Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

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Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Documenti • 27 Gennaio 2009

Sentenza 30 dicembre 2008, n.48350

Corte di Cassazione. Sezione V penale. Sentenza (ud. 18-11-2008) 30-12-2008, n. 48350: “Riti vudù e riduzione in schiavitù”.

(omissis)

La corte d’assise di Cagliari condannava con rito abbreviato alle pene di giustizia O.K., M.S., O.T. e J.K. per associazione delinquere, sfruttamento della prostituzione, introduzione illegale nel territorio dello Stato, riduzione e mantenimento in schiavitù; O.M. per il delitto di riciclaggio.

La corte d’assise di appello dichiarava assorbito il reato sub c) in quello rubricato al capo b) per O.K., M. e J., riconosceva le generiche equivalenti ai primi quattro imputati e rideterminava la pena;confermava nel resto.

I giudici di merito hanno accertato, mediante le indagini di p.g., le intercettazioni telefoniche e le deposizioni testimoniali, la costituzione di un’associazione finalizzata alla tratta di donne nigeriane, avviate alla prostituzione nel circondario di Cagliari. Le stesse, “comprate” presso le famiglie di estrema povertà, venivano assoggettate ed intimorite con riti vudu prima della partenza, ripetuti all’occorrenza in Italia.

O.M. provvedeva al trasferimento ed al reinvestimento del denaro ricavato dal meretricio, servendosi dell’agenzia Western Union, da lui gestita in Bergamo.

Ricorrono gli imputati; personalmente la O.K. ed il coniuge M.. Costoro lamentando il vizio di motivazione, unitamente alla violazione del canone probatorio sancito dall’art. 192 c.p.p., comma 2. Le difficoltà palesate dall’interprete designato rendono inattendibili le verbalizzazioni; illogica è la sentenza, laddove la corte di merito sminuisce o fraintende alcune deposizioni testimoniali. Analogamente è a dire per i riti vudu, negati dalla S., così per la riduzione in schiavitù, trattandosi di semplice sfruttamento della prostituzione. Il M. non era consapevole di quanto compiuto dalla moglie e si limitava a vendere prodotti vari alle giovani nigeriane.

Il difensore di O.T. contesta che dal riferimento fatto dall’imputata alle “sue ragazze” si possa evincere la condizione di schiavitù delle stesse. La presunta p.l. del delitto di cui all’art. 600 c.p. ha ripetutamente negato di essere stata sottoposta a riti vudu.

Non va taciuto, del resto, che il vudu non consta di riti magici, ma costituisce la religione ufficiale sin dal ’96, amministrata da una Chiesa organizzata, che provvede a somministrare il relativo insegnamento nelle scuole. Ne è stato provato il compimento dei riti, stante la negatoria della presunta vittima O.J..

Anche per J.K. si assume l’insussistenza degli elementi costitutivi del reato ex art. 600 c.p., così come di quello associativo. I contatti con i coimputati, infatti, sono occasionali ed avulsi da un vero programma criminoso. Nè è stato argomentato il dolo specifico. Alcuna costrizione è stata posta in essere nei confronti della O.J.. I riti vudu non sono frutto di magia nera, bensì manifestazione di una religione articolata in cerimonie regolarmente officiate.

Per O.M. si deduce violazione di legge e vizio di motivazione:

la corte di merito desume la prova della colpevolezza dalla sola intercettazione ambientale n. (OMISSIS) dalle dichiarazioni rese il 29/11/2005 e il 23/12/2005. L’imputato, che gestiva attività autorizzata dalle autorità, raccoglieva denaro in tutta Italia ed ignorava la provenienza illecita delle somme affidategli dalla O.K..

Del resto, è iverosimile che costei abbia ricevuto l’elevata somma di Euro 700,00 mila in un solo anno, come frutto del meretricio di tre nigeriane.

La corte di merito non ha dato riscontro alle doglianze inerenti il trasferimento di capitali in Nigeria, la entità della pena ed il diniego delle generiche.

I ricorsi sono inammissibili.

