Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

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Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Documenti • 15 Febbraio 2008

Sentenza 29 novembre 2007, n.24950

Corte di Cassazione. Sezione I Civile. Sentenza 29 novembre 2007, n. 24950: “Cessazione degli effetti civili del matrimonio concordatario”.

(omissis)

1. – Con sentenza depositata il 15 luglio 2004, il Tribunale di Roma, su ricorso di T.A., dichiarò la cessazione degli effetti civili del matrimonio concordatario contratto dalla T. con D.R., determinando in Euro 550,00 mensili l’importo dell’assegno divorzile dovuto dall’ex marito. Il Tribunale respinse l’eccezione di incompetenza territoriale sollevata dal convenuto nonchè l’istanza, dal medesimo proposta, di sospensione del processo in attesa della definizione del giudizio ecclesiastico di nullità del matrimonio; dichiarò inoltre l’improponibilità dell’azione di nullità del matrimonio proposta in via riconvenzionale dal D..

2. – La Corte d’appello di Roma, con sentenza resa pubblica in data 28 settembre 2005, ha respinto tanto il gravame principale del D. (con cui si riproponevano l’eccezione di incompetenza del Tribunale di Roma e l’istanza di sospensione del processo nonchè la domanda di nullità del matrimonio e si chiedeva termine per articolare prove in ordine alla situazione patrimoniale dell’ex moglie), quanto quello incidentale della T. (rivolto ad ottenere un aumento dell’assegno divorzile).

2.1. – Quanto all’eccezione di incompetenza del Tribunale di Roma, sollevata sul rilievo che il D., residente a (OMISSIS), a (OMISSIS) non aveva alcun domicilio, ivi recandosi soltanto per ragioni di lavoro, la Corte territoriale ha osservato che l’atto introduttivo del giudizio non era stato notificato al D. soltanto presso il luogo di lavoro, ma anche in (OMISSIS), ove il plico era stato ritirato da una persona presso la quale, evidentemente, il D. abitava, giacchè altrimenti non si spiegherebbe come la suddetta avrebbe accettato un atto giudiziario diretto ad una persona che abitava altrove. I Giudici del gravame hanno pertanto ritenuto ragionevolmente provato che il D., all’epoca, avesse domicilio in (OMISSIS).

La Corte d’appello ha escluso che ricorressero i presupposti per sospendere il giudizio di divorzio in attesa della conclusione di quello, ecclesiastico, avente ad oggetto la nullità del matrimonio.

Quanto alla domanda riconvenzionale, i Giudici del gravame – confermando anche sul punto la sentenza di prime cure – hanno affermato che essa era improponibile, ai sensi dell’art. 122 c.c., u.c., giacchè la gravità dei disturbi psichici della T. si evidenziò già nel (OMISSIS), e quindi molti anni prima della cessazione della convivenza tra i coniugi, avvenuta nel (OMISSIS).

In ordine, infine, ai provvedimenti di carattere economico, la Corte d’appello – premesso che erano stati acquisiti in causa sufficienti elementi per definire le rispettive condizioni economiche dei coniugi, e quindi che non era necessario assumere le nuove prove richieste dall’appellante – ha rilevato che, mentre il D. percepiva un reddito annuo variante dai 13.000,00 ai 16.000,00 Euro, la T. era priva di alcun reddito, diverso dall’assegno corrispostole dal marito, e si trovava in una gravosa situazione, dovendosi dedicare – praticamente a tempo pieno – al figlio S., affetto da “autismo grave”, come evidenziato nella relazione del Servizio sociale e nella certificazione medica in atti.

Per tali ragioni, e valutate comparativamente le potenzialità economico-reddituali delle parti, la Corte ha confermato in euro 550,00 mensili la misura dell’assegno divorzile, giudicando tale esborso indubbiamente un sacrificio per il D., ma per lui sopportabile anche in considerazione del rilevante impegno, gravante sulla madre, di assistenza e cura del figlio S..

