Sentenza 27 luglio 2010, n.4915
Consiglio Stato sez. IV. Sentenza 27 luglio 2010, n. 4915: "Edifici di culto: cambio di destinazione d'uso in assenza di modificazioni del piano urbanistico".
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
DECISIONE
Sul ricorso numero di registro generale 5485 del 2009, proposto da: F. P., rappresentato e difeso dagli avv. Maurizio Calò, Gianni Lanzinger, con domicilio eletto presso Maurizio Calò in Roma, via Antonio Gramsci, 36;
contro
Comune di Salorno, rappresentato e difeso dagli avv. Luigi Manzi, Michele Menestrina, Peter Platter, con domicilio eletto presso Luigi Manzi in Roma, via Federico Confalonieri, 5;
per la riforma della sentenza del T.R.G.A. – SEZIONE AUTONOMA DELLA PROVINCIA DI BOLZANO n. 00116/2009, resa tra le parti, concernente della sentenza
del T.R.G.A. – SEZIONE AUTONOMA DELLA PROVINCIA DI BOLZANO n. 00116/2009, resa tra le parti, concernente DEMOLIZIONE OPERE ABUSIVE – MCP.
Visto il ricorso in appello con i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di Salorno;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 13 aprile 2010 il Cons. Anna Leoni e uditi per le parti gli avvocati Maurizio Calò, Luigi Manzi, Gianni Lanzinger;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Il sig. F. P. era comproprietario di un edificio a Salorno, ubicato in zona agricola, originariamente destinato al commercio di frutta all'ingrosso(magazzino) e solo in piccola parte al commercio al dettaglio.
Successivamente l'attività di commercio all'ingrosso veniva abbandonata e lo stabile adibito a deposito e conservazione di frutta per conto terzi(produttori), che pagavano per il servizio regolare corrispettivo.
Con nota del 31 agosto 2007, a seguito dell'accertato cambiamento di destinazione d'uso di una parte dell'edificio, utilizzato quale luogo di culto islamico, veniva comunicato, da parte del Sindaco di Salorno, l'avvio del procedimento volto al ripristino dello stato dei luoghi.
Il sig. P. chiedeva l'archiviazione del procedimento, rilevando che l'immobile era stato destinato ad attività terziaria già prima del 1992 e che in seguito non si sarebbe verificato alcun mutamento di destinazione, in quanto l'attività di culto esercitata in una parte dello stabile era da ricomprendersi nell'ambito dell'attività terziaria.
L'Amministrazione dapprima contestava con nota del 2 gennaio 2008 l'avvenuto cambiamento di destinazione sin dal 1992, ritenendo che l'attività di raccolta, conservazione e lavorazione di prodotti agricoli dovesse comunque considerarsi come attività di commercio all'ingrosso di prodotti agricoli e come attività terziaria e, infine, con provvedimento del 21 gennaio 2008, ordinava la demolizione al piano terra e al primo piano della tramezzatura interna che aveva modificato la distribuzione dei locali e il ripristino dei locali trasformati.
Il sig. P. impugnava l'atto davanti al Tribunale regionale di giustizia amministrativa deducendo i vizi di eccesso di potere sotto diversi profili e di violazione e falsa applicazione degli artt. 75 e 80 e ss., anche con riferimento all'art. 5, della L.P. n. 17/1993.
Si costituiva in giudizio il Comune per chiedere il rigetto del ricorso.
Il Tribunale, con sentenza n. 116 del 2009, rigettava il ricorso, nella preminente considerazione che la normativa vigente vigente+ ( e anche quella precedente, a far data dal 1980) conteneva il divieto di cambiamento di destinazione d'uso degli impianti per la raccolta, conservazione e lavorazione di prodotti agricoli, in assenza di una diversa destinazione d'uso di tutta l'area nel piano urbanistico provinciale. L'avere il sig. P. svolto nei locali anche una piccola attività commerciale non ha mutato il quadro della situazione, ad avviso del Tribunale, sia perché compatibile con l'attività agricola consentita dall'ordinamento urbanistico provinciale, sia perché, in ogni caso, ai sensi dell'art. 107, comma 25, L.P. n. 13 del 1997, in caso di cessazione dell'attività di commercio al dettaglio i relativi vani riacquistano la destinazione d'uso agricola.
