquisizione, nella casa del Gabriele. Gli ha chiesto, quindi, se fosse stato lui a fornirglieli. In via esemplificativa il Giudice ha fatto riferimento ai documenti riprodotti alle pagg. 286, 288, 296, 304-305 e 310, aggiungendo, alla fine, il doc. 293 sulla questione dell’ICI. Per ognuno di questi documenti l’imputato ha dichiarato di essere stato lui a fornirli al giornalista. Ha trovato così conferma quanto da lui dichiarato nel secondo interrogatorio il 5 giugno nel quale aveva precisato che i documenti rintracciati nella perquisizione costituiscono solo «un rimasuglio» (doc. n. 46).
Il Giudice istruttore ha, inoltre, contestato al Gabriele il ritrovamento a casa sua, in corso della perquisizione, di tre oggetti a lui non appartenenti:
1) Un assegno bancario di Euro 100.000,00 (centomila/00) intestato a Santidad Papa Benedicto XVI, datato 26 marzo 2012, proveniente dall’Universitad Catolica San Antonio di Guadalupe;
2) Una pepita presunta d’oro, indirizzata a Sua Santità dal Signor Guido del Castillo, direttore dell’ARU di Lima (Perù);
3) Una cinquecentina dell’Eneide, traduzione di Annibal Caro stampata a Venezia nel 1581, dono a Sua Santità delle "Famiglie di Pomezia".
Il Gabriele ha riferito «nella degenerazione del mio disordine è potuto capitare anche questo».
Il Giudice Istruttore gli ha, quindi, domandato se a lui venissero affidati anche i doni presentati al Santo Padre da portare poi in Ufficio.
L’imputato ha risposto: «Sì. Ero l’incaricato di portare alcuni doni presso il magazzino e altri in Ufficio. Taluni di questi doni servivano per le pesche di beneficenza del Corpo della Gendarmeria, della Guardia Svizzera Pontificia e per altre beneficenze. Mi spiego ora perché una persona che si era fatta tramite di questo, mi chiese perché non era stato riscosso un assegno donato da alcune suore e ciò fu da me portato a conoscenza di Mons. Alfred Xuereb. Mons. Gaenswein talvolta mi faceva omaggio di taluni doni fatti al Santo Padre. In particolare questo avveniva per i libri sapendo che io avevo una passione particolare per questi. Per quanto riguarda l’edizione dell’Eneide ricordo che avendo mio figlio cominciato lo studio di quel poema chiesi a Mons. Gaenswein se potevo far vedere il libro al professore di mio figlio. Lui mi disse di sì ed il libro rimase a casa mia in attesa di essere restituito».
 
5) Gli artt. 46 e 47 del codice penale ed il problema dell’imputabilità del Gabriele
Preliminarmente, a questo punto, si pone il problema dell’imputabilità del Gabriele. Come è noto, imputare in diritto penale significa attribuire la violazione d’un reato ad un determinato individuo, l’imputato è colui che è, o si presume, fornito di capacità penale. Imputazione giuridica è, quindi, l’atto di autorità con cui il magistrato attribuisce la violazione di un precetto penale ad una determinata persona, provocando con ciò l’intervento della garanzia giurisdizionale, diretta all’accertamento della verità in relazione al fatto, alle circostanze di esso e alla sua causalità, per decidere se sia fondata o meno la pretesa punitiva dello Stato.
L’art. 46 del codice penale, in proposito, stabilisce che «non è punibile colui che, nel momento in cui ha commesso il fatto, era in tale stato di infermità di mente (c.n.) da togliergli la coscienza o la libertà dei propri atti (c.n.)».
«Il Giudice, nondimeno, ove stimi pericolosa (c.n.) la liberazione dell’imputato prosciolto, ne ordina la consegna all’Autorità competente per i provvedimenti di legge».
Si tratta, del resto, di un principio risalente. Nello Stato pontificio, il Regolamento sui delitti e sulle pene di Papa Gregorio XVI (1832) stabiliva, all’art. 26, che: «non sono da imputarsi a delitto le commissioni ed omissioni contrarie alla legge … §. I. se seguirono nello stato di pazzia saltuaria nel tempo dell’alienazione di mente, e nel tempo di pazzia continua».
Ancor prima l’art. 64 del codice penale napoleonico del 1810 recitava: «non vi ha crimine né delitto, allorché l’imputato trovavasi in istato di pazzia quando commise l’azione, ovvero se vi fu tratto da una forza alla quale non poté resistere».
La formula utilizzata nel codice vigente appare preferibile, rispetto alle precedenti, in primo luogo perché il riferimento, di cui all’art. 46, all’infermità, insieme a quello della coscienza e libertà dei propri atti, consente un giudizio di imputabilità più completo, o, come si suol dire, a due piani: l’uno di carattere empirico, legato, appunto, al concetto di infermità di mente, l’altro di carattere più propriamente normativo, collegato alla coscienza e libertà dei propri atti.
In secondo luogo, il riferimento al concetto di infermità di mente, consente di utilizzare un termine più onnicomprensivo, che appare maggiormente opportuno, perché riesce ad assorbire formule più risalenti, quali quelle relative alla pazzia, all’imbecillità e, ancor prima, alla previsione romanistica de dementibus, in cui si distinguevano i mente capti ed i furiosi. La menzione della coscienza o libertà dei propri atti, implica che, affinché il soggetto non sia punibile, è sufficiente che l’infermità di mente abbia eliminato anche uno soltanto dei due requisiti in questione, come può desumersi facilmente dall’utilizzo della disgiuntiva «o» fra la coscienza e la libertà dei propri atti.
