Sentenza 29 dicembre 1972, n.195
Corte Costituzionale. Sentenza 29 dicembre 1972, n. 195: “Nulla osta della Santa Sede per la nomina e la permanenza dei professori dell’Università cattolica (art. 38 Conc.)”.
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
Prof. Michele FRAGALI, Presidente
Prof. Costantino MORTATI
Prof. Giuseppe CHIARELLI
Dott. Giuseppe VERZÌ
Dott. Giovanni Battista BENEDETTI
Prof. Francesco Paolo BONIFACIO
Dott. Luigi OGGIONI
Avv. Ercole ROCCHETTI
Prof. Enzo CAPALOZZA
Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI
Prof. Vezio CRISAFULLI
Dott. Nicola REALE
Prof. Paolo ROSSI, Giudici,
Avv. Leonetto AMADEI
Prof. Giulio GIONFRIDA, Giudici,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 38 del Concordato 11 febbraio 1929 fra lo Stato italiano e la Santa Sede, reso esecutivo con la legge 27 maggio 1929, n. 810, promosso con ordinanza emessa il 26 novembre 1971 dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale – sezione VI – sul ricorso di Cordero Franco contro il Ministero della pubblica istruzione e l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, iscritta al n. 51 del registro ordinanze 1972 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 97 del 12 aprile 1972.
Visti gli atti di costituzione di Cordero Franco, dell’Università Cattolica del Sacro Cuore e del Ministero della pubblica istruzione, nonché l’atto d’intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica dell’11 ottobre 1972 il Giudice relatore Luigi Oggioni;
uditi gli avvocati Paolo Barile, Giuseppe Guarino e Leopoldo Piccardi, per il Cordero, gli avvocati Giorgio Balladore Pallieri, Antonio Sorrentino e Carlo Lessona, per l’Università Cattolica, ed il sostituto avvocato generale dello Stato Umberto Coronas, per il Presidente del Consiglio dei ministri e per il Ministero della pubblica istruzione.
Ritenuto in fatto
Il prof. Franco Cordero, titolare della cattedra di diritto processuale penale presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, impugnava a suo tempo avanti al Consiglio di Stato per eccesso di potere e per violazioni di legge sull’istruzione superiore, sullo stato giuridico ed economico dei professori universitari, nonché per violazione del Regolamento generale universitario, il provvedimento con cui il Rettore della stessa Università gli aveva comunicato il ritiro, da parte della Sacra Congregazione per l’educazione cattolica, del nulla osta già precedentemente concessogli a norma dell’art. 38 del Concordato fra la Santa Sede e l’Italia, per entrare a far parte del corpo docente della Università.
Con ordinanza del 26 novembre 1971, il Consiglio di Stato, in conformità d’analoga eccezione proposta dal ricorrente prof. Cordero, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 38 suddetto, il quale dispone che la nomina dei professori della menzionata Università deve essere preceduta dal nulla osta della Santa Sede, diretto ad assicurare che non vi sia alcunché da eccepire dal punto di vista morale e religioso. Ciò dopo avere il Consiglio interpretato l’art. 38 del Concordato nel senso che esso valga sia pel caso d’assunzione che pel caso d’estromissione del docente, donde la rilevanza in giudizio della questione.
Ha osservato il Consiglio di Stato, nella sua ordinanza di rinvio, che il fatto che un docente in un istituto universitario italiano debba subire un giudizio sul possesso dei requisiti morali e religiosi da parte dell’autorità ecclesiastica, si presenterebbe come un’inammissibile soggezione dello Stato alla sovranità della Chiesa cattolica nella materia dell’insegnamento, e si porrebbe quindi in contrasto con l’art. 7 della Costituzione, il quale enuncia il principio della reciproca indipendenza e sovranità dello Stato e della Chiesa cattolica nell’ambito del proprio rispettivo ordine.
L’enunciata soggezione, inoltre, contrasterebbe specificamente con la libertà d’insegnamento garantita dall’art. 33 della Costituzione, perché, anche in vista della libertà di religione garantita dall’art. 19 Cost., non sarebbero ammissibili in materia limitazioni per motivi confessionali, specie se imposte con provvedimenti di discrezionalità illimitata, come quello impugnato, che sfuggirebbe ad ogni possibilità di sindacato in quanto proveniente da un’autorità di un ordinamento giuridico diverso da quello statuale, e attingerebbe a valutazioni estranee alla sovranità dello Stato.
Infine, il descritto sindacato dell’autorità ecclesiastica sarebbe altresì in contrasto con il principio di eguaglianza di cui all’art. 3 della Costituzione, che esclude ogni discriminazione per motivi religiosi.
