Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

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Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Documenti • 23 Agosto 2008

Sentenza 12 maggio 2008, n.11802

Corte di Cassazione. Sezione Prima Civile. Sentenza 12 maggio 2008, n. 11802: “Matrimonio concordatario e delibazione della sentenza dichiarativa della nullità”.

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE – SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta- dagli ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. Rosario DE MUSIS – Presidente –
Dott. Francesco Maria FIORETTI – Rel. Consigliere –
Dott. Carlo PICCININNI – Consigliere –
Dott. Sergio DEL CORE – Consigliere –
Dott. Marina TAVASSI – Consigliere –

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

[…] elettivamente domiciliata in
ROMA VIA MEDAGLIE D’ORO 157, presso l’avvocato ANTONIO PELLEGRINI, che la rappresenta e difende unitamente all’ avvocato VINCENZO ALIBRANDI, giusta procura a margine del ricorso;
– ricorrente –

contro

[…] PROCURATORE GENERALE PRESSO LA CORTE DI APPELLO DI FIRENZE, PROCURATORE GENERALE PRESSO LA
CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE;
– intimati –

avverso la sentenza n. 1409/03 della Corte d’Appello di FIRENZE, depositata il 01/08/03;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 02/04/2008 dal Consigliere Dott. Francesco Maria FIORETTI;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Pierfelice PRATIS che ha concluso per il rigetto del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione, notificato il 22 e il 25 ottobre 1993 […] conveniva davanti alla Corte d’Appello di Firenze la moglie […] chiedendo la delibazione della sentenza ecclesiastica, dichiarata esecutiva con decreto del 10 luglio 1993 del Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica, con la quale era stata dichiarata la nullità del matrimonio contratto il 2 giugno 1973.

Costituendosi la convenuta chiedeva il rigetto della domanda, deducendo che ostava alla delibazione, ai sensi dell’art. 797, n. 6, c.p.c, la pendenza di un giudizio avente ad oggetto l’accertamento della validità del matrimonio, da essa convenuta instaurato davanti al Tribunale di Pisa con atto di citazione del 26 marzo 1992. Con sentenza del 9 novembre 1995 la Corte d’appello adita dichiarava efficace in Italia la sentenza ecclesiastica, osservando che il conflitto tra la giurisdizione ecclesiastica e la giurisdizione statale doveva essere risolto in base al criterio della prevenzione, che nel caso di specie giocava a favore della giurisdizione ecclesiastica, perché il giudizio davanti al giudice canonico era iniziato il 25 settembre 1989, mentre la causa davanti al giudice italiano era iniziata il 26 marzo 1992.
Osservava, altresì, che doveva escludersi la litispendenza fra il giudizio di delibazione e quello pendente davanti al Tribunale di Pisa, perché avevano oggetto diverso. Avverso detta sentenza la […] proponeva ricorso per cassazione sulla base di due motivi.

Con il primo motivo, denunciando la violazione della legge 25 marzo 1985, n. 121, in relazione all’art. 797, n. 6, c.p.c, la ricorrente – dovendosi ritenere superata, con l’Accordo fra Stato e Chiesa del 18 febbraio 1984, la riserva di giurisdizione ecclesiastica per le cause di nullità dei matrimoni concordatari – sosteneva la possibilità del cittadino di agire dinanzi al giudice italiano per fare accertare la validità o far valere la nullità del matrimonio celebrato dinanzi al ministro di culto cattolico. Deduceva, altresì, che il criterio della prevenzione, in base al quale doveva essere risolto l’eventuale conflitto tra la giurisdizione ecclesiastica e quella statale, non doveva essere inteso nel senso indicato dall’art. 39 c.p.c, riguardante cause pendenti dinanzi a giudici italiani, ma nel senso previsto dall’art. 797, n. 6, c.p.c, espressamente richiamato dalla legge n. 121/85, che non consentiva di attribuire efficacia in Italia alle sentenze ecclesiastiche passate in giudicato dopo l’instaurazione davanti al giudice italiano di un giudizio avente lo stesso oggetto. Nella specie la sentenza ecclesiastica era divenuta esecutiva il 20 maggio 1993 e, quindi, dopo l’inizio del giudizio civile davanti al Tribunale di Pisa, introdotto con citazione del 28 marzo 1992.