L’aver collegato la coscienza o la libertà dei propri atti al concetto di infermità di mente, induce, inoltre, a ritenere che disturbi psichici o semplici passioni che non hanno rilevanza clinica, pur se possono incidere in qualche maniera sulla libertà dei propri atti, non posseggono l’efficacia di escludere l’imputabilità, in quanto non rientrano in un preciso quadro morboso.
L’imputabilità del soggetto, come sopra intesa, è, in sostanza, uno stato della persona che – come precisa l’art. 46 – deve esistere, «nel momento in cui ha commesso il fatto», perché questo è il momento di cui egli deve rispondere.
I principi stabiliti dall’art. 46 del nostro codice penale trovano sostanzialmente corrispondenza nei grandi modelli di legislazione penalistica del XX secolo. Basti ricordare il § 51 del codice penale tedesco, che richiede, quale presupposto dell’imputabilità, uno stato di coscienza e di sanità psichica che consentano la libera determinazione della volontà, nonché l’art. 81 del vigente codice penale italiano, secondo il quale è imputabile chi ha la capacità di intendere e di volere.
Come è noto, su queste basi normative, fra il XIX ed il XX secolo, si è sviluppata un’imponente elaborazione teorica che ha trasformato l’imputabilità in uno dei problemi più ardui e più dibattuti del diritto penale, perché esso ha strettissimi legami con la questione della natura e della funzione della stessa pena.
A giudizio di questo ufficio, al di là delle diverse scuole di pensiero, la soluzione del problema dell’imputabilità non può prescindere dai caratteri peculiari dei diversi ordinamenti. Per quanto riguarda l’ordinamento vaticano, il fondamento va indubbiamente ricercato nell’art. 1 della legge 1° ottobre 2008 n. LXXI, sulle fonti del diritto, secondo il quale «l’ordinamento giuridico vaticano riconosce nell’ordinamento canonico la prima fonte normativa e il primo criterio di riferimento normativo». A sua volta, il can. 1322 del Codex iuris canonici stabilisce che «qui habitualiter rationis usu carent, etsi legem vel praeceptum violaverint dum sani videbantur, delicti incapaces habentur». In altri termini, coloro che abitualmente non hanno l’uso di ragione sono ritenuti incapaci di delinquere. Anche se avessero violato la legge o il precetto penale in un lucido intervallo, dovrebbero sempre ritenersi non imputabili, e non soltanto da presumersi come tali. E’, del resto, un principio risalente nel diritto canonico che alla pena tradizionalmente ricollega il fine etico della riabilitazione del colpevole: «si furiosus aut dormiens nomine mutilet vel occidat – recitava la Clementina – nullam ex hoc irregularitatem incurrit» (Clementinae Constitutiones, um. de hormic. III, 4). In sostanza, nella situazione radicale in cui manchi l’uso della ragione non può esservi atto umano e, quindi, libertà di intendere e di volere, intesa come capacità di autodeterminarsi. Il concetto del libero arbitrio – che viene a identificarsi con la volontà «essendo proprio della medesima potenza il volere e lo scegliere» (San Tommaso, Summa Theol., I, q. 83 a. 4) – è il primo presupposto dell’imputabilità: «tunc actus imputatur agenti, quando est in potestate ipsius, ita quod habeat dominium sui actus» (San Tommaso, Summa Theol., I, II al, 9-21 a. 1). Anche eventuali lucidi intervalli sarebbero semplicemente momentanee attenuazioni dell’infermità di mente e, come tali, non potrebbero costituire fondamento di imputabilità.
Ne consegue che l’ordinamento vaticano, in via principale, recepisce la teoria classica che per lungo tempo ha dominato sovrana e tuttora ha numerosi ed autorevoli seguaci, secondo la quale fondamento dell’imputabilità è la libertà del volere, il libero arbitrio. Il Cardinale Francesco Roberti De delictis et poenis, Romae s.d., p. 86 scriveva, già ai suoi tempi, «oportet enim ad effectum poenarum ut qui actum posuit, eundem perfecte cognoverit et libere voluerit». La pena, in quanto è castigo, presuppone che l’uomo sia stato causa cosciente e libera del fatto commesso: in altri termini, presuppone che egli abbia consapevolmente scelto il male, mentre aveva la possibilità di orientarsi verso il bene; abbia preferito il vizio al posto della virtù. Ora, questa libertà di scelta (o di elezione) fa difetto negli individui che non hanno un sufficiente sviluppo intellettuale o sono affetti da gravi anomalie psichiche: essi non sono liberi e, perciò, non possono essere puniti. La responsabilità penale trova, così, il suo fondamento primo nella valutazione morale dell’azione, e, più precisamente, nella coscienza e libertà dei propri atti. Si aggiunga che, quando la libertà, pur non essendo esclusa, è notevolmente limitata (come avviene nei semi-infermi di mente, in alcune categorie di minori, di ubriachi ecc.), la pena per ragioni di equità deve essere diminuita (art. 47 c.p.).
Fermo il principio secondo cui l’imputabilità trova il suo primo fondamento nella coscienza e libertà dei propri atti, cioè nel libero arbitrio, e che gli infermi di mente non vanno quindi puniti perché non imputabili dei fatti loro compiuti, non può, però, escludersi che la loro liberazione possa rappresentare un pericolo per la comunità e per loro stessi. Pertanto, l’art. 46 del codice penale, al secondo comma, fa obbligo al magistrato di valutare, anche la pericolosità dell’indiziato di reato, al fine di stabilire un equilibrio nei rapporti fra individuo e collettività e, in tal modo, difendere pure la società da eventuali possibili nocumenti.