Ciò posto, il Consiglio dopo avere motivato sulla rilevanza in giudizio della detta questione di legittimità costituzionale, ha sospeso il giudizio principale, rinviando gli atti a questa Corte per le decisioni di competenza.
L’ordinanza, notificata e comunicata come per legge, é stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 97 del 12 aprile 1972.
Avanti a questa Corte si é costituito il prof. Cordero, rappresentato e difeso dagli avvocati prof. Paolo Barile, prof. Giuseppe Guarino e Leopoldo Piccardi, i quali hanno depositato tempestivamente deduzioni difensive con cui ribadiscono le ragioni svolte nell’ordinanza di rinvio a sostegno della illegittimità della norma impugnata.
Si é altresì costituita l’Università Cattolica, in persona del rettore prof. Giuseppe Lazzati, rappresentata e difesa dagli avvocati prof. Giorgio Balladore Pallieri, prof. Feliciano Benvenuti, Gian Galeazzo Bettoni, Carlo Lessona e Antonio Sorrentino, che hanno depositato tempestivamente le proprie deduzioni difensive.
La difesa dell’Università Cattolica osserva che la “controversia potrebbe essere risolta indipendentemente dall’esame della costituzionalità dell’art. 38, apparendo senz’altro legittimi gli artt. 1 e 25 dello Statuto dell’Università, che sono fonte immediata del potere esercitato nel caso di specie”. Ed al riguardo rileva che l’art. 2 della Costituzione garantisce i diritti inviolabili dell’uomo anche “nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità” il che garantirebbe il diritto dei singoli di riunirsi in gruppi omogenei per mentalità o tendenze, per il conseguimento di scopi non condivisi da altri membri della comunità. E l’art. 33, terzo comma, Cost. garantirebbe inoltre la libertà, sia di istituire scuole ed istituzioni con particolari indirizzi ideologici o religiosi, sia di attuare, nei confronti dei partecipanti, le conseguenti limitazioni, le quali non investirebbero il diritto del singolo di manifestare la propria opinione, ma gli impedirebbero solo di farlo in un determinato ambiente. Né rileverebbe al riguardo la natura pubblica ma non statale delle scuole o istituzioni, dato che la relativa qualifica dipenderebbe solo da ragioni tecniche legate alla natura del servizio ed alle esigenze del suo svolgimento. E ciò tanto più che non potrebbe ritenersi in alcun modo illegittimo che lo Stato persegua i suoi fini in materia, oltre che con i propri organi, aperti alla generalità dei cittadini, anche per mezzo di enti che, se agiscono entro più limitate sfere oggettive e soggettive, rappresenterebbero comunque il concorso di taluni gruppi qualificati da particolari ideologie all’esercizio della funzione pubblica, e si muoverebbero quindi in armonia e non in disarmonia con il principio di eguaglianza.
Sarebbe pertanto infondato il timore che, attraverso l’articolo 38 del Concordato, si attui una violazione del principio della reciproca indipendenza e sovranità dello Stato e della Chiesa, il che dovrebbe in ogni modo escludersi, anche in vista della materia puramente morale e religiosa su cui verte il sindacato dell’autorità ecclesiastica, ed in analogia ai rinvii di natura similare accolti nel diritto internazionale.
La difesa sostiene poi che, comunque, in conformità della giurisprudenza della Corte, le norme del Concordato potrebbero essere dichiarate illegittime solo “in casi estremi” tra i quali non sarebbe da annoverarsi l’ipotesi in esame, che si riferirebbe ad un’istituzione particolare ed a un momento interno della medesima.
La difesa, tutto ciò premesso, conclude chiedendo dichiararsi l’irrilevanza della questione ed in subordine dichiararsi la questione stessa infondata.
Si sono regolarmente costituiti anche il Presidente del Consiglio dei ministri e il Ministro per la Pubblica Istruzione pro tempore a mezzo dell’Avvocatura di Stato, la quale osserva che l’esistenza ed il riconoscimento dell’Università Cattolica rientrerebbe nell’ambito dei principi di libertà ed autonomia delle scuole private garantiti dall’art. 33 Cost. così come vi rientrerebbe in ipotesi il riconoscimento di altre scuole informate a diversi principi religiosi. Da ciò discenderebbe la piena legittimità anche delle disposizioni che consentono il conseguimento e la conservazione del carattere cattolico della detta Università, ivi comprese quindi le norme concernenti i requisiti richiesti agli insegnanti, non potendosi ammettere che in una scuola così caratterizzata venga impartito un insegnamento contrario a quei presupposti di fede o siano ammessi comunque ad insegnare docenti che professino principi contrari alla religione ed alla morale cattolica secondo il giudizio della Santa Sede, la quale, comunque, agirebbe nel caso come suprema autorità religiosa, e non quale Stato straniero. D’altra parte l’Università Cattolica sarebbe stata giuridicamente riconosciuta con il r.d. 2 ottobre 1924, n. 1661, cioé in epoca anteriore al Concordato, e troverebbe quindi origine in un libero atto dello Stato, al di fuori di qualsiasi impegno pattizio a carattere internazionale, il che escluderebbe anche, sotto questo aspetto, qualsiasi limitazione della sovranità dello Stato italiano.