3. – Per la cassazione della sentenza della Corte d’appello il D. ha proposto ricorso, sulla base di cinque motivi.

Ha resistito, con controricorso, la T., la quale, in prossimità dell’udienza, ha depositato memoria illustrativa.

Motivi della decisione

1. – Con il primo motivo il ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 2, violazione delle norme sulla competenza per territorio. Si afferma che il D. non ha il domicilio nel Comune di (OMISSIS); che il domicilio non può essere fatto coincidere con il luogo di lavoro, sicchè non rileverebbe che il D. lavori a (OMISSIS) presso l’Ospedale (OMISSIS); che è nulla la notifica avvenuta in Roma (OMISSIS), presso la Signora D.R.P., trattandosi di persona sconosciuta che non ha nè rapporti di parentela nè di convivenza con l’interessato, convenuto in giudizio. Il Giudice d’appello avrebbe erroneamente dato per scontato che, siccome l’atto introduttivo è stato recapitato in quel luogo, allora si potrebbe dedurre che li sia il domicilio del D..

2.1. – Il motivo è infondato.

Ai sensi della L. 1 dicembre 1970, n. 898, art. 4, nel testo sostituito ad opera della L. 6 marzo 1987, n. 74, art. 8, la domanda per ottenere (lo scioglimento o) la cessazione degli effetti civili del matrimonio si propone al tribunale del luogo in cui il coniuge convenuto ha residenza o domicilio.

Ai fini della competenza territoriale nel giudizio di divorzio, qualora si faccia riferimento al luogo del domicilio del coniuge convenuto, che è criterio di collegamento rilevante ai sensi della L. n. 898 del 1970, citato art. 4, ed autonomo rispetto a quello della residenza, s’intende per domicilio il luogo in cui la persona ha stabilito la sede principale dei suoi affari ed interessi, che non va individuato solo con riferimento ai rapporti economici e patrimoniali, ma anche ai suoi interessi morali, sociali e familiari (cfr. Cass., Sez. 1^, 12 febbraio 1973, n. 435; Cass., Sez. 1^, 5 maggio 1980, n. 2936; Cass., Sez. 3^, 8 marzo 2005, n. 5006).

La Corte d’appello, con logico e motivato apprezzamento, privo di mende logiche e giuridiche, ha accertato che il D. non solo a (OMISSIS) svolge la propria (ed unica) attività lavorativa, essendo dipendente di un ospedale, ma ivi anche vive, tanto che l’atto introduttivo del giudizio, indirizzato a (OMISSIS), è stato ritirato da una persona presso la quale il D. “evidentemente… abita” ed è andato a buon fine; ed ha ritenuto l’una e l’altra circostanza, congiuntamente operanti, significative ai fini dell’individuazione di un luogo elevato a centro dei propri affari ed interessi.

Il motivo di ricorso, nel denunciare l’erroneità della statuizione della Corte territoriale, per un verso si risolve nella non consentita sollecitazione ad una revisione del ragionamento decisorio in punto di fatto, ossia dell’opzione che ha condotto il giudice del merito alla soluzione della questione esaminata, deducendosi che il D. non saprebbe davvero “chi sia la signora D.R.P. presso la cui residenza è stato indirizzato l’atto”; per altro verso prospetta una censura – la nullità, l’inefficacia o l’inesistenza della notificazione dell’atto introduttivo del giudizio (“eseguita per posta a persona sconosciuta che non ha nè rapporti di parentela nè di convivenza con l’interessato”) – non direttamente correlata al vizio di incompetenza in esso motivo spiegato.

2. – Con il secondo mezzo (violazione dell’art. 295 c.p.c., in riferimento all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5) il ricorrente si duole che la Corte d’appello non abbia sospeso il giudizio di cessazione degli effetti civili del matrimonio, benchè fosse stato preventivamente adito il Giudice ecclesiastico e in quest’ultimo giudizio la T. si fosse ritualmente costituita e difesa.