Con il secondo motivo, denunciando l’omessa o, comunque, insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia, la ricorrente censurava la sentenza impugnata per avere apoditticamente escluso, per la diversità di oggetto dei due giudizi, la litispendenza tra il giudizio di delibazione della sentenza ecclesiastica ed il giudizio pendente dinanzi al Tribunale di Pisa per l’accertamento della validità del matrimonio tra le parti, senza spiegare le ragioni in base alle quali era pervenuta a tali conclusioni.

In realtà, i motivi posti a base della domanda ( nella sostanza di accertamento negativo ) proposta dinanzi al Tribunale di Pisa, sarebbero stati assolutamente identici, anche se speculari, ai motivi di impugnazione del matrimonio fatti valere dal […] davanti al giudice ecclesiastico, avendo la ricorrente chiesto al giudice italiano di accertare la validità del matrimonio, deducendo che il […] non aveva commesso alcun errore di persona, che essa stessa prestato un valido consenso e che non aveva escluso la possibilità di avere figli.

La Corte di Cassazione, con sentenza 14 luglio-16 novembre 1999, accoglieva il ricorso della […] cassava la sentenza impugnata e rinviava la causa ad altra sezione della Corte d’Appello di Firenze.
A sostegno di tale decisione affermava che a seguito dell’Accordo fra la Repubblica Italiana e la Santa Sede del 18 febbraio 1984 di revisione del Concordato lateranense ( reso esecutivo con legge 25 marzo 1985, n. 121), era venuta meno la riserva di giurisdizione ecclesiastica sulle cause di nullità dei matrimoni concordatari; che conseguentemente i rapporti tra giurisdizione italiana e giurisdizione ecclesiastica dovevano trovare la loro regola nei numeri 5 e 6 dell’art. 797 c.p.c.; che, ai sensi del citato art. 797, n. 6, da applicarsi nella fattispecie, il concorso delle due giurisdizioni doveva essere regolato in base al criterio della prevenzione, in virtù del quale la pendenza di un giudizio civile per il medesimo oggetto e tra le stesse parti impedisce la delibazione della sentenza ecclesiastica; che l’applicazione di detta disposizione presupponeva l’accertamento della identità dell’oggetto e dei soggetti dei due giudizi; che la […] aveva proposto davanti al Tribunale di Pisa azione di accertamento negativo della esistenza di vizi del matrimonio; che era pacifico tra le parti che i vizi, la cui inesistenza doveva accertare il giudice nazionale, erano gli stessi dedotti dal […] davanti al giudice ecclesiastico e da quel giudice accertati.

In questa situazione appariva apodittica l’affermazione della corte Territoriale che l’oggetto del giudizio di delibazione era diverso dall’oggetto del giudizio pendente davanti al Tribunale di Pisa, non essendo stata indicata alcuna ragione sulla quale fosse basato il predetto giudizio di diversità.

La necessità della indicazione degli argomenti a sostegno delle conclusioni raggiunte derivava dal rilievo che, ai fini dell’identità oggettiva del giudizio doveva tenersi conto non tanto del cosiddetto petitum formale ( o immediato ), inteso come provvedimento giurisdizionale richiesto, quanto del cosiddetto petitum sostanziale ( o mediato ), inteso come bene della vita di cui si chiede il riconoscimento. Utile strumento della relativa indagine, riservata al giudice di merito, era la identificazione dell’oggetto del giudicato che sì sarebbe formato in caso di accoglimento della domanda. Quindi, nella specie, la Corte territoriale avrebbe dovuto valutare se il giudicato, formatosi in un giudizio, fosse idoneo ad esplicare efficacia preclusiva nell’altro ed avrebbe dovuto indicare le ragioni sulle quali si basava la decisione.