L’Avvocatura rileva altresì che, secondo la giurisprudenza della Corte, potrebbero fungere come parametro per il giudizio di legittimità costituzionale solo i principi supremi dell’ordinamento costituzionale dello Stato, i quali peraltro non potrebbero ritenersi violati per effetto della norma impugnata, poiché gli invocati precetti sulla eguaglianza, la libertà di insegnamento e la libertà di religione non potrebbero essere intesi in modo da escludere il perseguimento degli scopi spirituali e culturali della istituzione in esame.
D’altra parte, il principio della reciproca indipendenza e della sovranità dello Stato e della Chiesa cattolica nell’ambito del proprio ordine enunciato dall’art. 7 Cost. significherebbe soltanto il riconoscimento del carattere primario dell’ordinamento della Chiesa cattolica al pari di quello che lo Stato medesimo realizza, con il conseguente corollario che i Concordati non sarebbero pattuizioni di diritto interno, ma accordi fra due ordinamenti primari. Da ciò deriverebbe, anche, che non potrebbero considerarsi vietate quelle limitazioni della sovranità dello Stato che appaiono necessarie per permettere la specifica coesistenza e la compenetrazione dei due ordinamenti, egualmente primari e sovrani. Onde anche sotto questo profilo la questione sarebbe infondata. Ma se anche potesse ritenersi che l’art. 38 del Concordato comporti una limitazione della sovranità dello Stato, tratterebbesi comunque di limitazione talmente modesta da non poter ledere i già richiamati principi supremi dell’ordinamento costituzionale, e ciò tanto più che, secondo gli artt. 10 e 11 Cost. sarebbe legittimo aderire con legge ordinaria a trattati che comportino una limitazione della sovranità, e sarebbe altresì previsto l’adattamento automatico del diritto interno ai principi di diritto internazionale generalmente riconosciuto, i quali comportano frequentemente limitazioni di sovranità. Onde a maggior ragione dovrebbe ritenersi consentita, in forza del richiamo ai Patti lateranensi di cui all’art. 7 Cost., la limitazione di sovranità che si ritenesse derivare dall’art. 38 del Concordato.
Conclude, pertanto, chiedendo dichiararsi infondata la sollevata questione.
La difesa del prof. Cordero ha depositato, nei termini, una memoria illustrativa con cui contesta anzitutto l’eccezione preliminare contenuta nelle deduzioni della Università Cattolica, secondo cui fonte immediata del potere esercitato nel caso di specie sarebbero gli artt. 1 e 25 dello Statuto e non già l’art. 38 del Concordato. Questa ultima norma, infatti, alla quale l’articolo 25 dello Statuto fa espresso riferimento, ne costituirebbe il presupposto di validità, onde l’illegittimità costituzionale della norma primaria travolgerebbe anche la norma secondaria. D’altronde, secondo la difesa, tale questione farebbe parte integrante del giudizio di rilevanza, chiaramente effettuato dal giudice a quo, e sfuggirebbe pertanto al sindacato della Corte costituzionale.
Passando poi a sviluppare ampiamente le ragioni a sostegno della fondatezza delle censure, e dopo avere riaffermato che l’Università Cattolica sarebbe persona giuridica di diritto pubblico, svolge un’ampia analisi della giurisprudenza di questa Corte secondo cui le norme concordatarie sarebbero soggette al giudizio di legittimità in questa sede solo per contrasto con i principi supremi dell’ordinamento costituzionale dello Stato, e ne trae la conclusione che alla norma stessa debba negarsi il potere di incidere sui diritti essenziali della persona umana e sui supremi criteri informatori della struttura dello Stato. Potrebbero, quindi, formare oggetto del giudizio della Corte quelle norme concordatarie che violino i diritti di libertà o i principi organizzativi generali cui ha dato vita la Costituzione.
