Parere 02 novembre 2009, n.2750/09
NUMERO AFFARE 02750/2009
OGGETTO: Ministero dell'Interno Dipartimento Libertà Civili e Immigrazione – Affari dei Culti.
Quesito in ordine alle problematiche relative al riconoscimento della personalità giuridica della fondazione ‘Museo Diocesano’ con sede in Brescia, dell’Istituto Storico ‘San Josemaria Escriva’, con sede in Roma, e della fondazione ‘Duomo di Mestre’.
LA SEZIONE
Vista la relazione, prot. n. 0002148, del 23 luglio 2009, con la quale il Ministero dell’Interno ha chiesto il parere del Consiglio di Stato in ordine alla valutazione delle problematiche giuridiche concernenti la riconoscibilità degli enti suindicati.
Esaminati gli atti e udito il relatore ed estensore Francesco D'Ottavi;
Premesso:
Il richiedente Ministero nella suindicata relazione premette che sono state inoltrate tre istanze di riconoscimento della personalità giuridica come ente ecclesiastico di due fondazioni e di un istituto che presentano alcune caratteristiche particolari.
1) Fondazione Museo diocesano con sede in Brescia.
Al riguardo il Ministero rileva che con documentata istanza il legale rappresentante della Fondazione Museo diocesano di Brescia, ha presentato, tramite la Prefettura – U.T.G. di Brescia, che ha espresso riguardo parere ampiamente favorevole, istanza di riconoscimento della personalità giuridica civile della fondazione stessa costituita con decreto dell’Ordinario diocesano di Brescia in data 15 febbraio 1978; le finalità statuarie dell’ente sono quelle di ‘promuovere, organizzare e sostenere l’attività pastorale nel settore dell’evangelizzazione, della catechesi, della cura delle anime, dell’educazione alla concezione cristiana della vita, attraverso la valorizzazione dell’arte sacra cristiana e la promozione di una cultura cristianamente ispirata’, nonché di promuovere, a tale scopo, iniziative di formazione, evangelizzazione e catechesi tramite l’arte, intesa quale testimonianza di fede, attraverso la gestione di un Museo diocesano.
Il museo e la fondazione che lo gestisce sono considerati come ‘istituzioni pastorali’, con compiti di vero e proprio annuncio evangelico e non soltanto come istituzioni museali con specifici compiti conservativi e di ricerca. La Pontificia Commissione per i Beni culturali della Chiesa ha fornito in proposito il proprio contributo con l’emanazione, in data 29 giugno 2001, di una lettera circolare su ‘La funzione pastorale dei musei ecclesiastici’. Al riguardo il Ministero rileva che tale documento ha inteso promuovere la salvaguardia e la valorizzazione del patrimonio storico e artistico della Chiesa in funzione della sua azione pastorale e ‘il museo diocesano non è una semplice raccolta di oggetti desueti’: esso rientra a pieno titolo tra le istituzioni pastorali, poiché custodisce e valorizza beni culturali un tempo posti al servizio della missione della Chiesa ed ora significativi da un punto di vista storico-artistico; si pone quindi quale strumento di evangelizzazione cristiana, di elevazione spirituale, di dialogo con i lontani, di formazione culturale, di fruizione artistica, di coscienza storica.
2) Istituto Storico San Josemaria Escrivà.
Circa il secondo ente il Ministero rappresenta che l’Istituto Storico San Josemaria Escrivà con sede in Roma, eretto canonicamente con decreto del Prelato della Santa Croce e Opus Dei, in data 9 gennaio 2001, ha ricevuto, il 9 giugno 2005, il nulla osta al riconoscimento civile da parte della Congregazione per i Vescovi.
L’Istituto costituisce uno dei bracci operativi della Prelatura Personale della Santa Croce e Opus Dei, ente istituito come prelatura personale dal Romano Pontefice, con la Costituzione apostolica ‘Ut sit’ del 28 novembre 1982 e riconosciuto come ente ecclesiastico con D.P.R del 23 novembre 1990.