Ancor più delicato e, quindi, abbisognevole di approfondita disamina ed accurata argomentazione, doveva essere l’accertamento dell’identità della causa petendi, in relazione alla dibattuta questione se possa chiedersi al giudice nazionale l’accertamento della nullità ( o, come nella specie, della validità) del matrimonio concordatario sulla base del diritto nazionale ovvero se tale giudice debba applicare le norme canoniche ovvero, infine, una disciplina risultante dagli elementi comuni all’uno e all’altro ordinamento, non essendovi, comunque, ragione per negare l’identità del giudizio di delibazione e del giudizio di validità o invalidità del matrimonio pendente davanti al giudice italiano quando tale accertamento sia fondato sulle norme canonistiche. La […] riassumeva il giudizio dinanzi alla Corte d’Appello di Firenze, chiedendo “respingere le pretese di […] e dichiarare la validità del
matrimonio contratto il 2 giugno 1973……. Fatti salvi gli effetti della sentenza 24
aprile – 14 maggio 1996 del Tribunale di Pistoia dichiarativa della cessazione degli
effetti civili del matrimonio medesimo “.

Il […], costituitosi in giudizio, si rimetteva alle decisioni della corte adita.

Con sentenza dell’I 1.2-1.8.2003, la Corte d’Appello di Firenze dichiarava l’efficacia in Italia della sentenza del Tribunale Ecclesiastico Regionale Etrusco, resa in data 22 ottobre 1991, dichiarativa di nullità del matrimonio celebrato tra […], nato a Bientina il […] e […], nata a Pistoia il […], trascritto nei registri degli atti di matrimonio del Comune di Pistoia anno 1973, p. II, serie A, n. 187. A sostegno di tale decisione, detta corte ribadiva la diversità dell’oggetto dei due giudizi (l’ecclesiastico ed il civile), osservando che la […] non chiese al Tribunale di Pisa di affermare la validità del proprio matrimonio sulla base di un accertamento fondato sulle norme canonistiche, ma piuttosto, relegato al giudice ecclesiastico l’accertamento delle cause di nullità nell’ambito dell’ordinamento canonico, chiese a detto tribunale solo un accertamento sugli aspetti civilistici del matrimonio, con conseguenze ovviamente nel solo ambito civile da effettuarsi in base all’ordinamento italiano.
Avverso tale sentenza la […] ha proposto ricorso per cassazione sulla base dì un unico motivo illustrato con memoria.
L’intimato […] non si è difeso in questa fase del giudizio.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Assume la ricorrente che la Corte d’Appello avrebbe emanato una decisione radicalmente nulla per violazione della norma di cui all’art. 394 c.p.c, avendo ignorato ed anzi confutato i principi affermati dalla Corte di Cassazione, con la sentenza di cui in narrativa.
Avendo la Corte di Cassazione ritenuta la identità di oggetto tra giudizio civile di accertamento della validità del matrimonio tra la […] ed il […] giudizio ecclesiastico dichiarativo della sua nullità ed avendo ritenuto che la pendenza del giudizio civile, proposto prima della dichiarazione di esecutività della sentenza ecclesiastica, era di ostacolo, ai sensi dell’art. 797, n. 6, c.p.c. alla delibazione di detta sentenza, la Corte d’Appello non avrebbe potuto, senza andare al di là dei poteri conferitigli con la decisione di rinvio, riesaminare tali questioni né sotto il profilo del merito né sotto quello della legittimità, ma avrebbe dovuto limitare esclusivamente la sua decisione alla determinazione delle spese dell’intero giudizio.
Comunque la corte di appello avrebbe errato nell’affermare che la causa petendi dei due procedimenti ( il civile e l’ecclesiastico ) è diversa, sul rilievo che la […], nel procedimento civile, non avrebbe richiesto l’accertamento della validità del matrimonio sulla base delle norme canonistiche, ma di quelle civilistiche.
Tale ragionamento sarebbe errato sia perché le due controversie sarebbero state proposte al fine di accertare la validità o la nullità del matrimonio – e, quindi, avrebbero sostanzialmente il medesimo oggetto – sia perché al giudice italiano non potrebbe che chiedersi una pronunzia sulla rispondenza di un atto alla normativa italiana.
La […], nel chiedere una pronuncia dichiarativa della piena validità del matrimonio, avrebbe contestato ogni contraria pretesa avversaria.
Parimenti errata sarebbe la sentenza impugnata nella parte in cui afferma che l’eventuale rigetto della domanda del […] non avrebbe in sostanza alcun effetto pregiudizievole, se non quello di postergare la delibazione all’esito di un nuovo analogo giudizio di riconoscimento, sussistendo attualmente il presupposto di cui all’art. 64, lett.f) della L. 218/95.
Tale affermazione sarebbe errata perché l’annullamento della sentenza di delibazione
emessa dalla Corte di Appello di Firenze renderebbe improponibile ogni ulteriore
istanza del […].