Nel merito, afferma che il principio di sovranità dello Stato risulterebbe eluso per la preminenza che, in virtù dell’art. 38 del Concordato, verrebbe accordata agli interessi esclusivamente religiosi della Chiesa, e ciò tanto più che, in coerenza col principio generale di conservazione dei Trattati internazionali rebus sic stantibus ed in virtù dei profondi mutamenti storici e sociali intervenuti in questo ultimo periodo, il rispetto della sovranità dello Stato nei rapporti con la sovranità della Chiesa dovrebbe oggi essere apprezzato con un rigore assai maggiore di quanto poteva esserlo nel 1929. Di conseguenza, anche a voler ammettere la legittimità della esistenza di Università confessionali, non potrebbe comunque ritenersi legittimo “qualsiasi” intervento della Santa Sede nel campo dell’istruzione universitaria italiana a tutela di tale confessionalità, tutela che comunque non dovrebbe necessariamente essere esercitata mediante l’intervento di un soggetto della Comunità internazionale estraneo allo Stato italiano.
La difesa contesta, poi, la fondatezza del richiamo agli artt. 10 e 11 della Costituzione contenuto nelle deduzioni dell’Avvocatura, sostenendo che non ricorrerebbero nella specie le condizioni per l’applicabilità di tali norme le quali sancirebbero, infatti, la facoltà di introdurre limitazioni di sovranità solo quando “esse siano necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace fra le Nazioni” (art. 11) e comunque si riferirebbero, quanto alla automaticità dell’adattamento del diritto interno a quello internazionale, solo al diritto consuetudinario e non a quello pattizio (art. 10).
La difesa insiste poi nell’affermare che anche il principio di eguaglianza non potrebbe non valere come termine di riscontro della legittimità delle norme concordatarie; ribadisce la censura sollevata sotto tale profilo nell’ordinanza di rinvio e svolge ampie considerazioni a proposito della presunta violazione dell’art. 19 Cost., precisando che l’ingiusta limitazione dello status del prof. Cordero costituirebbe una violazione del diritto del singolo di autodeterminarsi in materia religiosa, diritto che corrisponderebbe ad un interesse pubblico e andrebbe garantito dallo Stato in forza dell’art. 7 Cost., che fa salva nei confronti della Chiesa cattolica la sovranità dello Stato per le materie che rientrano nel proprio ordine.
Passando poi a svolgere le argomentazioni a sostegno della censura sollevata in relazione all’art. 33 Cost., la difesa si richiama al principio supremo della libertà di insegnamento che si sostanzierebbe nella garanzia della libertà del docente quale svolgimento della libertà di espressione del pensiero generalmente sancita dall’art. 21 della Costituzione. D’altra parte, prosegue la difesa, pur se si volesse ritenere che la libertà della scuola ideologicamente qualificata possa valere eccezionalmente come limite nei confronti della libertà di insegnamento del singolo docente, ciò potrebbe avvenire solo per la scuola privata, dato che quella pubblica svolgerebbe un servizio nell’interesse della correttività e non potrebbe di conseguenza avere qualificazioni ideologiche particolari, il che escluderebbe la configurabilità di un conflitto ideologico fra il docente e la scuola medesima. Ciò sarebbe vero particolarmente per l’istruzione superiore, in forza dell’autonomia universitaria sancita dall’ultimo comma dell’art. 33 della Costituzione.
Questi concetti sarebbero confermati dal diritto all’ufficio, dalla libertà d’insegnamento e di ricerca scientifica e dalla inamovibilità attribuiti ai professori universitari dalle norme in vigore (artt. 4 e 5 legge 18 marzo 1958, n. 311), le quali sarebbero applicabili anche ai professori delle Università libere in virtù degli artt. 199 e 201 del t.u. delle leggi sull’istruzione superiore.
Il prof. Cordero, pertanto, non potrebbe essere assoggettato ad un potere discrezionale di revoca dell’impiego al di fuori delle rigorose procedure di dispensa e disciplinari all’uopo previste per i professori universitari di ruolo. E ciò anche a prescindere dalle considerazioni che potrebbero, sia pure indirettamente, trarsi a sostegno di tale assunto dalle garanzie offerte dalla legge 15 luglio 1966, n. 604, sui licenziamenti individuali, e dalla legge 20 maggio 1970, n. 300 (statuto dei lavoratori).
La violazione dell’art. 33 Cost. si evidenzierebbe inoltre anche per effetto della assoluta discrezionalità del provvedimento di revoca del “nulla osta” che non sarebbe subordinata ad alcuna specifica condizione.
Subordinatamente, infine, la difesa prospetta una interpretazione restrittiva dell’art. 38 impugnato, nel senso cioé che il potere di concessione del “nulla osta” ivi contenuto non comprenda, diversamente da quanto ritenuto dal Consiglio di Stato, anche la facoltà di revoca del medesimo.
