Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

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Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Documenti • 26 Aprile 2008

Sentenza 04 novembre 1996, n.9576

Corte di Cassazione, Sez. I, sentenza 4 novembre 1996, n. 9576

Svolgimento del processo

Con sentenza 31 marzo 1992 il Tribunale per i minorenni di Milano respingeva le opposizioni proposte dai genitori M.A. e D.A. vari, e degli zii, F.B.Y. e M.S., avverso il decreto 23 luglio 1991, dichiarativo dello stato di adottabilità delle minori A.M. e A.A., nate a Milano rispettivamente il 4 agosto 1983 e il 22 novembre 1985.

Avverso tale sentenza proponevano appello sia i genitori sia gli zii delle minori contestando la sussistenza dello stato di abbandono, denunciando la violazione della Convenzione internazionale dei diritti del bambino, adottate dall’ONU il 20 novembre 1989, negando l’inesistenza di rapporti significativi delle bambine con i parenti della madre.

Sentite le minori, la Corte d’appello, con sentenza 28 gennaio 1994, rigettava il gravame.

A sostegno della decisione la Corte osservava:

– che nella specie sussisteva sia la giurisdizione italiana, sia l’applicabilità della legge italiana ai sensi dell’art. 37 della l. n. 184 del 1983;
– che, prima dell’apertura della procedura di adottabilità, non era stata avanzata alcuna richiesta di rimpatrio delle minori dalle autorità amministrative tunisine, né risultava l’adozione di alcun provvedimento di tutela delle minori da parte del giudice tunisino;
– che l’abbandono era sancito, nei fatti, dal distacco e dal rifiuto delle minori per la famiglia naturale, manifestati nonostante lo sforzo volto a consentire il reinserimento delle minori stesse nella famiglia naturale;
– che a causa del fortissimo trauma subito dalle minori – a seguito del defenestramento per mano della madre ed in conseguenza della morte del fratellino e della paralisi della madre agli arti inferiori – era impossibile fare evolvere la situazione a favore del reinserimento nella famiglia naturale;
– che l’immediato ritorno del padre (in Tunisia al momento della tragedia), l’arrivo in Italia di vari parenti, la prestazione di assistenza ad opera dei servizi sociali, della comunità tunisina e del comune di Milano non escludevano l’incapacità dei genitori ad assumere atteggiamenti rassicuranti;
– che nelle bambine si erano radicalizzate la sfiducia e l’angoscia, originate dalla raccapricciante condotta della madre, nonché il deciso rifiuto nei confronti dei genitori e degli zii;
– che l’abbandono non era ricollegabile a cause di forza maggiore di carattere transitorio, mentre era impraticabile l’affido delle bambine agli zii opponenti per l’insussistenza di attuali rapporti significativi e per il rifiuto delle bambine stesse, che non sanno esprimersi nella madrelingua;
– che nel corso dell’audizione dei genitori era emerso che gli stessi non si rendevano conto dell’effettiva portata del trauma subito dalle figlie;
– che l’audizione e l’osservazione delle minori avevano evidenziato e confermato l’atteggiamento di distacco e di rifiuto delle bambine per la famiglia naturale;
– che M. viveva il padre come deviante, irresponsabile, minaccioso e punitivo, e la madre come traditrice, responsabile della morte del fratellino e portatrice di danno, mentre ricordava della famiglia estesa di Tunisia solo aspetti superficiali;
– che A. ricordava poco del padre e della madre e nulla della famiglia estesa di Tunisia, mentre inorridiva al solo pensiero della madre;
– che entrambe le minori dovevano essere aiutate ad elaborare il dramma di cui erano state vittime al di fuori di ogni interferenza con le figure parentali, vissute, attualmente, con angoscia e rifiutate;
– che il trattamento riservato alle minori non era diverso da quello di minori italiani in stato di abbandono;
– che la convenzione dell’ONU sui diritti del fanciullo non configurava l’adottabilità in Italia di M. e A. come lesiva dei loro diritti di aiuto e protezione.

Avverso questa sentenza la sola A.D. ha proposto ricorso per cassazione articolato su tre motivi.

Nel corso della precedente udienza è stata disposta l’integrazione del contraddittorio nei confronti del padre e degli zii delle minori, parti del precedente giudizio, ed a tale ordinanza è stata data tempestiva attuazione.

Motivi della decisione

1. – Con il primo motivo di ricorso si deduce violazione e falsa applicazione di legge, in relazione agli art. 8 e 15 della l. n. 184 del 1983, per insussistenza dello stato di abbandono nei confronti delle minori, né da parte dei genitori né da parte della famiglia espansa.

Il motivo di ricorso è infondato.