Quanto alla asseverazione per le opere interne, esse si riferivano soltanto alle opere realizzate al primo piano, mentre nella relazione di sopralluogo del tecnico comunale dell'11 settembre 2007 risultano opere realizzate anche al secondo piano ed ulteriori opere realizzate al primo piano.
Appella il sig. P. deducendo le seguenti censure:
1) Violazione dell'art. 360 nn. 3 e 5 c.p.c. con riferimento ai motivi proposti nel ricorso introduttivo del giudizio di I grado e, pertanto, con riferimento all'eccesso di potere per travisamento, illogicità, perplessità e per sviamento di potere, con riferimento alla violazione e falsa applicazione degli artt. 75 e 80 e ss L.P. n. 13/1997, all'art. 5 L.P. n. 21/92, nonché con riferimento al contestato difetto di motivazione(art. 7 L.P. n. 17/93).
Il fabbricato in questione avrebbe subito un mutamento di destinazione d'uso, senza opere, già negli anni '70 e, quindi, in epoca antecedente all'entrata in vigore della L. P.n. 21 del 1992 che ha reso obbligatoria la concessione edilizia anche per mutamenti meramente funzionali della destinazione d'uso.
Con l'entrata in vigore della legge provinciale citata il cambio di destinazione si sarebbe cristallizzato, nel senso di legittimare l'attività terziaria esercitata nello stabile.
Quanto alle opere interne, esse sarebbero in parte assentite per asseverazione ai sensi dell'art. 19 L.P. n. 4/87, mentre quelle eseguite successivamente al cambio di destinazione sarebbero semmai suscettibili di misure repressive, senza incidere sulla destinazione d'uso ormai legittimamente acquisita.
2) Eccezione di incostituzionalità dell'art. 42, comma 5, del T.U. approvato con DPGP 23/6/70 n. 20, come sostituito dall'art. 8 L.G. n. 34 del 24/11780, dell'art. 95 comma 5 del TU delle leggi urbanistiche provinciali, approvato con DPGP 26/10/93 n. 38 e dell'art. 107, comma 5, L.P. n. 13/97, per violazione degli artt. 3, 41 e 42 Cost.
Si eccepisce, in via subordinata, l'incostituzionalità della norma provinciale laddove impedisce qualsiasi altro utilizzo agli impianti per la raccolta, conservazione e lavorazione dei prodotti agricoli.
Si è costituito per resistere il Comune di Salorno, eccependo, da un lato, la inammissibilità delle doglianze per divieto dello ius novorum ex art. 345 c.p.c. e, dall'altro, la loro infondatezza perché generiche e prive di qualsiasi prova.
Il ricorso è stato inserito nei ruoli di udienza del 13 aprile 2010 e trattenuto per la decisione.
DIRITTO
La questione sottoposta all'esame del Collegio con l'appello proposto è puramente urbanistica, dovendosi definire la legittimità o meno del cambio di destinazione d'uso senza concessione edilizia di parte dell'edificio sito in Salorno e di proprietà del sig. F. P., originariamente adibito a magazzino di frutta.
Non rileva, nella fattispecie, alcun profilo riguardante la libertà di culto , che potrà trovare altre più idonee occasioni di espressione.
La difformità d'uso accertata dal Comune di Salorno in data 11/9/07 riguarda una parte limitata dell'edificio e cioè, come risulta dalla certificazione rilasciata dal tecnico comunale in data 20/1/2009, la parte situata al 1^ piano del lato ovest per una superficie di circa 234,60 mq.
L'appello è infondato e va rigettato.
Invero, l'appellante con la prima delle proposte censure, ha sostenuto che erroneamente aveva indicato nel ricorso di I grado che il mutamento funzionale fosse avvenuto verso il 1990, mentre era solo la documentazione contabile reperibile che si riferiva a tale periodo: in realtà, il cambio di destinazione era già avvenuto negli anni '70, e quindi in epoca precedente alla L.P. n. 21 del 1992 che ha reso necessaria la concessione edilizia anche per mutamenti meramente funzionali della destinazione d'uso.