Secondo la difesa una consimile interpretazione, se condivisa dalla Corte, potrebbe condurre ad una dichiarazione di irrilevanza della questione sollevata.
Anche l’Università Cattolica ha depositato nei termini una memoria illustrativa, con cui ribadisce, svolgendole, le considerazioni già esposte nelle precedenti deduzioni.
In particolare, insiste nell’affermare la possibilità che la libertà della scuola qualificata dal punto di vista ideologico si ponga in funzione di limite nei confronti della libertà del docente di manifestare nella scuola le sue condizioni ed il suo pensiero, perché altrimenti verrebbe lesa la libertà di istituire scuole sancita dall’art. 33 della Costituzione. E ciò sarebbe conforme alla retta interpretazione della libertà di manifestazione del pensiero, la quale, secondo la giurisprudenza di questa Corte, sarebbe suscettibile di quei limiti resi eventualmente necessari dall’esigenza di assicurare l’armonica coesistenza del pari diritto di ciascuno o della tutela di altri interessi costituzionalmente apprezzabili.
La difesa prosegue affermando che la lamentata discrezionalità del provvedimento di revoca sarebbe, in sostanza, null’altro che una manifestazione della menzionata libertà di istituire scuole garantita dalla Costituzione, anzi una conseguenza necessaria di tale diritto fondamentale, e come tale rientrerebbe nella garanzia costituzionale.
Anche la lamentata violazione della sovranità dello Stato risulterebbe insussistente, dovendosi considerare la facoltà prevista dalla norma impugnata come espressione non di un’ingerenza in un ambito riservato allo Stato, bensì in una materia che la Costituzione (art. 33) dichiara suscettibile di iniziative autonome private, e ciò tanto più che l’istruzione non dovrebbe considerarsi come una funzione pubblica.
Infondata, infine, sarebbe anche la doglianza riferita all’art. 3 Cost., poiché la norma impugnata regolerebbe l’ammissione all’insegnamento in un istituto privato, e non in una scuola dello Stato, onde la discriminazione per motivi religiosi dovrebbe considerarsi espressione della autonomia dei gruppi sociali, che sarebbe uno dei caposaldi su cui poggerebbe tutta la Costituzione.
Da ultimo la difesa osserva che il prof. Cordero, accettando di essere chiamato ad insegnare presso l’Università Cattolica ben ne conosceva il carattere confessionale.
La sua successiva evoluzione ideologica ed il conseguente contrasto con i dettami della dottrina cattolica dovrebbero quindi logicamente concludersi col suo allontanamento dall’Università stessa. Egli invece, che, come espressamente si afferma nella memoria, in ossequio alla inamovibilità, avrebbe conservato il suo status anche economico, con esclusione dell’insegnamento ma non delle altre funzioni inerenti allo status medesimo, pretenderebbe, singolarmente, di vedersi riconosciuto il diritto di manifestare il suo dissenso rimanendo legato all’Organizzazione, anziché avvalersi del diritto, che gli competerebbe, di ottenere il ritorno nei ruoli statali.
La difesa Cordero, nelle deduzioni svolte alla fine dell’udienza, ha sostenuto che l’art. 38 del Concordato violerebbe, oltre gli articoli denunciati nell’ordinanza, anche gli artt. 1, 5, 24, 101, 113 Cost. ed ha chiesto che la Corte sollevi davanti a sé questione di costituzionalità sotto i nuovi profili derivanti dal riferimento a detti articoli.
Considerato in diritto
1. – Il Consiglio di Stato, con l’ordinanza di rinvio (al fine di accertare la rilevanza della questione sollevata dal prof. Franco Cordero) premette l’interpretazione dell’art. 38 del Concordato, nel senso che non solo le nomine dei professori dell’Università Cattolica, ma anche la loro permanenza nelle funzioni, debbano intendersi condizionate al “nulla osta” della Santa Sede (a mezzo della Sacra Congregatio pro institutione catholica), di sua natura revocabile.
Ciò premesso, il Consiglio solleva questione di legittimità del citato articolo del Concordato (reso esecutivo con legge n. 810 del 1929) prospettando quattro profili di violazione di norme costituzionali.
Si assume che parrebbe violato l’art. 7 perché l’attribuzione all’autorità ecclesiastica di un giudizio sul possesso dei requisiti morali e religiosi da parte di chi sia chiamato ad insegnare in una “Università italiana” si risolverebbe in violazione della sovranità e indipendenza dello Stato in materia che non appartiene all'”ordine” in cui opera tale sovranità.