Il Ministero rileva che nell’ambito della Prelatura dell’Opus Dei operano altri enti, più specifici o secondari, di natura associativa o fondazionale, eretti dalla competente autorità canonica ed intrinsecamente congiunti con la medesima. Tale è, ad esempio, il Collegio Romano della Santa Croce, ente ecclesiastico civilmente riconosciuto con D.M. del 22 gennaio 2007 ed istituito con decreto del Prelato dell’Opus Dei del 28 aprile 2004, a seguito della contestuale estinzione della personalità giuridica dell’ente ‘Casa della Società Sacerdotale della Santa Croce’. Analoga è la posizione dell’Istituto Storico San Josemaria Escrivà per il quale la Congregazione per i Vescovi ha dichiarato, in data 28 agosto 2006, che l’ente ‘è un centro di studi e ricerche, di ambito internazionale, che promuove studi storici e teologici sulla vita e gli insegnamenti di San Josemaria Escivà, contribuendo a farne conoscere la figura e a diffonderne la devozione e, quindi la sua attività è di religione e di culto’ e per le finalità che lo caratterizzano corrisponde pienamente agli scopi della Prelatura della Santa Croce e Opus Dei.
Rileva altresì che l’ente, recependo le indicazioni fornite dal Consiglio di Stato con parere n. 392/08, reso in data 26 gennaio 2008, ha provveduto a modificare lo statuto evidenziando ulteriormente le specifiche attività di religione e di culto dell’Istituto, rendendo autonoma la finalità della diffusione della conoscenza della figura di San Josemaria Escrivà, quale modello di santità per i membri della Prelatura e per tutti i fedeli cristiani, dall’attività di promozione della ricerca storica sulla vita e sull’opera del santo, facendo delle prime le finalità primarie dell’istituto e della seconda una finalità strumentale.
3) Fondazione del Duomo di Mestre.
In ordine a tale ente il Ministero osserva che la Fondazione del Duomo di Mestre, eretta canonicamente in persona giuridica pubblica come pia fondazione autonoma, in data 31 maggio 2008, ha inoltrato formale istanza di riconoscimento della personalità giuridica civile con richiesta del 31 luglio 2008.
Come dichiarato dall’Ordinario diocesano di Venezia in data 31 luglio 2008, l’ente è stato costituito per coordinare e valorizzare le diverse attività nel campo della catechesi e dell’educazione cristiana dei fedeli laici della terraferma veneziana e più in generale di tutte le attività di cura delle anime poste in essere dai diversi enti ecclesiastici operanti nella zona mestrina; la Fondazione si pone inoltre in dialogo con la società civile nell’ambito della valorizzazione del patrimonio religioso della città di Mestre.
Dall’art. 2 dello statuto si evince che la fondazione ha come finalità ‘la promozione religiosa, culturale e sociale del tessuto urbano, attraverso lo studio e la valorizzazione della storia e tradizione religiosa della città di Mestre e della Terraferma veneziana’: lo sviluppo culturale e la promozione integrale della persona e dei valori umani e cristiani, di libertà, giustizia, solidarietà, culto a Dio e partecipazione alla vita della Chiesa’.
Il Ministero rileva di aver ritenuto chiedere ulteriori chiarimenti in merito all’attività concretamente svolta dall’ente, resi con relazione trasmessa dalla Prefettura – U.T.G. di Venezia in data 26 marzo 2009; da tali documentati riscontri risulta che la Fondazione del Duomo di Mestre ‘si propone quale strumento di crescita e maturazione della comunità cristiana cittadina, a conferma della sua vocazione alla testimonianza evangelica verso le terre del triveneto, verso l’Oriente e il mondo’ e che quindi sembra porsi al servizio delle diverse comunità parrocchiali e associazioni o gruppi ecclesiali del Patriarcato di Venezia, in specie di quelli presenti ed operanti nel territorio della terraferma veneziana, promuovendo eventi che sono interamente volti al sostegno della cura delle anime e alla promozione del culto, della catechesi e dell’educazione cristiana.
In relazione alle menzionate istanze ed in considerazione del fatto che negli ultimi tempi vengono sottoposte sempre più di frequente all’attenzione dell’Amministrazione tipologie fondazionali nelle quali il concetto di finalità di religione e di culto pare aver subìto una non indifferente evoluzione e trasformazione (anche rispetto alla precedente consultazione resa dal Consiglio di Stato, cfr. ex pluribus parere Sez. 1^ del 17 aprile 1991, n. 828/91), il Ministero ha ritenuto utile la sottoposizione delle medesime istanze al vaglio del Consiglio di Stato al fine di conoscerne il parere alla luce di una interpretazione evolutiva delle norme che presiedono al detto riconoscimento, e inoltre perché si esprima sulla riconoscibilità in generale degli enti ecclesiastici, fornendo una univoca interpretazione dell’art. 16 lett.a) della legge 20 maggio 1985, n° 222.