L'Amministrazione non aveva tenuto conto di tale modifica di destinazione ed il giudice di I grado non ha ritenuto di poter accogliere tale censura, sulla scorta della ricostruzione della normativa provinciale relativa al verde agricolo ed evidenziando come con l'art. 8 della L.P. 24/11/80 n. 34 fosse stato inserito nell'ordinamento urbanistico provinciale il divieto di cambiamento di destinazione d'uso degli impianti per la raccolta, conservazione e lavorazione di prodotti agricoli, in assenza di una diversa destinazione d'uso di tutta l'area nel piano urbanistico provinciale, divieto ancor oggi sancito dall'art. 107, comma 5, della legge urbanistica provinciale.
L'appellante ribadisce la risalenza agli anni '70 del cambio di destinazione, pur non potendo fornire documentazione al riguardo.
L'impugnazione si fonda, in sostanza, su una diversa prospettazione dei fatti, rispetto al ricorso di I grado e, per ciò solo, dovrebbe ritenersi inammissibile.
Invero, osta all'ingresso della censura il disposto dell'art. 345, comma 2, c.p.c., la cui applicabilità al processo amministrativo nella sua interezza è stata definitivamente sancita dalla giurisprudenza più recente di questo Consiglio (cfr. sez. V, 7 maggio 2008, n. 2080; sez. IV, 18 giugno 2009 n. 4004, 4 febbraio 2008, n. 306 e 6 marzo 2006, n. 1122; ad. plen., 29 dicembre 2004, n. 14, cui si rinvia a mente dell'art. 26, comma 4, della legge n. 1034 del 1971).
Una volta assodata l'estensione del divieto dei nova previsto dal menzionato art. 345 c.p.c. anche al processo amministrativo, è poi giocoforza recepirne l'interpretazione fornita di recente dalle sezioni unite della Corte di cassazione (cfr. sentt. 20 aprile 2005, nn. 8202 e 8203), secondo cui il divieto di ammissione di nuovi mezzi di prova in appello riguarda anche le prove cc.dd. precostituite, quali i documenti, la cui produzione è subordinata, al pari delle prove cc.dd. costituende, alla verifica della sussistenza di una causa non imputabile, che abbia impedito alla parte di esibirli in primo grado, ovvero alla valutazione della loro indispensabilità.
In ogni caso, nella fattispecie, questo Collegio deve ritenersi esonerato dall'esaminare se sussista alcuno degli speciali motivi previsti dall'art. 345 c.p.c., atteso che l'appellante non ha prodotto alcuna documentazione a sostegno della propria nuova prospettazione.
Da qui emergerebbe, quindi, un secondo profilo di inammissibilità in virtù della regola generale dell'onere probatorio, di cui all'art. 2697 c.c. (secondo cui spetta a chi agisce in giudizio indicare e provare i fatti) che deve trovare integrale applicazione allorquando non ricorra quella disuguaglianza di posizioni tra Amministrazione e privato, che giustifica in generale l'applicazione, nel processo amministrativo, del principio dispositivo con método acquisitivo; principio, questo, che comunque non consente al Giudice amministrativo di sostituirsi alla parte onerata disponendo d'ufficio quelle acquisizioni istruttorie, a cui era tenuta quest'ultima, quando, come appunto accade nel caso di specie, il ricorrente non si trova affatto nell'impossibilità di provare il fatto posto a base della sua azione, essendo gli atti e documenti idonei a supportare le sue allegazioni nella sua esclusiva disponibilità, sì che rientra nella sua autonoma valutazione la scelta di farli o meno acquisire agli atti del giudizio(cfr. Cons. Stato, 24 maggio 2007 n. 2636).
Mancando ogni prova al riguardo, non sussiste ragione per discostarsi, quanto all'inquadramento giuridico della fattispecie, dalla ricostruzione giuridica operata dai giudici di I grado, che hanno correttamente rilevato come all'edificio in questione, situato in zona agricola del Comune di Salorno, si applichino le disposizioni contenute nell'ordinamento urbanistico provinciale, come previsto dall'art. 24 del PUC.