Si assume, altresì, che l’art. 38 del Concordato contrasterebbe con gli artt. 33 e 19 Cost. perché la libertà d’insegnamento, tutelata dall’art. 33, verrebbe ad essere subordinata a predeterminate direttive confessionali imposte (con discrezionalità illimitata e mediante provvedimenti insindacabili) da autorità non statuale, in contrasto anche col diritto di professare liberamene la propria fede religiosa secondo l’art. 19 della Costituzione.
Si aggiunge, infine, che da quanto sopra deriverebbe anche la violazione dell’art. 3 Cost. perché, a parità di presupposti, verrebbe riservato all’Università Cattolica un trattamento differenziato.
2. – L’Università Cattolica, nelle sue deduzioni difensive, ha eccepito l’inammissibilità della questione per difetto di rilevanza in giudizio dell’invocato art. 38 del Concordato. Ciò in quanto, indipendentemente da questo articolo, sarebbero sufficienti gli artt. 1 e 22 dello Statuto dell’Università ad attribuire ad essa, in conformità degli artt. 2 e 33 della Costituzione, il potere di strutturarsi in modo autonomo, con particolari indirizzi e scopi ideologici e con particolari condizioni per l’insegnamento, il tutto quale esercizio di diritti di libertà. E, pertanto, il giudizio avrebbe potuto essere risolto sulla base di dette norme statutarie.
A sua volta, il prof. Cordero ha eccepito, ribadendo l’assunto già prospettato davanti al Consiglio di Stato, che la irrilevanza della questione deriverebbe dalla considerazione che l’art. 38 del Concordato, contrariamente all’interpretazione contenuta nell’ordinanza di rinvio, sarebbe operante soltanto nell’ipotesi di nomina del docente e non anche nella ipotesi di revoca successiva del “nulla osta” inizialmente accordato.
Entrambe le eccezioni non sono fondate.
Sulla prima eccezione, la Corte osserva che, davanti al Consiglio di Stato, l’art. 38 del Concordato (dalla cui applicazione si é fatta derivare, da parte dell’Università, formalmente e direttamente, la sospensione del docente dalle sue funzioni) ha formato specifico e precipuo oggetto di esame e di contestazione tra le parti, quale elemento condizionante la legittimità delle norme statutarie che risultano anch’esse oggetto d’impugnazione.
Sulla eccezione della difesa Cordero, la Corte, richiamati i propri limiti di controllo circa la rilevanza ritenuta dal giudice di merito, osserva che l’ordinanza di rinvio risulta sorretta da motivate considerazioni interpretative della norma concordataria, sufficienti per riconoscerne razionale l’operatività anche nel caso di revoca del “nulla osta”.
3. – Come si é riferito, l’art. 38 del Concordato risulterebbe, secondo l’ordinanza di rinvio, in contrasto con gli artt. 3, 7, 19 e 33 della Costituzione.
La difesa del prof. Cordero, nelle deduzioni svolte all’udienza, ha prospettato anche un contrasto con gli artt. 1, 5, 24, 101 e 113. Di conseguenza, ha formalmente chiesto che la Corte sollevi d’ufficio questione di costituzionalità dello stesso art. 38 del Concordato, estendendola alla rilevazione di illegittimità, sotto il profilo desumibile dalla violazione degli altri articoli succitati. Ciò, soprattutto, per quanto concerne l’impedimento che dall’applicazione dell’art. 38 del Concordato deriverebbe alla difesa, davanti all’autorità giurisdizionale italiana, dei suoi interessi legittimi, in relazione allo svolgimento di un rapporto di pubblico impiego.
L’istanza non é ammissibile.
L’art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87, segna l’oggetto e, nel contempo, i limiti della proposizione di un giudizio di legittimità costituzionale, sia ad istanza di parte che di ufficio, con riferimento alle disposizioni della Costituzione che si assumono violate. Ed é l’ordinanza di rinvio che, con preciso riferimento a queste disposizioni, puntualizza e circoscrive i termini della questione.
Nel corso dei giudizi per conflitto di attribuzione, é tuttavia consentito alla Corte, secondo giurisprudenza costante, di sollevare in via incidentale, questione di legittimità di disposizioni legislative, aventi carattere strumentale rispetto alla decisione sul conflitto. Tale facoltà é stata, bensì, ritenuta estensibile (ordinanza 11 novembre 1965, n. 73) anche nei giudizi incidentali di legittimità costituzionale, ma a condizione che si tratti di norme che si presentino come pregiudiziali e strumentali rispetto alla definizione della questione principale.