In questo quadro normativo le indagini in tema di imputabilità seguono una triplice direttrice. Innanzitutto, va accertato se il Gabriele fosse infermo di mente e, come tale, avesse la coscienza e la libertà dei propri atti, sia nel momento in cui ha commesso il fatto, che successivamente ovvero se il suo stato di mente fosse tale da «scemare grandemente l’imputabilità». In secondo luogo, le indagini devono valutare se il predetto Gabriele debba essere considerato socialmente pericoloso. Infine, rimane da stabilire se il periziando sia suggestionabile e capace di ideazioni criminose eterodirette.
 
6) La relazione peritale del Prof. Roberto Tatarelli e quella del secondo perito Prof. Tonino Cantelmi
Nella Camera di Consiglio del 6 giugno 2012, a seguire all’interrogatorio dell’imputato, il Promotore di Giustizia ha richiesto, ex artt. 208, 211 e 213 c.p.p., che il signor Giudice istruttore disponga una perizia psicologica e psichiatrica sull’imputato. I difensori di quest’ultimo si sono associati alle richieste del sottoscritto ed hanno, a loro volta, chiesto l’autorizzazione a proporre un secondo perito (doc. n. 47). Il giudice Istruttore, con provvedimento del 9 giugno successivo, ha nominato, quale perito d’ufficio, il Prof. Roberto Tatarelli dell’Università La Sapienza di Roma (doc. nn. 54 e 55), che si è avvalso dell’aiuto del dott. Paolo Roma, psicologo clinico (doc. n. 61). Quale secondo perito è stato poi nominato il Prof. Tonino Cantelmi, della Pontificia Università Gregoriana, che si è avvalso, quale collaboratrice, della dott.ssa Martina Aiello, psicologa e fisioterapeuta (doc. n. 71).
Ai periti sono stati posti i seguenti quesiti:
a) se il predetto Gabriele nel periodo 2011-2012, ed attualmente, era ed è in tale stato di mente da togliergli la coscienza e la libertà dei propri atti;
b) se il predetto Gabriele sia attualmente persona socialmente pericolosa;
c) se il predetto Gabriele sia soggetto suggestionabile e capace di ideazioni criminose auto e/o eterodirette.
Le operazioni peritali sono state articolate in tre colloqui clinici. Nel terzo colloquio si è proceduto anche alla somministrazione di reattivi mentali a cura del Dott. Roma che, nell’allegato alla relazione del Prof. Tatarelli, ha riferito sui protocolli dei reattivi somministrati ed ha svolto un’analisi psicodiagnostica.
Il Prof. Tatarelli, sulla base degli accurati esami eseguiti, ha sostenuto che nel periziando «non si rilevano disturbi di significato clinico sia nell’area attentiva, sia in quella mnestica, sia nell’intelligenza». Ne consegue che – sempre secondo il Prof. Tatarelli – dall’«esame psichico non si rilevano segni e sintomi "che possano indicare una sindrome psichiatrica maggiore"».
In particolare, dall’analisi psicodiagnostica redatta dal dott. Roma a seguito dei reattivi somministrati, è risultato che "Il signor Gabriele si caratterizza per un’intelligenza semplice in una personalità fragile con derive paranoide a copertura di una profonda insicurezza personale e di un bisogno irrisolto di godere della considerazione e dell’affetto degli altri. Accanto ad elementi di sospettosità interpersonale sono presenti condotte ossessive del pensiero e dell’azione (meticolosità, perseverazione), sentimento di colpa e senso di grandiosità, connessi ad un desiderio di agire a favore di un personale ideale di giustizia. La necessità di ricevere affetto può esporre il soggetto a manipolazioni da parte degli altri ritenuti suoi amici ed alleati".
Sulla base delle complessive operazioni peritali compiute, il Prof. Tatarelli perviene, quindi, alla conclusione che il Gabriele risulta caratterizzato da «elementi marcatamente distonici della personalità. Tali elementi non sono facilmente rilevabili all’esame psichico di routine, ma emergono con ampia evidenza nel colloquio prolungato, libero e a contestazione, nonché, ancor più efficacemente, dal risultato dei reattivi mentali. In tal senso si può affermare che il periziando sia affetto da un’ideazione paranoide con sfondo di persecutorietà, per lungo tempo adeguatamente compensata nello stile di vita del sig. Gabriele».
La personalità del sig. Gabriele «si caratterizza anche per un profondo bisogno di ricevere attenzione e affetto da parte degli altri» che lo porta ad «andare incontro ai bisogni ed alle necessità di chi si mostra con lui accogliente, amichevole, e disponibile a dimostrargli stima e confidenza. In questo caso il Gabriele può essere soggetto a manipolazioni da parte di coloro che mostrano gli atteggiamenti ora indicati».
«Questa condizione personologica è ulteriormente accentuata e rinforzata dalla semplicità cognitiva riscontrata nel soggetto, confermata anche dal risultato dei reattivi somministrati».
Conseguentemente il Prof. Tatarelli ha, quindi, risposto ai quesiti che gli sono stati posti nel modo seguente:
a) La condizione personologica riscontrata non configura un disturbo di mente tale da abolire la coscienza e la libertà dei propri atti;
b) In considerazione della pervasività della condizione personologica riscontrata si ritiene il periziando ancora socialmente pericoloso pur se nello specifico ambito dei reati ascrittigli;
c) Tenuto conto dell’assetto personologico si considera il periziando suggestionabile e quindi in grado di commettere azioni che possano danneggiare se stesso c/o altri.