Perché si realizzi lo stato di abbandono che giustifica la dichiarazione dello stato di adottabilità di un minore non è necessario che da parte dei genitori vi sia una precisa volontà di abbandonare il figlio, ma è sufficiente che i genitori tengano un comportamento commissivo, ma soprattutto omissivo inconciliabile con l’esercizio del diritto-dovere previsto dall’art. 147 c.c. e, prima ancora, dall’art. 30 cost. (Cass. 8 novembre 1984 n. 5650).
Ne consegue che anche le anomalie della personalità dei genitori possono rilevare ai fini dell’accertamento dello stato di abbandono, in quanto si traducano in incapacità ad allevare ed educare la prole sempre che dette anomalie abbiano a tal punto coinvolto i minori, da produrre danni irreversibili al loro sviluppo ed al loro equilibrio psichico (Cass. 1 giugno 1994 n. 5325).
Tale situazione ricorre ogniqualvolta si verifichi una obiettiva e non transitoria carenza di quel minimo di cure materiali, calore affettivo e aiuto psicologico, necessario per assicurare al minore un ambiente confacente ed idoneo a consentirgli lo sviluppo e la realizzazione della personalità (Cass. 5 gennaio 1984 n. 19).
L’indagine sulla sussistenza di tale stato va condotta a prescindere dalla ricorrenza o meno di una colpa dei genitori ed alla stregua di una valutazione concreta e non astratta che tenga conto della situazione sociale, affettiva e psichica del particolare soggetto, così da potere istituire un confronto fra ciò che appare congruo e ciò che in effetti il minore riceve come patrimonio affettivo e materiale (Cass. 10 ottobre 1983 n. 5877).
A tali principi si è ispirata la decisione impugnata e gli indici individuati dalla Corte d’appello di Milano (rifiuto e distacco delle minori per la famiglia naturale, incapacità dei genitori di rendersi conto dell’effettiva portata del trauma subito dalle figlie, impossibilità del superamento di tale atteggiamento nei confronti dei genitori) costituiscono validi elementi per ritenere la sussistenza dello stato di abbandono e per la reiezione della opposizione allo stato di adottabilità.
Né alcuna censura è utilmente proponibile nei confronti della decisione impugnata per avere escluso l’esistenza di rapporti significativi con i parenti entro il quarto grado, dal momento che anche a proposito di questi ultimi, a prescindere dalla loro indubbia disponibilità a prendersi cura delle minori, il giudice del merito ha ravvisato ragioni sufficienti a ritenere l’insussistenza di attuali rapporti significativi con gli stessi (rifiuto delle minori, incapacità delle stesse di esprimersi nella madre lingua, etc.) ed il relativo accertamento, in quanto logicamente e giuridicamente motivato, è incensurabile in questa sede..
Ciò è sufficiente per il rigetto del motivo di ricorso.

2. – Con il secondo motivo si deduce violazione e falsa applicazione di legge in relazione all’art. 37 della l. n. 184 del 1983, per avere la Corte d’appello ritenuta legittima l’applicazione della legge italiana, malgrado la sollecitazione evidenziata dalla lettera dell’11 febbraio 1992 del Console di Tunisia diretta ad ottenere il rimpatrio delle minori.
Il motivo di ricorso è infondato sulla base delle considerazioni che seguono.
L’art. 37 della l. n. 184 del 1983, ai sensi del quale, nei confronti del minore straniero in stato di abbandono nel territorio dello Stato é operante la legge italiana in materia di adozione, affidamento e relativi provvedimenti d’urgenza, comporta non soltanto, sul piano processuale, la giurisdizione del giudice italiano, a prescindere dagli elementi di collegamento previsti dall’art. 4 c.p.c., ma anche, sul piano sostanziale, l’assoggettamento del rapporto alla normativa interna, in deroga alle comuni regole del diritto internazionale privato (Cass. 19 gennaio 1988 n. 392; Cass. 3 febbraio 1992 n. 1128).
Qualora, poi, il tribunale per i minorenni dia inizio alla procedura per la dichiarazione dello stato di adottabilità nei confronti di un minore straniero in relazione allo stato di abbandono in cui lo stesso si trovi al momento dell’intervento, così come non può essere esclusa la giurisdizione italiana per la circostanza che le autorità del loro paese abbiano, successivamente a tale momento, chiesto il rimpatrio del minore stesso (Cass. 28 marzo 1985 n. 2186), allo stesso modo non viene meno l’applicazione al rapporto della legge italiana, attesi gli stretti collegamenti fra giurisdizione e legge applicabile, in materia di adozione.
Nella specie, per stessa ammissione della parte ricorrente, l’intervento del console di Tunisia è avvenuto successivamente all’apertura del procedimento di adottabilità e, pertanto, esattamente la corte d’appello ha affermato l’applicabilità della legge italiana.

3. – Con il terzo motivo si deduce violazione e falsa applicazione di legge in relazione alla Convenzione internazionale dei diritti del bambino e della norme di diritto internazionale privato, per essere state le minori inserite in una famiglia cattolica, che le ha fatte battezzare, privandole di tutte le loro radici, in violazione dell’art. 20 della Convenzione – sui diritti del fanciullo, fatta a New York il 20 novembre 1989, ratificata e resa esecutiva con l. 27 maggio 1991 n. 176, per il quale la protezione sostitutiva del fanciullo – che è temporaneamente o definitivamente privato del suo ambiente familiare – deve concretizzarsi per mezzo di sistemazione in una famiglia, della kafalah di diritto islamico, dell’adozione o, in caso di necessità, del collocamento in un adeguato istituto per l’infanzia, con la precisazione che, nell’effettuare una selezione tra queste soluzioni, si terrà debitamente conto della necessità di una certa continuità nell’educazione del fanciullo, nonché della sua origine etnica, religiosa, culturale e linguistica.
Il motivo di ricorso è inammissibile: con lo stesso, infatti, non si censura la dichiarazione di adottabilità, ma il modo attraverso il quale è stato realizzato l’affidamento delle minori e cioé si propone una questione estranea alla materia del contendere.

4. – Il ricorso va, quindi, integralmente rigettato.
Nulla per le spese per non avere gli intimati svolto attività difensiva in questa sede;

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Nulla per le spese.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio della I Sezione civile della Corte di cassazione il 9 febbraio 1996.

DEPOSITATA IN CANCELLERIA IL 4 NOV. 1996.