Tutto ciò non ricorre nell’attuale situazione, nella quale i nuovi profili di legittimità prospettati dalla difesa Cordero vengono posti in relazione alla stessa norma sottoposta al controllo della Corte (cioé l’art. 38 del Concordato) e rappresentano solo una inammissibile estensione dell’oggetto del giudizio, già deferito, nei suoi limiti, alla Corte dal Consiglio di Stato.
4. – Superate queste eccezioni ed al fine di precisare i dati posti a base delle proposte questioni, la Corte ritiene di premettere un cenno sulla configurazione dell’Università Cattolica del Sacro Cuore.
L’Università, già canonicamente eretta con decreto della Congregazione dei Seminari e delle Università degli studi, é stata “istituita” dal r.d. 2 ottobre 1924, n. 1661, con riferimento agli artt. 1 e 99 del r.d. 30 settembre 1923, n. 2102, sull’ordinamento dell’istruzione superiore, ed al r.d. 6 aprile 1924, n. 674, contenente il regolamento generale universitario: cioé, é stata “istituita” come Università “libera” rientrante nella previsione e negli schemi di detto ordinamento, con lo scopo di impartire istruzione superiore, complementarmente a quella delle Università di Stato e col potere di rilasciare titoli finali di studio aventi valore legale.
Nello schema generale figurano il riconoscimento di personalità giuridica, l’autonomia amministrativa, didattica e disciplinare, sotto la vigilanza dello Stato (art. 1, terzo comma, del citato r.d. 2102 del 1923, testualmente ripetuto nell’art. 1 del successivo testo unico delle leggi sull’istruzione superiore di cui al r.d. 31 agosto 1933, n. 1592).
Con il r.d. n. 1661 del 1924, alla “istituzione” della Università libera in esame, si é aggiunta l’approvazione del relativo Statuto, in cui (art. 1) si legge che “scopo di essa é di contribuire allo svolgimento degli studi e di preparare i giovani alle ricerche scientifiche, agli uffici pubblici ed alle professioni liberali, con una istruzione, adeguata ad una educazione morale, informata ai principi del cattolicesimo”.
Tale Statuto, rimanendo inalterato nelle sue linee, é poi stato trasfuso nel successivo r.d. n. 1163 del 1939 nel quale, confermato il resto, figura inserita nell’art. 22 la formulazione testuale dell’art. 38 del Concordato.
Una ulteriore precisazione si ha riguardo all’onere delle spese per lo stipendio dei professori, che é posto a carico del bilancio delle singole Università libere anziché a carico del bilancio dello Stato (art. 100, secondo comma, r.d. n. 2102 del 1923 e art. 100, terzo comma, t.u. del 1933): salvo, da parte dello Stato, la concessione di un generico contributo facoltativo, come per tutte le università libere, secondo l’articolo 14 della legge 18 dicembre 1951, n. 1551).
5. – Si deduce nell’ordinanza, riguardo alla denunciata violazione dell’art. 7 Cost. che, essendo lo Stato e la Chiesa cattolica, nel rispettivo ordine, indipendenti e sovrani, la subordinazione al placet dell’Autorità ecclesiastica in una materia (l’insegnamento) pertinente in esclusiva all’ordine od ordinamento dello Stato, ne vulnererebbe la sovranità.
La questione non é fondata.
Va considerato che i requisiti della indipendenza e della sovranità, riconosciuti nell’art. 7 sia allo Stato che alla Chiesa, riflettono il carattere originario dei due ordinamenti. Ma la separazione e la reciproca indipendenza tra i due ordinamenti non escludono che un regolamento dei loro rapporti sia sottoponibile a disciplina pattizia, alla quale legittimamente può risalire la rilevanza di atti promananti da una delle parti, purché questi non siano tali da porre in essere nei confronti dello Stato italiano situazioni giuridiche incompatibili con i principi supremi del suo ordinamento costituzionale, ai quali le norme pattizie non possono essere contrarie (sent. n. 30 del 1971).
Nella specie, dunque, si tratta di accertare se nell’art. 38 del Concordato si ravvisino quelle violazioni degli artt. 33, 19 e 3 della Costituzione che sono state denunziate.
6. – Viene per primo in considerazione l’art. 33 della Costituzione, che detta i principi e le regole fondamentali che disciplinano l’insegnamento.
É da rilevare, anzitutto, che, in base all’art. 33, lo Stato ha, bensì, l’obbligo di provvedere alla pubblica istruzione, dettando le norme relative ed apprestando i mezzi necessari (apertura di scuole di ogni ordine e grado, ecc.) ma non ha l’esclusività dell’insegnamento. Ché, anzi, contrariamente a quanto asserito nell’ordinanza di rinvio, é lo stesso art. 33 a porre il principio del pluralismo scolastico, che é conforme, d’altronde, a quello fondamentale, di cui al primo comma, della libertà dell’arte e della scienza.