Il secondo perito Prof. Cantelmi ha ritenuto che «gli elementi conoscitivi tratti dall’indagine clinico-testologica …delineano un’organizzazione personologica affetta da un’identità incompleta ed instabile, da suggestionabilità, da sentimenti di grandiosità, da alterata rigidità morale con un personale ideale di giustizia, nonché da un pervasivo bisogno di essere apprezzato e stimato».
«Tali aspetti personologici – secondo il Prof. Cantelmi – hanno reso il periziando fortemente inadeguato ad assolvere alle mansioni lavorative ricoperte dallo stesso in quanto nel corso di esse si è manifestata la sua incapacità a comprendere l’effettiva natura del suo incarico fino a sviluppare sentimenti di grandiosità e disorganizzazione ideativa», che, in definitiva, hanno abolito nel Gabriele la coscienza e la libertà delle proprie azioni.
Il Prof. Cantelmi ha, quindi, risposto ai quesiti del Giudice Istruttore nel modo seguente:
a) La deformazione dei processi ideativi del Gabriele ha abolito la coscienza e la libertà dei propri atti;
b) Gli accertamenti peritali svolti non hanno rilevato sul Gabriele segni o sintomi che lo rendono un soggetto socialmente pericoloso;
c) Il periziando, pur essendo apparso suggestionabile su alcune specifiche circostanze, non ha manifestato segni, sintomi e comportamenti che lo rendono un soggetto socialmente pericoloso e dunque in grado di commettere azioni tese a danneggiare se stesso o altri».
Quest’Ufficio deve, quindi, procedere all’esame delle due opposte conclusioni dei periti, alla luce del dato normativo, il più volte citato art. 46 C.p.
Quanto allo «stato di infermità di mente», va, innanzitutto osservato che il secondo perito, nell’indagine anamnestica, riferisce ulteriori, interessanti elementi attinenti alla storia personale del Gabriele, elementi che, peraltro, sembrano costituire elementi di vita non specificatamente patogeni e, quindi, senza particolare rilevanza del punto di vista delle «infermità di mente». Ne consegue che, su questo primo punto, non possono che essere accolte le conclusione del perito d’ufficio in ordine all’inquadramento psicopatologico del periziando, secondo le quali il Gabriele presenta «elementi marcatamente distonici della personalità», in quanto affetto da un’«ideazione paranoide con sfondo di persecutorietà», nonché la precisazione che in esso «non si rivelano disturbi di significato clinico…che possono indicare una sindrome psichiatrica maggiore».
Né va condivisa la motivazione del Prof. Cantelmi circa la «forte inadeguatezza» del periziando ad «assolvere alle mansioni lavorative ricoperte». Ciò è contraddetto, innanzitutto, dalle risultanze del fascicolo personale del Gabriele, acquisito agli atti (doc. n. 132 132/A), nel quale risultano autorevoli valutazioni di «lodevole servizio», nonché «fervidi auguri per la prosecuzione del suo discreto e responsabile servizio» e nessuna nota negativa. In secondo luogo, le testimonianze rese il 18 luglio 2012 da altri componenti della "Famiglia Pontificia" , sono, anche esse, di segno opposto: «adempiva il suo lavoro cercando di farlo nel modo migliore possibile», (teste O; doc. n. 135); «Lo vedevo tutti i giorni alla S. Messa e durante i pasti. L’ho visto come una persona del tutto normale, un padre di famiglia», (teste N, doc. 137).
Passando all’esame della coscienza o della libertà dei propri atti, che potrebbero risultare abolite (art. 46) o grandemente ridotte (art. 47), secondo il Prof. Cantelmi la deformazione dei processi ideativi del Gabriele avrebbe del tutto abolito sia la coscienza che la libertà degli atti da lui compiuti. Anche tale conclusione non può essere condivisa. Il Gabriele aveva piena coscienza dei propri atti ed ha deliberatamente deciso di compiere l’azione criminosa, come è dimostrato dalle sue stesse dichiarazioni, nel secondo interrogatorio reso il 5 giugno 2012 in ordine alla sottrazione e successiva cessione dei documenti riservati di proprietà della Santa Sede. Egli ha, infatti, dichiarato: «anche se il possesso di tali documenti è cosa illecita [i.e. piena coscienza del disvalore sociale dell’atto] ho ritenuto di doverlo effettuare [i.e. liberamente ho scelto di compiere l’atto illecito], spinto da diverse ragioni». Si aggiunga che, da ultimo, il Gabriele ha chiesto perdono al Santo Padre, ribadendo così, implicitamente la coscienza e volontà di aver compiuto l’atto criminoso.
Né può dirsi che la «deformazione dei processi ideativi» richiamata dal secondo perito potrebbe, comunque, aprire la strada alla diminuzione di pena ex art. 47 c.p., perché tale norma richiede che lo stato di mente sia tale da «scemare grandemente l’imputabilità», mentre nella specie, come si è visto, l’ideazione paranoide non costituisce nemmeno una sindrome psichiatrica maggiore e non si vede, comunque, come la «deformazione dei processi ideativi» possa determinare una «grande» riduzione dell’imputabilità.
Anche su questo punto, l’Ufficio del Promotore di Giustizia non può non aderire alle conclusioni del Prof. Tatarelli, pur completandole nel senso che la condizione personologica riscontrata non figura un disturbo di mente tale da abolire o diminuire grandemente la coscienza e la libertà di tali atti.