2.1. – Il motivo è infondato, giacchè tra il giudizio relativo alla nullità del matrimonio concordatario e quello avente ad oggetto la cessazione degli effetti civili del matrimonio non sussiste alcun rapporto di pregiudizialità, tale che il secondo debba essere necessariamente sospeso a causa della pendenza del primo ed in attesa della sua definizione, posto che trattasi di procedimenti autonomi, non solo sfocianti in decisioni di diversa natura (e con peculiare e specifico rilievo in ordinamenti diversi, tanto che la decisione ecclesiastica solo a seguito di giudizio eventuale di delibazione, e non automaticamente, può produrre effetti nell’ordinamento italiano), ma anche aventi finalità e presupposti differenti (Cass., Sez. 1^, 19 settembre 2001, n. 11751; Cass., Sez. 1^, 25 maggio 2005, n. 11020).

3. – Il terzo motivo prospetta – in riferimento all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, – violazione dell’art. 122 c.c., nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia.

In caso di errore che riguardi l’esistenza di una malattia. fisica o psichica di uno dei coniugi, la conoscenza di tale infermità – sostiene il ricorrente – si concretizza esclusivamente quando il soggetto interessato sia posto in grado di rendersi effettivamente conto dell’incidenza che l’affezione può avere sullo svolgimento della vita familiare, soltanto da tale momento potendo farsi decorrere il termine di cui all’ultimo comma dell’art. 122 c.c..

Nella sentenza di secondo grado, erroneamente, si farebbe decorrere tale termine dalla conoscenza di una manifestazione della malattia avvenuta nel (OMISSIS). In realtà, il D. raggiunse la piena conoscenza dello stato psichico della moglie soltanto in occasione del giudizio per l’annullamento proposto davanti al giudice ecclesiastico, nel quale la donna fu sottoposta a perizia psichiatrica.

3.1. – Il motivo è inammissibile.

L’art. 122 c.c., u.c., prevede che l’azione di impugnativa del matrimonio non può essere proposta se vi sia stata coabitazione per un anno dopo che sia stato scoperto l’errore essenziale su qualità personali dell’altro coniuge.

Sul punto la Corte d’appello – nel confermare la statuizione, cui erano giunti i primi Giudici, di improponibilità della domanda di nullità del matrimonio – ha rilevato che, a parte la reale gravità dei disturbi psichici della T., risultanti in atti soltanto dalla sentenza ecclesiastica di primo grado, la malattia psichica in sè, tale da impedire lo svolgimento della vita coniugale, già si era manifestata con chiarezza, per stessa ammissione dell’appellante, quantomeno dal (OMISSIS), data di una grave crisi, e quindi molti anni prima della cessazione della convivenza tra i coniugi, avvenuta nel (OMISSIS).

Il ricorso per cassazione, nel censurare la conclusione cui è pervenuto il Giudice del merito (sul presupposto che, in realtà, il D. avrebbe raggiunto la piena conoscenza dello stato psichico della moglie soltanto nel corso del giudizio ecclesiastico di nullità del matrimonio, allorchè la T. fu sottoposta a perizia psichiatrica), al di là dell’apparente deduzione del vizio di violazione di legge e di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, finisce con il contrapporre una propria interpretazione delle risultanze di causa a quella, diversa, effettuata dalla Corte d’appello, al fine di ottenere la revisione da parte del Giudice di legittimità degli accertamenti di fatto compiuti dal giudice del merito: ma inammissibilmente, posto che, per costante giurisprudenza di questa Corte (ex multis, Sez. 1^, 30 marzo 2007, n. 7972), le censure poste a fondamento del ricorso non possono risolversi nella sollecitazione di una lettura delle risultanze processuali diversa da quella operata dal Giudice di merito, o investire la ricostruzione della fattispecie concreta, o riflettere un apprezzamento dei fatti e delle prove difforme da quello dato dal Giudice di merito.