Non v’é dubbio che la libertà della scuola si estende a comprendere le università, che sono previste nel contesto del medesimo art. 33; e sarebbe, d’altronde, illogico che le garanzie di libertà per la scuola in genere non fossero applicabili anche alle università e agli istituti di istruzione superiore.
Accertato che non contrasta con l’art. 33 la creazione di università libere, che possono essere confessionali o comunque ideologicamente caratterizzate, ne deriva necessariamente che la libertà di insegnamento da parte dei singoli docenti – libertà pienamente garantita nelle università statali – incontra nel particolare ordinamento di siffatte università, limiti necessari a realizzarne le finalità.
Né vale la dedotta obiezione che l’Università Cattolica, risultando inquadrata, a seguito dell’intervenuto riconoscimento, tra le università dette “libere” sarebbe da considerarsi, ad ogni effetto, come persona giuridica di diritto pubblico. Da questa considerazione e dalla natura del predetto inquadramento, non consegue che dell’Università Cattolica siano state attenuate la originaria destinazione finalistica e la connessa caratterizzazione confessionale, riaffermata, anzi, come si é ricordato, nel relativo Statuto debitamente approvato. Invero, l’art. 33 garantisce “piena libertà” a tutte “le scuole non statali che chiedono la parità”: “non statale” appunto, come é ritenuto anche nella più recente giurisprudenza del Consiglio di Stato, deve considerarsi l’Università Cattolica del Sacro Cuore.
Da quanto precede risulta di tutta evidenza che, negandosi ad una libera università ideologicamente qualificata il potere di scegliere i suoi docenti in base ad una valutazione della loro personalità e negandosi alla stessa il potere di recedere dal rapporto ove gli indirizzi religiosi o ideologici del docente siano divenuti contrastanti con quelli che caratterizzano la scuola, si mortificherebbe e si rinnegherebbe la libertà di questa, inconcepibile senza la titolarità di quei poteri. I quali, giova aggiungere, costituiscono certo una indiretta limitazione della libertà del docente ma non ne costituiscono violazione, perché libero é il docente di aderire, con il consenso alla chiamata, alle particolari finalità della scuola; libero é egli di recedere, a sua scelta, dal rapporto con essa quando tali finalità più non condivida.
7. – Le stesse ragioni valgono a dimostrare l’infondatezza della addotta violazione dell’art. 19 della Costituzione. La legittima esistenza di libere università, caratterizzate dalla finalità di diffondere un credo religioso, é senza dubbio uno strumento di libertà: ed anche qui giova ribadire che, ove l’ordinamento imponesse ad una siffatta università di avvalersi e di continuare ad avvalersi dell’opera di docenti non ispirati dallo stesso credo, tale disciplina fatalmente si risolverebbe nella violazione della fondamentale libertà di religione di quanti hanno dato vita o concorrano alla vita della scuola confessionale. Nella specie – ma giova aggiungere che l’argomentazione ha validità più generale – la libertà dei cattolici sarebbe gravemente compromessa ove l’Università Cattolica non potesse recedere dal rapporto con un docente che più non ne condivida le fondamentali e caratterizzanti finalità. Invero, il docente che accetta di insegnare in una università confessionalmente o ideologicamente caratterizzata, lo fa per un atto di libero consenso, che implica l’adesione ai principi e alle finalità cui quella istituzione scolastica é informata.
8. – Si può perciò concludere che l’art. 38 del Concordato, in quanto non costituisce un privilegio dell’Università Cattolica, ma é specificazione di un principio immanente alla libertà della scuola ed alla libertà religiosa – e tale da valere per qualsiasi scuola e per qualsiasi religione o ideologia – non risulta contrastante con alcuna delle norme costituzionali invocate a raffronto.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 38 del Concordato fra l’Italia e la Santa Sede, reso esecutivo con legge 27 maggio 1929, n. 810, questione proposta, con ordinanza 26 novembre 1971 del Consiglio di Stato, in riferimento agli artt. 3, 7, 19, 33 della Costituzione.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 14 dicembre 1972.
Giuseppe CHIARELLI – Luigi OGGIONI
Depositata in cancelleria il 29 dicembre 1972.
Autore:
Corte Costituzionale
Dossier:
Libertà religiosa, Scuola e Religione, Italia, Organizzazioni di tendenza
Nazione:
Italia
Parole chiave:
Santa Sede, Insegnamento, Nulla osta, Università cattolica del Sacro Cuore, Docenti, Requisiti morali e religiosi
Natura:
Sentenza