Considerato:
Come riportato nelle premesse, il riferente Ministero, nell’ambito del richiesto parere in ordine alla riconoscibilità della personalità giuridica civile dei tre enti suindicati (Fondazione del Museo diocesano di Brescia, Istituto Storico San Josemaria Escrivà, Fondazione del Duomo di Mestre), pone un propedeutico, più generale quesito sull’interpretazione ed applicazione della normativa di riferimento in relazione alla prospettata ‘evoluzione’ del concetto di religione e di culto che, secondo il Ministero stesso, si configura oggi certamente in un significato più ampio di quanto in proposito presupposto da questo Consiglio in precedenti pareri resi sull’argomento.
Da tale ricostruita prospettazione è evidente che l’esame delle singole fattispecie relative ai menzionati enti deve essere preceduta dall’impostazione e dalla soluzione del più generale quesito interpretativo posto dal Ministero.
Pare opportuno premettere che, a parte alcuni enti della Chiesa che godono la personalità giuridica civile o per antico possesso di stato (Santa Sede, ex art.7, 2° comma, L. n.121 del 1985), o in quanto direttamente conferita da una specifica disposizione normativa (Conferenza Episcopale Italiana: art.13 L. n.222 del 1985), o in quanto attribuita con decreto del Ministro dell'Interno imposto da una disposizione di legge (Istituto centrale e Istituti diocesani per il sostentamento del clero: art.22 L. n.222, cit.; diocesi e parrocchie esistenti entro il 30 settembre del 1986: art.29 L. n.222, cit.), tutti gli altri enti di origine canonica possono chiederla ed ottenerla al verificarsi di determinate condizioni.
Per conseguire la personalità giuridica civile, e poter essere qualificati come "enti ecclesiastici civilmente riconosciuti" (art.4 L. n.222), sono chiesti agli enti di derivazione canonica requisiti specifici secondo la loro diversa tipologia. Tutti però indistintamente, a norma dell'art.1 di tale legge: a) devono essere costituiti o approvati dall’autorità ecclesiastica; b) devono avere la sede in Italia; c) debbono perseguire un fine di religione o di culto, che, come dispone il 3° comma dell'art. 2, sia costitutivo ed essenziale dell'ente, ancorché connesso ad attività di natura caritativa previste dal diritto canonico. E mentre i primi due requisiti, attinenti a dati di fatto, non lasciano alcun margine o al più lasciano margini ristrettissimi ad una valutazione discrezionale della pubblica amministrazione, non così il terzo, giacché esso, come statuisce il 2° comma dell'art. 2 L. n.222 dovrà essere “accertato di volta in volta, in conformità alle disposizioni dell’art.16” della stessa legge (restano esclusi da tale accertamento, in virtù del 1° comma dell'art. 2 della L. n.222, soltanto gli enti facenti parte della costituzione gerarchica della Chiesa, gli istituti religiosi e i seminari, il cui fine di religione o di culto va presunto).
Il richiamato art.16 sancisce quali attività, agli effetti delle leggi civili, debbono essere considerate come attività religiose o di culto, e quali no: sono "a) attività religiose o di culto quelle dirette all'esercizio del culto e alla cura delle anime, alla formazione del clero e dei religiosi, a scopi missionari, alla catechesi, all'educazione cristiana; b) attività diverse da quelle di religione o di culto quelle di assistenza e di beneficenza, istruzione, educazione e cultura e, in ogni caso, le attività commerciali o a scopo di lucro".
Se pare agevole accertare se le attività svolte dall'ente siano commerciali o dirette a scopo di lucro, o anche di assistenza o di beneficenza, può risultare difficoltoso verificare se tali attività non siano costitutive ed essenziali dell'ente (nel qual caso potrebbe ugualmente essere qualificato come ente ecclesiastico civilmente riconosciuto: art.2, 3° comma, cit.). Assai più complesso è il compito di vagliare nel caso concreto se le attività di istruzione, educazione e cultura, pur dovendo per sé essere reputate non di religione o di culto, a tenore della lett. b dell'anzidetto articolo 16, in quanto però miranti ad educare cristianamente i fedeli, a catechizzarli nella dottrina cristiana, a formare religiosi e clero, non debbano piuttosto rientrare fra quelle previste nella lett. a (e consentire quindi la qualifica dell'ente che le svolga come ente ecclesiastico civilmente riconoscibile).