Il Prof. Cantelmi sostiene, poi, che gli accertamenti peritali non hanno rilevato sul Gabriele segni e sintomi che lo rendono un soggetto socialmente pericoloso.
Dall’istruttoria risulta, invece, che il Gabriele si considerava – e si considera tuttora – una sorta di inviato della Provvidenza, che gli avrebbe affidato, nel luogo in cui si assumono le più alte decisioni, il ruolo di «infiltrato» dello Spirito Santo, «per riportare la Chiesa nel suo giusto binario», così come ha dichiarato egli stesso nel già citato interrogatorio del 5 giugno (doc. n. 46). Il suo pensiero appare fortemente critico su alcune vicende ed alcuni personaggi che sarebbero autori di raggiri e sopraffazioni. In considerazione della pervasità della condizione personologica del Gabriele permane, pertanto, la sua pericolosità, cioè, la possibilità che l’imputato compia di nuovo reati.
È noto che la pericolosità può essere «generica, nel senso cioè che può riguardare qualunque forma di reato, o specifica, in quanto l’imputato rileva una capacità a delinquere limitata ad una sola e particolare forma di reato»; può essere inoltre «una particolarità assoluta, nel senso che la sua attività criminosa si sviluppa sotto l’influenza di stimoli criminogeni di qualsiasi genere ed in ogni tempo e luogo; o una pericolosità relativa in quanto è portato a delinquere solo sotto l’influenza di particolari stimoli criminogeni e soltanto in alcuni luoghi e in alcuni periodi di tempo» (cfr. DI TULLIO, Principi di criminologia clinica, Roma 1954, p. 399).
Il Prof. Tatarelli sostiene che ci troviamo in presenza di una forma di pericolosità specifica, in quanto considera il Gabriele ancora pericoloso, «pur se nello specifico ambito dei reati ascrittigli». Questo Ufficio condivide tale giudizio prognostico, ma aggiunge che si tratta anche di una pericolosità relativa, in quanto legata ad alcuni luoghi, in cui si valutano ed assumono decisioni di portata generale.
Il Prof. Cantelmi sostiene, infine, che il Gabriele pur essendo apparso suggestionabile su alcune specifiche circostanze, non ha manifestato segni, sintomi, e comportamenti che lo rendono un soggetto socialmente pericoloso e dunque in grado di commettere azioni tese a danneggiare se stesso o altri. Questo Ufficio rileva che il nesso tra suggestionabilità e pericolosità è unidirezionale. È vero che, in quanto suggestionabile, il Gabriele potrebbe essere indotto da altri a mettere in essere comportamenti socialmente pericolosi. Non è vero il contrario: l’imputato pericoloso non è sempre suggestionabile. Nelle specie, esistono – come si è visto – già inequivoci elementi che portano a ritenere il Gabriele, di per sé, caratterizzato da una pericolosità sociale specifica e relativa. A questo si aggiunga la sua suggestionabilità (ammessa dallo stesso perito di parte) e, quindi, la probabilità di ulteriori forme di pericolosità, indotte da altri.
La verità è che, indipendentemente dalla pericolosità sociale, il Gabriele, per l’organizzazione stessa della sua personalità, ha, come evidenziato dal Prof. Tatarelli, «un profondo bisogno di ricevere attenzione e affetto da parte degli altri» ed è, pertanto, esposto – come è stato comprovato dai reattivi mentali – a eventuali «manipolazioni da parte degli altri suoi amici ed alleati».
Ne consegue che – ad avviso di questo Ufficio – il Gabriele va considerato soggetto suggestionabile e, come tale, in grado di commettere anche azioni eterodirette che possono danneggiare se stesso e/o altri.
 
7. La responsabilità del Gabriele
Una volta ritenuta l’imputabilità del Gabriele, in questa sede rimane da valutare l’esistenza dei fatti e dei reati, nonché la responsabilità dell’imputato. Valutazione non per decidere. La dimostrazione che il fatto o il reato, esista, o non, o che l’imputato sia, o non, responsabile è compito del Tribunale. In sede di istruttoria ci si deve limitare a verificare se – sulla base delle prove e delle difese raccolte – l’imputato debba essere sottoposto al giudizio pubblico del Tribunale (MORTARA ALOISI, Spiegazione pratica del codice di procedura penale, Vol. I, Torino 1917, pp. 542 e 543).
A questi fini vanno esaminati due ordini di fatti che costituiscono ipotesi di reato: i documenti e gli altri oggetti di proprietà della Santa Sede:
a) Quanto ai documenti, come si è riferito (v. retro, sub 4), negli interrogatori del 5 e 6 giugno 2012 (doc. 46 e 47), il Gabriele ha confessato di essersi impossessato di documenti di proprietà della Santa Sede, di averli fotocopiati e di averne, poi, disposto, consegnandone copia al giornalista Gianluigi Nuzzi ed altra copia a B. Il primo, ebbe a pubblicare alcuni dei documenti ricevuti, il secondo ha dichiarato di averli tutti bruciati.
A differenza dei sistemi processuali del passato nei quali veniva considerata la «regina delle prove», aveva, pertanto, un valore probatorio assoluto ed era spesso sfociata negli odiosi metodi dell’inquisizione, la confessione nel codice di procedura penale vigente nel Vaticano non assume alcuna forza decisiva, come, invece, nel giudizio civile (art. 91, § 2, Cod. proc. civ.). Nella relazione al c.p.p. è scritto, infatti, «la stessa confessione può facilitare la ricerca (della prova), ma per se medesima non la esaurisce» (pag. 85). La confessione nel giudizio penale si converte, pertanto, in un indirizzo che, come tale, deve essere certo, esplicito e spontaneo (MANZINI, Trattato di diritto processuale penale italiano, 2° ed., vol III, Torino 1924, pp. 344 segg.).
