Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

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Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Documenti • 17 Novembre 2007

Sentenza 26 ottobre 2007, n.2512

TAR Emilia-Romagna. Sentenza 26 ottobre 2007, n. 2512: “Associazione con finalità di culto e richiesta di riconoscimento della personalità giuridica”.

TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER L’EMILIA-ROMAGNA – BOLOGNA – SEZIONE I

nelle persone dei Signori:
CALOGERO PISCITELLO Presidente
GIORGIO CALDERONI Cons. , relatore
GRAZIA BRINI Cons.

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso n. 364/2005 proposto da: ASSOCIAZIONE LECTORIUM ROSICRUCIANUM R. e F. F., rappresentati e difesi da: PITTALIS AVV. GUALTIERO, DAL PIAZ AVV. CLAUDIO con domicilio eletto in BOLOGNA, VIA SARAGOZZA 28 presso
PITTALIS AVV. GUALTIERO

contro

UFFICIO TERRITORIALE DEL GOVERNO DI FORLI’- CESENA, MINISTERO DELL’INTERNO, rappresentati e difesi da: AVVOCATURA DELLO STATO, con domicilio eletto in BOLOGNA, VIA RENI 4 presso la sua sede;

per l’annullamento del provvedimento 23.12.2004 prot. n. 12742/04/W/Area 1° dell’Ufficio Territoriale del Governo di Forlì-Cesena e dei provvedimenti connessi, tra cui la nota Ministero Interno 8.11.2004, prot. n. 776/FG-5°-326-A/ACA ed il parere del Consiglio di Stato n. 7738/04;

Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visti gli atti tutti della causa;
Designato relatore il Consigliere Giorgio Calderoni;
Uditi per le parti, alla pubblica udienza dell’11 ottobre 2007, gli Avv. ti presenti come da verbale;

FATTO

I. Nell’atto introduttivo del giudizio, l’Associazione ricorrente espone di aver proposto nel 1998 domanda – presentata alla Prefettura di Forlì-Cesena – per ottenere il riconoscimento giuridico dal Ministero dell’Interno, il quale con nota 15.11.1999 chiese una integrazione documentale ed alcune modificazioni dello Statuto, adempimenti espletati dalla ricorrente stessa.
Successivamente detta istanza fu, tuttavia, rigettata con i provvedimenti in epigrafe, avverso i quali si deducono in ricorso le censure di violazione di legge (art. 1 D.P.R. n. 361/2002, 8 e 19 Cost.; artt. 1 e 2 legge n. 1159/1929; artt. 3 e ss. legge n. 241/90) ed eccesso di potere sotto svariati profili sintomatici (fondamentalmente attinenti a carenze motivazionali, travisamento, difetto di istruttoria, disparità di trattamento), censure che risultano così articolate:

A) avendo la ricorrente inteso presentare domanda di “riconoscimento giuridico”, il sopravvenire in corso di istruttoria del D.P.R. 10.2.2000, n. 361 comporterebbe che l’Amministrazione sia tenuta ad iscrivere nel registro ivi previsto l’istituzione privata che ne faccia domanda, qualora risulti accertata la sussistenza dei presupposti cui la legge subordina l’iscrizione stessa: e, nel caso di specie, l’Associazione ricorrente sarebbe in possesso, alla data di emanazione degli atti qui impugnati, di tutti i suddetti requisiti. Sennonché i provvedimenti controversi farebbero riferimento a profili ulteriori e non previsti da tale normativa, quali:
– una non chiara distinzione tra gli obiettivi di natura culturale dell’Ente e quelli di maggiore attinenza agli aspetti di carattere più propriamente religioso;
– l’insussistenza di scopi di pubblico interesse e di utilità sociale, che possano giustificare il conferimento del richiesto nuovo “status”;
– l’esistenza di due tipi di servizi religiosi, senza che siano previsti Ministri di culto nello Statuto dell’Ente;
– la circostanza che alcuni soci e fondatori siano stranieri e che la scuola internazionale Lectorium Rosicrucianum sia registrata presso la Camera di Commercio di Amsterdam, non richiedendo l’ordinamento olandese una approvazione di statuti di confessioni religiose per il conseguimento della personalità giuridica;

B) ma anche a voler ritenere che la ricorrente abbia presentato domanda di riconoscimento quale confessione religiosa, gli atti risulterebbero adottati in violazione degli artt. 8 e 19 Cost. e della normativa in materia (art. 1 legge n. 1159/1929): a sostegno di tale tesi, si invoca il parere 30 luglio 1986, n. 1390, reso dalla Sez. I del Consiglio di Stato a proposito del riconoscimento della personalità giuridica alla Congregazione cristiana dei Testimoni di Geova e si deduce che né nel provvedimento prefettizio impugnato né nel menzionato parere n. 7738/2004 del Consiglio di Stato si troverebbe riferimento ai principi costituzionali e di diritto valevoli in materia, tanto da configurarsi una disparità di trattamento con la predetta Congregazione.