Non si possono dare soluzioni precostituite riguardo ad una problematica che presenta, nella variegata esperienza della vita sociale ed ecclesiale, molteplici sfaccettature e non poche sfumature. Al riguardo, pare comunque opportuno richiamare la posizione, assunta in questa materia dal legislatore con la L. n.222/1985, il che aiuta il compito dell'interprete nell'assumere il giudizio su ogni singola fattispecie.
Tutte le attività menzionate nell'art.16 della L. n.222 (quelle previste nella lett. a come quelle considerate nella lett. b, comprese le attività commerciali o di lucro), di fatto mirano, in quanto svolte da enti facenti parte dell'ordine ecclesiale, alla maggior gloria di Dio, cioè ad un fine lato sensu religioso. Ma ciò non può essere sufficiente a farli considerare "agli effetti delle leggi civili" (art.16 cit.) come attività di religione o di culto. Infatti, è proprio la distinzione introdotta dal predetto articolo fra "attività religiose o di culto" (lett. a) e "attività diverse da quelle di religione o di culto" (lett. b) ad indurre a pensare che il legislatore non abbia guardato al fine o all'intenzione remota che si propone l'ente nello svolgerle, ma abbia considerato il fine specifico che è proprio della concreta attività svolta, quale è connaturato, per così dire, alla stessa.
Con la previsione del citato art.16 e con quella del 3° comma dell’art.2 il legislatore di attuazione dell’Accordo del 1984 ha inteso risolvere con uno specifico dettato normativo le questioni che si erano poste nella prassi amministrativa, e che spesso venivano portate al vaglio della giurisprudenza, in relazione alla corretta attuazione da dare all'art.5 della L. 27 maggio 1929, n.848 (che dettava, fra l'altro, disposizioni sugli enti ecclesiastici applicative del Concordato lateranense); in realtà quest'ultima norma, nel sottoporre "le attività di carattere educativo, assistenziale o comunque di interesse sociale a favore dei laici" alle leggi civili che le riguardano, per la sua genericità faceva sorgere il problema di individuare quali fossero in concreto tali attività e quando esse, per la loro preminenza fra tutte le attività che un ente può svolgere, conferissero allo stesso una configurazione tale da non poterlo far rientrare nella categoria degli enti ecclesiastici.
Lo Stato non intende precludere ad enti facenti parte dell'ordine ecclesiale di perseguire i loro fini con attività di qualsivoglia genere (purché, ovviamente, lecite), e di richiedere ed ottenere secondo le norme del diritto comune la personalità giuridica; ma, con le norme sopra richiamate (sia quella di derivazione concordataria del 1929 che quelle della L. n.222 del 1985) ha voluto precludere l'applicazione della legislazione di favore dettata per gli enti facenti parte dell'ordine ecclesiale, escludendola per quelli di essi che svolgono, in modo costitutivo ed essenziale (cfr. il più volte richiamato art. 2, 3° comma, L. n.222), attività che lo Stato stesso ritiene di proprio preminente interesse, lasciandoli sottoposti alle norme di diritto comune che regolano la vita e l'attività degli enti morali.
In questo quadro, allorché si dovrà decidere nei casi dubbi, in relazione alla normativa da applicare, se un’attività presenta connotati tali che consentano di ascrivere l'ente fra quelli perseguenti fini di religione o di culto, o alla diversa categoria degli enti che, "agli effetti civili", tali non possono essere ritenuti, non potrà non tenersi conto del contesto storico, quale emerge dalla complessiva normativa dell'ordinamento giuridico in materia.
Nel periodo risorgimentale questo era ostile ai valori religiosi, tanto da non ammettere la soggettività degli enti religiosi e di toglierla a quelli che la possedessero, trasferendo allo Stato la titolarità giuridica dei loro beni. Nel periodo successivo alla prima guerra mondiale, lo Stato attenuò tale ostilità e riconobbe in linea di massima con il Concordato lateranense la personalità giuridica agli enti della Chiesa, pur rimanendo geloso delle proprie prerogative, e conseguentemente poco incline a concedere ad ordinamenti diversi dal suo il governo di attività ritenute socialmente rilevanti o riconoscimenti di soggettività non riconducibili a controlli da parte della pubblica amministrazione. Dopo la seconda guerra mondiale, nella Costituzione repubblicana emerge da talune sue norme fondamentali, in particolare dagli artt.7, 8, 19 e 20, un favor religionis, che poi si manifesta in tanti settori della normativa costituzionale ed ordinaria: dalla legislazione in materia religiosa spesso subordinata ad accordi con la Chiesa e con le altre confessioni religiose agli aiuti concessi alle stesse. Questo orientamento, tenuto presente nell'attività legislativa, non potrà essere disconosciuto in sede amministrativa quante volte dovessero sorgere problemi di interpretazione e di applicazione delle norme che riguardano la vita degli enti ecclesiastici.