Nel caso in esame, la confessione è certa: l’imputato, sorpreso in flagranza di reato nella perquisizione domiciliare, ha pienamente confessato al Giudice Istruttore competente a riceverla. La confessione è esplicita: il Gabriele ha reso una dichiarazione nella quale, pur ritenendo l’impossessamento, e la successiva divulgazione dei documenti de quibus, illecita, ha specificato la volontà ed i motivi per cui ha commesso il reato. La confessione è spontanea: il Giudice Istruttore si è limitato a chiedere all’imputato «se possa spiegare il possesso presso la sua abitazione di documenti di proprietà della Santa Sede» (interrogatorio del 5 giugno 2012, doc. 46). Non vi è stata, pertanto, posta alcuna domanda suggestiva o capziosa ed il Gabriele ha spontaneamente confessato il fatto costituente reato.
Una volta stabilito che la confessione, nella specie, è certa, esplicita e spontanea, occorre, infine, accertare la sua credibilità oggettiva e soggettiva (MANZINI, Trattato di diritto processuale penale, vol. III, op. cit., p. 347).
Quanto alla credibilità oggettiva, la giurisprudenza che si era formata sul codice vigente in questo Stato aveva già chiarito che «la confessione di reità implica ammissione non solo dal fatto materiale, ma anche della colpevolezza, così che non può il giudice ritenere colpevole l’imputato sulla sola confessione del fatto materiale» (Cassazione italiana 11 settembre 1918, in "La procedura penale" 1919, p. 64). Nel caso in esame il Gabriele non ha confessato soltanto il fatto materiale di essersi impossessato di documenti altrui. Egli era pienamente consapevole della sua colpevolezza («anche se il possesso di tali documenti è cosa illecita, ho ritenuto di doverlo effettuare», dichiarazione del 5 giugno, doc. 46). La sua confessione è, poi, in coerenza e concordanza con gli altri elementi di prova (le risultanze della perquisizione ed il volume Sua Santità acquisito agli atti). Ne consegue che non sussiste dubbio alcuno sulla credibilità oggettiva della confessione, dell’imputato. Quanto alla credibilità soggettiva il Gabriele, negli interrogatori, del 5 e 6 giugno (doc. 46 e 47), ha esplicitato anche i moventi e lo scopo della confessione e – come accertato dalla perizia del Prof. Tatarelli – ha piena consapevolezza e libertà dei propri atti. Non può, pertanto, essere messo in discussione il suo animus confitendi e quindi neppure la credibilità soggettiva della sua confessione.
b) Quanto alle altre cose trafugate di proprietà della Santa Sede, il Giudice Istruttore, all’udienza del 21 luglio 2012 (doc. 142), ha contestato all’imputato di essersi impossessato di un assegno bancario di 100.000,00 euro intestato a Sua Santità; una pepita presunta d’oro ed una cinquecentina dell’Eneide tradotta da Annibal Caro, oggetti reperiti nel corso della citata perquisizione domiciliare a carico del Gabriele.
Questi, alla contestazione, si è limitato a dichiarare «nella degenerazione del mio disordine è potuto capitare anche questo». Poi ha cercato di giustificarsi dicendo che era stato autorizzato a far vedere la cinquecentina al professore di suo figlio, che aveva iniziato lo studio dell’Eneide e che, quindi, gli oggetti erano rimasti nella sua casa, «in attesa di essere restituiti». La giustificazione appare poco credibile, sia perché non riguarda l’assegno e la pepita, sia perché l’assegno reca la data del 26 marzo 2012 e la perquisizione è avvenuta il 24 maggio 2012.
A parte la sostanziale ammissione dell’imputato, la prova della responsabilità del Gabriele è nell’osservazione giudiziale immediata (MANZINI, op. cit., vol. III, pp. 160 ss.) dei risultati della perquisizione, avvenuta in forma ufficiale e nel modo prescritto dalla legge, risultati, per se stessi, comprovanti fatti costituenti reato, per il luogo nel quale si trovavano e per la loro connessione con i documenti trafugati.
A giudizio di questo Ufficio l’imputato è, pertanto, responsabile del reato di furto per essersi «impossessato di cose mobili» della Santa Sede senza il consenso della stessa (art. 402 C.p.).
Si tratta, però, di un furto caratterizzato da due autonome specifiche circostanze aggravanti. Innanzitutto, esso è stato commesso in «uffici, archivi e stabilimenti pubblici, sopra cose in essi custodite» (art. 403 n. 1 C.p.) e la giurisprudenza ha chiarito che, in questo caso, le «ragione dell’aggravante» è la «maggiore malvagità congiunta alla maggiore facilità che la natura stessa del luogo offre per la perpetrazione del furto» (Cassazione Unica italiana 20 luglio 1894, in "Riv. Pen." XL, p. 398, n. 1898). In secondo luogo, il furto è stato «commesso con abuso della fiducia derivante da scambievoli relazioni d’ufficio» (art. 404, n. 1) e la giurisprudenza ha precisato che è il fondamento giuridico di questa seconda aggravante è, invece, la tutela dei rapporti di fiducia, per cui «la parola ufficio usata dall’art. 404, n. 1, non può avere altro significato che di relazioni inducenti fiducia» (Cassazione Unica italiana 14 giugno 1893 in "Corte Suprema" 1893, p. 472.