Ai sensi dell'art. 107, comma 5, della L.P. n. 13 del 1997 gli impianti per la raccolta, conservazione e lavorazione di prodotti agricoli e le aziende zootecniche industrializzate esistenti nel verde agricolo non possono essere adibiti ad altre destinazioni, salvo che tutta l'area asservita all'impianto venga destinata nel piano urbanistico comunale a zona per insediamenti produttivi o a zona residenziale o ad opere o impianti di pubblico interesse. Finché non è intervenuto il cambiamento di destinazione d'uso nel piano urbanistico comunale le costruzioni non possono essere utilizzate per altre attività che per quelle per le quali sono state realizzate.
Tale divieto preesisteva nella normativa vigente sin dal 1980, sicché, in assenza di prova circa la preesistenza di diversa destinazione dell'edificio, si deve ritenere che lo stesso incorresse nel divieto in questione.
Peraltro, in questo grado del giudizio l'appellante ha per la prima volta sollevato una questione di legittimità costituzionale, afferente all'art. 42, comma 5, del TU approvato con DPGP 23/6/70 n. 20, come sostituito dall'art. 8 L.G. n. 34 del 24/11/80, dell'art. 95, comma 5 del TU delle leggi urbanistiche provinciali, approvato con DPGP 26/10/93 n. 38 e dell'art. 107, comma 5, L.P. n. 13/97 per contrasto con gli artt. 3, 41 e 42 Cost., con ciò determinando un non consentito ampliamento nel giudizio di appello della materia del contendere.
La giurisprudenza del giudice amministrativo è infatti in larghissima prevalenza orientata nel senso che nel processo amministrativo, quale conseguenza logica dell'onere di specificità delle censure dedotte in primo grado contro i provvedimenti impugnati e in applicazione del principio del divieto dello jus novorum, deve ritenersi inammissibile la questione di legittimità costituzionale proposta per la prima volta in grado di appello (Cons. Stato, VI Sez., 2 dicembre 1987 n. 938, 15 aprile 1996 n. 553 e 19 luglio 1979 n. 973; IV Sez. 6 luglio 2004 n. 5016; 24 maggio 2007 n. 2636).
Si può peraltro prescindere da detto principio, in presenza dei margini di opinabilità che esso presenta a fronte del potere-dovere del giudice amministrativo di sollevare d' ufficio questione di legittimità costituzionalità in ogni stato e grado del giudizio, atteso che la questione, così come prospettata,. è comunque manifestamente infondata.
Invero, non contrasta coi ricordati principi costituzionali la norma provinciale che impedisce qualsiasi altro utilizzo agli impianti per la raccolta, conservazione e lavorazione dei prodotti agricoli, costituendo regola razionale e logica quella di preservare i valori culturali e di tradizione produttiva rurale di zona, nonché di tutelare i rilevanti interessi economici connessi alla stessa.
Per le suesposte considerazioni il ricorso in appello va rigettato, con conseguente conferma della sentenza impugnata.
Sussistono giusti motivi per confermare tra le parti le spese della presente fase di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sez. IV, definitivamente pronunciando in ordine al ricorso in appello indicato in epigrafe, lo rigetta e, per l'effetto, conferma la sentenza impugnata.
Spese del grado compensate.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 13 aprile 2010 con l'intervento dei Signori:
Gaetano Trotta, Presidente
Armando Pozzi, Consigliere
Anna Leoni, Consigliere, Estensore
Bruno Mollica, Consigliere
Bernhard Lageder, Consigliere
DEPOSITATA IN SEGRETERIA IL 27 LUG. 2010.
Autore:
Consiglio di Stato
Dossier:
_Islam_, Italia, CESEN, Edifici di culto
Nazione:
Italia
Parole chiave:
Islam, Verde agricolo, Commercio al dettaglio, Commercio all'ingrosso, Attività terziaria, Ripristino dello stato dei luoghi, Pianificazione urbanistica, Destinazione d'uso, Luogo di culto, Attività di culto, Moschea, Musulmani, Libertà religiosa, Edifici di culto
Natura:
Sentenza