Il ricorso è infondato.

Assume la ricorrente che la sentenza di rinvio della Corte di Cassazione avrebbe riconosciuto la identità del giudizio di nullità del matrimonio, per cui è causa, proposto dal […] dinanzi al giudice ecclesiastico ed il giudizio diretto all’accertamento della sua validità proposto dalla […] dinanzi al giudice civile, per cui il giudice di rinvio avrebbe dovuto limitare la propria decisione esclusivamente alla determinazione delle spese dell’intero giudizio.

Tale assunto è del tutto errato, avendo la Corte di Cassazione, come si evince chiaramente dalla lettura della sentenza n, 12671 del 1999, cassato la sentenza della Corte d’Appello di delibazione della sentenza del giudice ecclesiastico per non avere detto giudice indicato quali fossero le ragioni, sulle quali basava il giudizio di diversità delle due cause sopraindicate, essendo pacifico tra le parti che i vizi, la cui inesistenza doveva accertare il giudice nazionale, erano gli stessi dedotti dal […] dinanzi al giudice ecclesiastico ( e da questo accertati ) per ottenere la declaratoria di nullità del matrimonio.

La Corte di Cassazione, affermata la mancanza di ragioni giustificatrici della decisione del giudice a quo, ha, quindi, rinviato la causa alla Corte d’Appello, indicando i criteri cui avrebbe dovuto attenersi per accertare se vi fosse identità tra i due giudizi in questione, affermando che detto giudice, nel procedere a tale accertamento, avrebbe dovuto tener conto “non tanto del cosiddetto petitum formale (o immediato), quanto del cosiddetto petitum sostanziale ( o mediato ), come bene della vita di cui si chiede il riconoscimento” e che “utile strumento dell’indagine, che è riservata al giudice di merito, è l’identificazione dell’oggetto del giudicato che si andrebbe a formare, in caso di accoglimento della domanda e, quindi, nella specie, la Corte territoriale avrebbe dovuto valutare se il giudicato che si sarebbe formato in un giudizio, era idoneo ad esplicare efficacia preclusiva nell’altro, e avrebbe dovuto indicare le ragioni sulle quali si basava il suo giudizio. “.