Il Promotore di Giustizia, pertanto, ritiene che, allo stato delle prove, Paolo Gabriele vada, pertanto, rinviato a giudizio per furto aggravato.
 
8) Fatti costituenti reato contestati allo Sciarpelletti Claudio e sua responsabilità
Come riferito al § 1 di questa requisitoria, il 25 maggio 2012, debitamente autorizzata, veniva eseguita una perquisizione nei locali della Segreteria di Stato e delle relative pertinenze in uso allo Sciarpelletti (Prot. n. 19/12 Reg. Gen. Pen.). All’interno del cassetto della scrivania lasciato aperto veniva reperita una busta recante, sulla parte dell’intestazione, "Personale P. Gabriele" e, sul retro, timbro a secco della Segreteria di Stato Ufficio Informazioni e Documentazioni. All’interno si trovava diverso materiale di interesse per le indagini in corso ed, in particolare, una relazione dal titolo "Napoleone in Vaticano" , riprodotta dal Nuzzi nel Volume Sua Santità (doc. 1, all. 2/A del fascicolo n. 19/12).
La Polizia Giudiziaria, ritiene che lo Sciarpelletti aveva tenuto un comportamento contraddittorio e reticente, alle ore 19 del 25 maggio, procedeva al suo arresto, denunciandolo all’Autorità Giudiziaria per i reati di falsa testimonianza (art. 214 C.p.), concorso reale nel reato di furto aggravato di documenti della Santa Sede (art. 63 e 402 C.p.), favoreggiamento (art. 225 c.p.) e violazione di segreti (art. 159 C.p.).
Il Promotore di Giustizia, la mattina del 26 maggio, procedeva, quindi, all’interrogatorio dell’imputato, assistito dal suo difensore di fiducia, Avv. Gianluca Benedetti, e gli concedeva la libertà provvisoria, previa cauzione e con l’obbligo di osservare talune prescrizioni. Il 16 giugno successivo, il sottoscritto, ritenuto che i fatti contestati allo Sciarpelletti sono connessi al procedimento a carico del Gabriele, trasmetteva gli atti al signor Giudice Istruttore per il prosieguo delle indagini con le modalità dell’istruzione formale.
Il Giudice Istruttore, nell’interrogatorio del 28 giugno (doc. 94), ha provveduto a contestare allo Sciarpelletti i reati di concorso nel reato di furto aggravato (artt. 63 e 402 ss. C.p.), di favoreggiamento (art. 225 C.p.) e di violazione di segreti (art. 159 C.p.).
Il sottoscritto Promotore di Giustizia, con la richiesta di chiusura parziale della procedura, osservava che lo Sciarpelletti effettivamente ha tenuto un comportamento ondivago e contraddittorio. La mattina del 25 maggio lo Sciarpelletti ha dichiarato alla Polizia Giudiziaria di non avere «una particolare amicizia» con il Gabriele «ma solo un buon rapporto di lavoro» (all. 1/1 sempre del proc. 19/12 Reg. Gen. Pen.). Durante la perquisizione è stato lui ad indicare agli inquirenti il cassetto della sua scrivania nel quale è stata reperita la busta contenente i documenti di particolare interesse per le indagini in corso (doc. 94 e deposizione dei testi D, doc. n. 109 e L, doc. 134). La sera dello stesso giorno, dopo l’arresto, l’imputato ha dichiarato spontaneamente alla Polizia Giudiziaria che era stato Gabriele a consegnargli tutto il materiale contenuto nella busta «affinché io gli esprimessi un parere…Era mia intenzione aprirla e leggerla, ma non l’ho mai fatto perché la cosa non mi interessava più di tanto e a distanza di tempo, me ne sono dimenticato (all. 1/4 del procedimento n. 19/12».
Il 26 mattina, interrogato dal sottoscritto Promotore di Giustizia, lo Sciarpelletti ha invece dichiarato che «la busta…non mi è stata consegnata dal Sig. Paolo Gabriele e la parola scritta "Personale P. Gabriele" è stata da me apposta…Questa busta…mi fu consegnata da W affinché io la conservassi e la consegnassi a Paolo Gabriele. La busta mi è stata consegnata circa due anni fa ed è rimasta sempre chiusa e nella mia scrivania. Francamente io me ne ero dimenticato in quanto nessuno me l’aveva chiesta» (doc. 2 sempre del proc. n. 19/12).
Il 29 maggio 2012 lo Sciarpelletti ha peraltro, spontaneamente dichiarato alla Polizia Giudiziaria «mi ricordo di aver ricevuto una busta con appositi timbri…da W…per consegnarla al Sig. Gabriele e dove ho scritto in calce "Personale P. Gabriele" . Mi ricordo, solo ora, di aver ricevuto una busta simile, sempre chiusa, con apposti alcuni timbri…, di cui ignoro il contenuto, da parte di X», aggiungendo «per il mio lavoro…capita di portare corrispondenza per l’aiutante di camera e per i segretari del Santo Padre» (doc. 4, all. n. 1, sempre del proc. n. 19/12).
Il 28 giugno, interrogato dal giudice Istruttore (doc. 94), l’imputato ha precisato i rapporti che intratteneva col Gabriele «anche fuori dal lavoro» e che, a volte, coinvolgevano le rispettive famiglie. Egli era a conoscenza anche della «vita e (dell’)infanzia dolorosa di Paolo Gabriele» Quanto alla busta rinvenuta nel suo cassetto, Sciarpelletti ha dichiarato «presumo, ma non ne sono assolutamente certo,…che si trattò della busta affidatami da W per Paolo Gabriele»; «vicenda diversa» era, invece, quella della busta affidatagli da X a dicembre 2011 o a gennaio 2012.