La Sezione rileva quindi che il discrimine stabilito dal menzionato art. 16 vada attentamente valutato, caso per caso, e venga riconosciuto ricorrente quando in concreto siano ‘essenzialmente’ perseguite le attività esplicate nella tipologia prevista dalla norma, attività che per l’avvenuta prospettata evoluzione dei concetti di ‘religione e di culto’, può essere più largamente intesa (anche rispetto a quanto in precedenza espresso in proposito da questo Consiglio), purché sia sempre prevalentemente riconducibile alle peculiari finalità (religiose) perseguite dalla Chiesa. Peraltro, per evitare che il rispetto della normativa nella sua propugnata interpretazione possa dar luogo ad applicazioni puramente formali, occorrerà che nel concreto l’Amministrazione verifichi, di volta in volta, l’effettiva corrispondenza delle attività perseguite con le più volte evidenziate finalità.
Passando all’esame delle fattispecie suindicate, ritiene la Sezione che nelle stesse, alla luce delle considerazioni svolte e delle coerenti valutazioni espresse dai competenti organi periferici dell’amministrazione, ricorrono i presupposti previsti per il riconoscimento.
Esaminando nel dettaglio la documentazione inviata e soprattutto il contenuto dei singoli statuti, si evince infatti che le tre entità, pur con tipologie oggettivamente diversificate, perseguono prevalentemente attività prettamente religiose.
In particolare, per quanto concerne la ‘Fondazione Museo diocesiano di Brescia, oltre alla localizzazione (nel chiostro dell’ex convento di S. Giuseppe), che pure di per sé non è un indice sufficiente, deve riscontrarsi quanto dettagliatamente previsto nell’art. 3 dello Statuto, ove le generali attività religiose e di culto vengono positivamente esplicate ‘nell’organizzazione e promozione di corsi di formazione, iniziative di educazione cristiana, pubblicazione di opuscoli, libri e altri strumenti divulgativi inerenti la divulgazione del culto e della religione…..’.
Anche la posizione del secondo ente, l’Istituto Storico San Josemaria Escrivà’ può essere positivamente valutata alla luce delle considerazioni che precedono; per quanto concerne tale Istituto, che fu oggetto di specifica consultazione negativa da parte di questa Sezione (cfr. parere n. 392/08, reso nell’adunanza del 26 gennaio 2008), va considerato che esso ha tenuto conto delle motivazioni contenute nel richiamato parere, modificando lo Statuto che, nell’attuale formulazione, si prefigge di curare ‘la diffusione della conoscenza della figura di San Josemaria Ecrivà quale modello di santità per i membri della Prelatura e per tutti i fedeli cristiani’; finalità queste che nella proposta interpretazione della normativa di riferimento, fanno superare le perplessità a suo tempo espresse, dovendosi ritenere indubbiamente ascrivibili ad espressioni di attività religiose e di culto.
Da ultimo, circa la struttura della ‘fondazione del Duomo di Mestre’, va rilevato che, come è dato riscontrare dal contenuto dell’art. 2 del relativo Statuto, la fondazione ha come scopo principale ‘la promozione integrale della persona e dei valori umani e cristiani di libertà…….culto a Dio e partecipazione alla vita della chiesa’, scopi che certamente rientrano nelle finalità religiose e di culto presupposte per il riconoscimento.
P.Q.M.
Nelle suesposte considerazioni è il parere della Sezione.
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
Francesco D'ottavi Pasquale de Lise
IL SEGRETARIO
Data: 2 novembre 2009
Autore:
Consiglio di Stato
Dossier:
Musei ecclesiastici, _Chiesa cattolica_, Enti religiosi, Italia, Beni culturali
Nazione:
Italia
Natura:
Parere