Per quanto riguarda la causa pretendi, la Corte di Cassazione ha affermato che “ancora più delicata, e quindi abbisognevole di approfondita disamina e accurata argomentazione, doveva essere l’accertamento” della identità ” in relazione alla dibattuta questione se possa chiedersi al giudice nazionale l’accertamento della nullità ( o, come nella specie, della validità) del matrimonio concordatario sulla base del diritto nazionale ovvero se tale giudice debba applicare le norme canoniche ovvero, infine, una disciplina risultante dagli elementi comuni all ‘uno e all ‘altro ordinamento “. Ciò perché, se è vero che in una precedente occasione (sent. N. 3314/95) è stata negata l’identità del giudizio di delibazione di sentenza ecclesiastica di nullità del matrimonio concordatario e del giudizio davanti al giudice italiano avente ad oggetto l’accertamento della validità dello stesso matrimonio è vero altresì che in quella fattispecie era stato richiesto il riconoscimento di conformità del matrimonio al diritto italiano, mentre, come è stato osservato in dottrina, quando la domanda di accertamento della validità o invalidità del matrimonio sia fondata sulle norme canonistiche, non v’è ragione di negare l’identità di tale giudizio rispetto a quello di delibazione. In concreto la corte territoriale doveva quindi accertare quale fosse la disciplina invocata davanti al Tribunale di Pisa. “.

Il giudice di rinvio ha escluso la identità del giudizio definito dal tribunale ecclesiastico e di quello promosso dalla […] dinanzi al Tribunale di Pisa, nel quale richiese affermarsi l’insussistenza degli specifici presupposti di nullità del matrimonio dedotti dal […] nel giudizio ecclesiastico ( errore di persona, invalidità del consenso,esclusione della prole ), affermando che diversa è la causa petendi dei due giudizi, in quanto la […] non richiese affermarsi la validità del proprio matrimonio sulla base di un accertamento fondato sulle norme canonistiche, ma “relegato al giudice ecclesiastico l’accertamento delle cause di nullità del matrimonio nell ‘ambito dell’ordinamento canonico, richiese al Tribunale di Pisa solo un accertamento sugli aspetti civili del matrimonio, con conseguenze ovviamente nel solo ambito civile, da effettuarsi sulla base dell’ordinamento italiano “.
Ha affermato, pertanto, facendo applicazione dei principi di diritto enunciati dalla Suprema Corte e soprattutto tenendo conto del particolare rilievo che assume, in casi quale quello di specie, il criterio di identificazione costituito dalla causa petendi. che non può riscontrarsi identità di oggetto tra i due giudizi ( l’ecclesiastico e il civile ), in quanto in quest’ultimo non venne richiesto l’accertamento della validità sulla base delle norme canonistiche, ma piuttosto alla stregua del solo ordinamento civile statuale. Sulla base di tale motivazione ha escluso la sussistenza della causa impeditiva del riconoscimento della sentenza straniera, di cui all’art. 797 n. 6 c.p.c., il quale richiede tra le condizioni per la dichiarazione di efficacia della sentenza straniera che non sia pendente dinanzi ad un giudice italiano un giudizio per il medesimo oggetto e tra le stesse parti, istituito prima del passaggio in giudicato della sentenza straniera. La ricorrente censura tale affermazione, assumendo che il giudice a quo, per risolvere la questione della identità o meno dei due giudizi, avrebbe dovuto fare ricorso al principio del petitum sostanziale, cosa che invece non avrebbe fatto.
Tale censura non può essere condivisa, avendo il giudice a quo fatto corretta applicazione dei principi enunciati dalla Suprema Corte e soprattutto della indicazione contenuta nella parte conclusiva della sentenza, in cui si dice che ” In concreto la corte territoriale doveva……..accertare quale fosse la disciplina invocata davanti al Tribunale di Pisa., implicitamente riconoscendo che la invocazione dinanzi al tribunale civile della disciplina civilistica di cause di nullità ( quali quelle dedotte nel caso di specie ) porta anche ad escludere la identità del petìtum, in considerazione delle specificità e diversità dell’istituto del matrimonio ( atto ) come configurato nei due ordinamenti giuridici ( il canonico e il civile ), riconducibili alla concezione del matrimonio quale sacramento, propria del diritto canonico, ed alla concezione negoziale, propria del diritto civile.

Per quanto precede il ricorso deve essere respinto senza alcuna pronuncia sulle spese, non essendosi l’intimato difeso in questa fase del giudizio.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma il 2 aprile 2008.

Il Consigliere estensore

Il Presidente