Generici sono i motivi consistenti nella ripetizione di censure già esposte in appello e disattese in quella sede. E ciò sia perchè il carattere autonomo di ogni impugnazione postula che essa rechi in sè tutti i requisiti voluti dalla legge per provocare e consentire il controllo devoluto al giudice superiore, sia perchè in tal caso i motivi non assolvono la funzione tipica di critica, ma si risolvono in una mera apparenza (sez. v, 27/01/2005, n. 11933, Giagnorio ed altro, e pluribus).

A prescindere dalla ripetitività dei motivi, risultanti in tal modo inficiati da mancanza di specificità ,va osservato che essi sono pure manifestamente infondati (come quelli riguardanti il travisamento della prova, l’inattendibilità delle p.o., il mancato compimento dei riti vudu ed il loro carattere non malefico, nè condizionante) e chiaramente versati in fatto, nella misura in cui i ricorrenti propongono una lettura alternativa del compendio di prova, confutando l’elaborazione fattane, con argomentate opzioni, dalla corte di merito.

A tutte le obiezioni ed ai rilievi critici questa ultima ha fornito diffuse e perspicue risposte, esenti da ogni vizio logico o giuridico.

Ineccepibile è il vaglio di attendibilità dalle dichiarazioni delle p.o., rese nel corso dell’incidente probatorio, ad onta dell’arduo contributo dell’interprete, che ha palesato indubbie difficoltà.

Assai dettagliato e scrupoloso appare pure il convincimento, ampiamente argomentato, circa la condizione di schiavitù delle giovani donne, suffragata da una cospicua serie di elementi indizianti, analiticamente enunciati.

Non diversamente è a dire dei riti vudu, talvolta malefici e stranianti, che terrorizzano la persona che ne è oggetto, soggiogandone irreversibilmente la volontà.

E’, questo, un dato di comune esperienza, acquisito al bagaglio culturale di ogni persona di media istruzione, che smentisce gli assunti difensivi, tesi a valorizzare esclusivamente (sia pure in maniera generica) i profili benevoli di alcune entità divine, opposte a quelle malefiche. Basterà qui rammentare che la forma tipica di esperienza religiosa vudu è la possessione, l’invasamento e che le cerimonie di iniziazione si accompagnano ai temibili riti di magia nera, come “l’invio dei morti” e la trasformazione dell’anima di un defunto in “morto vivente” (o zombi).

Chiara eco di tali riti rappresentano il “giuramento spirituale” prestato dalle giovani donne prima della pertenza per l’Italia ed il taglio dei peli pubici.

Quanto a O.M., l’allegata inconsapevolezza della illecita provenienza dei flussi di denaro della O.K. è recisamente smentita dalla corte di merito, sulla scorta delle solari prove di segno contrario, debitamente pregiate ed esposte dal giudice di appello. Manifestamente infondate sono le doglianze concernenti la determinazione sanzionatoria e il diniego delle generiche, a fronte di un’esaustiva e corretta motivazione che riscontra entrambi i profili della statuizione afferente la pena.

Per il resto, va ribadito che il vizio motivazionale dedotto dai ricorrenti veicola in maniera surrettizia la critica alle scelte probatorie rettamente compiute dai giudici di merito, sulla scorta delle risultanze emerse. La censura esorbita dai limiti della critica al governo dei canoni di valutazione della prova, per attingere direttamente i contenuti fattuali della decisione, traducendosi nella prospettazione dal fatto storico alternativa a quella fatta argomentatamente propria dai giudici di merito e nell’offerta di una lettura diversa (a sè favorevole) del compendio di prova.

Orbene, è pacifico che non costituisce vizio, comportante controllo di legittimità, la configurazione di una diversa valutazione delle emergenze processuali (S.U. 31/05/2000, Jakani; S.U. 30/04/1997, n. 6402, Dessimone;S.U. 29/01/1996, Clarke).

I ricorsi vanno dichiarati tutti inammissibili.

I ricorrenti vanno condannati alle spese processuali in solido, nonchè al versamento della somma di Euro 1.500,00 ciascuno alla cassa delle ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi. Condanna i ricorrenti al pagamento in solido delle spese del procedimento, nonchè della somma di Euro 1.500,00 ciascuno alla cassa delle ammende.

Così deciso in Roma, il 18 novembre 2008.
Depositato in Cancelleria il 30 dicembre 2008