4. – Il quarto mezzo denuncia violazione di norme di diritto circa la mancata ammissione dei mezzi di prova richiesti, nonchè contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia.

Si afferma che, contrariamente a quanto ritenuto dal giudice d’appello, la T. non si occupa più del figlio interdetto S., che è ora affidato stabilmente alle cure del Servizio sociale del Comune di (OMISSIS); e che il D. ha depositato in giudizio i documenti relativi al ricovero di S. presso una casa di cura e ha chiesto di provare ciò tramite l’escussione a teste dell’assistente sociale V.E..

La Corte d’appello, senza fornire la benchè minima spiegazione e motivazione, ha ritenuto di non dover sentire detto teste, e poi – si sostiene – arriva a basare le proprie conclusioni sull’affermazione che la T. è onerata del compito di assistenza al figlio disabile.

Analogamente, la Corte d’appello avrebbe ignorato la circostanza, pur ampiamente provata con “cospicua documentazione medica”, che lo stato di salute del D. è gravemente peggiorato, avendo egli scoperto, in pendenza della lite, di essere affetto da sclerosi multipla, ed avendo altresì documentato che, per tale motivo, egli è gravato da oneri economici aggiuntivi per l’acquisto di medicinali e per le visite specialistiche.

4.1. – Il motivo è inammissibile.

Quanto alla denuncia della mancata ammissione della prova testimoniale, il ricorrente si limita a dedurre di avere chiesto l’escussione a teste dell’assistente sociale V.E., ma non indica specificamente – come sarebbe stato suo onere (Cass., Sez. 1^, 22 febbraio 2007, n. 4178; Cass., Sez. 3^, 5 giugno 2007, n. 13085) – il mezzo istruttorio, omettendo di trascrivere puntualmente le circostanze formanti oggetto della prova orale.

In ordine, poi, al mancato esame di documenti asseritamente decisivi (relativi: alla collocazione del figlio S., che sarebbe ricoverato presso una casa di cura, con conseguente venir meno dell’onere di assistenza da parte della madre; al peggioramento dello stato di salute del D., affetto da sclerosi multipla, con conseguente necessità, per il medesimo, di sostenere oneri economici aggiuntivi per l’acquisto di medicinali e per le visite specialistiche), il motivo omette di trascrivere, in violazione del requisito di autosufficienza del ricorso per cassazione (cfr. Cass., Sez. 3^, 25 agosto 2006, n. 18506), il testo integrale o la parte significativa di tale documentazione.

5. – L’ultimo motivo prospetta – in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, – violazione di norme e omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia. Ci si duole che nè il giudice di primo grado, nè quello di appello abbiano statuito alcunchè circa la domanda di assegnazione della casa coniugale formulata da parte della T., punto sul quale si era formato il contraddittorio e di cui il D. aveva chiesto la reiezione.

5.1. – Il motivo è inammissibile.

Dovendo l’interesse all’impugnazione, il quale costituisce manifestazione del generale principio dell’interesse ad agire, essere apprezzato in relazione all’utilità concreta derivabile alla parte dall’eventuale accoglimento del ricorso per cassazione, e non potendo esso consistere in un mero interesse astratto (cfr. Cass., Sez. 1^, 19 maggio 2006, n. 11844), la parte che non abbia avanzato una domanda in giudizio (nella specie, di assegnazione della casa coniugale), ma si sia limitata ad instare per il rigetto di essa, non ha interesse ad impugnare la sentenza che abbia omesso di pronunciare su quella domanda.

6. – Il ricorso è rigettato.

Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso delle spese processuali sostenute dalla controricorrente, liquidate in complessivi Euro 2.100,00 di cui Euro 2.000,00 per onorari, oltre spese generali ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 8 novembre 2007.

Depositato in Cancelleria il 29 novembre 2007