Il Gabriele nell’interrogatorio del 21 luglio (doc. 142) ha, a sua volta, precisato di aver con lo Sciarpelletti «un rapporto di amicizia…ci incontravamo anche fuori e con le famiglie, anche a casa dello Sciarpelletti» ed ha dichiarato di essere stato lui a dare la busta con i documenti allo Sciarpelletti «perché mi desse il suo parere su quei documenti» e non perché fossero consegnati ad altra persona, aggiungendo, altresì, «lo Sciarpelletti non mi ha dato mai nulla».
Ad avviso del sottoscritto Promotore di Giustizia, nel caso in esame, non risultano prove sufficienti a stabilire che l’imputato abbia concorso nel reato di furto aggravato (art. 403, n. 1 e 404, n. 1 C.p.) e manca del tutto la prova che lo stesso abbia commesso il reato di violazione ai segreti di cui all’art. 159 C.p. Questo ufficio chiede, pertanto, alla S.V. ill.ma di voler emanare, ex art. 274, co. 2, c.p.p., sentenza istruttoria di non doversi procedere nei confronti di Sciarpelletti Claudio per i reati di cui sopra. La sentenza di assoluzione anche per difetto o insufficienza di prove è riservata, infatti, al collegio ex art. 421, co. 2, C.p.p., Differenza di formule che si riannodano alle «diversità delle due sentenze», quanto alle rispettive funzioni (MORTARA ALOISI, Spiegazione pratica del C.p.p., op.cit., vol. I p. 542 e 557 ss.; vol. II, pp. 160 -161).
Claudio Sciarpelletti, va, invece, rinviato a giudizio per il reato di favoreggiamento.
L’art. 225 del Codice penale vigente sanziona, in effetti, colui che, non avendo preso parte al reato antecedente e non avendo contribuito a portarlo a conseguenze ulteriori, tiene, comunque, uno dei due seguenti comportamenti:
a) «aiuta taluno ad assicurarne il profitto»;
b) aiuta taluno «a eludere le investigazioni dell’autorità ovvero a sottrarsi alle ricerche della medesima o all’esecuzione della condanna» o ancora «sopprime o in qualsiasi modo disperde o altera le tracce o gli indizi di un delitto».
Nelle due fattispecie diverso è l’oggetto della tutela giuridica. Nel primo caso, è tutelato principalmente l’interesse generale ad impedire che sia prestato ai delinquenti una forma di collaborazione destinata a far diventare definitivi i vantaggi da essi illegittimamente conseguiti. Nella seconda fattispecie, l’ordinamento tutela, invece, le investigazioni dell’autorità e le ricerche della Polizia Giudiziaria e, quindi, l’interesse dell’Amministrazione della Giustizia al regolare svolgimento del processo penale, perché i fatti che lo integrano tendono a fuorviare o ad articolare l’attività di accertamento e repressione dei reati.
Nel vigente diritto italiano queste due specie di favoreggiamento sono state successivamente separate, facendone due distinti tipi di reato, qualificati, il primo, «favoreggiamento reale» (art. 379 Cod. pen. ital. Vigente) e il secondo «favoreggiamento personale» (art. 378). Cfr. per tutti, ANTOLISEI, Manuale di diritto penale, 16^ ed. (parte speciale II, Milano 1992 pp. 479 ss. E, in particolare, GELARDI, L’oggetto giuridico del favoreggiamento come dover essere del processo, Padova 1993, con ampi riferimenti alla dottrina italiana e tedesca, che lo viene ormai configurando come reato offensivo dell’interesse dell’Amministrazione della Giustizia al regolare svolgimento del processo penale).
Tornando all’art. 225 del codice vaticano, non par dubbio che le differenti, contraddittorie dichiarazioni rese dallo Sciarpelletti integrano la fattispecie prevista dalla norma, sopra descritta sub b, in questo hanno inciso negativamente sull’attività istruttoria, eludendo le investigazioni dell’autorità e recando intralcio, in particolare, alle indagini della Polizia Giudiziaria ed alle relative ricerche.
 
9) Richieste del Promotore di Giustizia
Tutto ciò premesso e considerato, il Promotore di Giustizia
c h i e d e
che l’Ill.mo Signor Giudice Istruttore voglia:
1) dichiarare, ai sensi dell’art. 266 C.p.p., la parziale chiusura dell’istruttoria formale;
2) disporre, ai sensi degli artt. 237 e ss., il sequestro e la modalità di custodia dei documenti rintracciati nel corso delle perquisizioni di cui in narrativa;
3) emanare, ai sensi degli artt. 273 e ss. C.p.p. sentenza con la quale:
a) rinviare a giudizio avanti al Tribunale l’imputato Paolo Gabriele per rispondere del reato di furto aggravato (artt. 402, 403 n. 1 e 404 n. 1 C.p.);
b) non doversi procedere nei confronti dell’imputato Sciarpelletti Caludio per insufficienza di prove o per mancanza di prove in ordine ai reati di concorso in furto aggravato ( artt. 63, 402, 403 n. 1 e 404 n. 1 C. p.) e di violazione di segreti (art. 159 C.p.):
c) rinviare a giudizio Sciarpelletti Claudio per rispondere del reato di favoreggiamento (art.225 C.p.).
 
Città del Vaticano, 4 agosto 2012
 
IL PROMOTORE DI GIUSTIZIA
(Prof. Avv. Nicola Picardi)