II. Resistono al ricorso le Amministrazioni intimate, le quali hanno prodotto documentazione e, in vista dell’odierna pubblica udienza, memoria conclusiva.
Anche l’Associazione ricorrente ha dimesso memoria conclusiva, nuovamente articolata secondo i capi A e B del ricorso introduttivo e contenente anche repliche alle suddette difese conclusionali dell’Amministrazione.
Indi, la causa è passata in decisione.

DIRITTO

1.1. La prima quaestio iuris da risolvere consiste nello stabilire se al caso di specie sia applicabile la normativa di cui al DPR n. 361/2000 (Regolamento recante norme per la semplificazione dei procedimenti di riconoscimento di persone giuridiche private e di approvazione delle modifiche dell’atto costitutivo e dello statuto – n. 17 dell’allegato 1 della legge 15 marzo 1997, n. 59), ovvero la legge n. 1159/1929 (Disposizioni sull’esercizio dei culti ammessi nello Stato e sul matrimonio celebrato davanti ai ministri dei culti medesimi).
Il Collegio propende per la seconda ipotesi: e ciò per le ragioni di seguito esposte.
1.2. In materia di riconoscimento della personalità giuridica vige, infatti, il principio per cui l’applicabilità della normativa speciale sui c.d. “culti ammessi” (legge n. 1159/1929) scatta ogniqualvolta si rinvenga la presenza di un fine di culto nell’organizzazione, qualunque importanza questo possa assumere nella sua esistenza giuridica (cfr. Consiglio Stato, sez. IV, 25 maggio 1979, n. 369, a proposito delle confraternite delle confessioni diverse dalla cattolica).
Si tratta, del resto, del medesimo principio ribadito nel parere del Consiglio di Stato 29.11.1989, n. 2158, posto a base del riconoscimento dell’Unione Buddhista Italiana ed invocato nella memoria conclusiva dell’Associazione ricorrente a sostegno delle tesi difensive ivi dispiegate: nello stesso passo di tale parere riportato in memoria si legge, invero, che “la circostanza che un’istituzione non svolga riti o li svolga in minima parte non vale a restringere il campo di applicabilità dell’art. 2 della Legge n. 1129/1929”.
Infine, pronunciandosi recentemente in sede di ricorso straordinario proposto da una Chiesa Cristiana evangelica pentecostale legalmente riconosciuta negli U.S.A, la Sez. I del Consiglio di Stato (8 novembre 2006, n. 3621) ha, analogamente statuito che l’ente straniero “avente, nella propria nazione, finalità anche religiose”, non acquista lo status di Ente ecclesiastico (cattolico o diverso dal cattolico) iscrivendosi nel registro delle persone giuridiche in Italia, posto che all’uopo occorre seguire il procedimento di cui alla L. 20 maggio 1985 n. 222, per gli Enti cattolici e quello previsto dalla L. 24 giugno 1929 n. 1159 per gli Enti acattolici.
“Dette norme – prosegue il parere – sono norme di ordine pubblico, e perciò inderogabili.
Allo status di ente ecclesiastico, infatti, conseguono particolari condizioni per i ministri di culto che ne fanno parte, un particolare trattamento fiscale e tributario ed una serie di altre agevolazioni di diversa natura. Condizioni di favore, queste, che non possono di certo seguire alla semplice iscrizione nel registro prefettizio, che è disposto sulla base di accertamenti sommari di un’Autorità cui non è riconosciuto il potere di decidere sulla natura ecclesiale di qualsiasi ente.
Al solo Ministero dell’Interno, per legge, compete – si ribadisce – l’accertamento delle finalità religiose (come costitutive ed essenziali) di un ente che intenda ottenere il riconoscimento della personalità giuridica civile quale ente di culto, e, in tal senso, al Prefetto compete solo l’iscrizione del provvedimento ministeriale (nel caso di enti cattolici) o del provvedimento governativo (nel caso di culti diversi) di riconoscimento della personalità giuridica dell’ente di culto nel registro delle persone giuridiche”.
Tale arresto è stato, sì, espresso a proposito dell’iscrizione – in via di mera presa d’atto – nel registro prefettizio delle persone giuridiche straniere ai sensi di trattati internazionali (nella specie: Trattato di Amicizia tra Italia e U.S.A. del 2 febbraio 1948, ratificato dall’Italia con L. 18 giugno 1949 n. 385) e dell’art. 16 preleggi (condizioni di reciprocità): ma esso è perfettamente estensibile all’analoga procedura, espressamente “semplificata” ex D.P.R. n. 361/2000, di iscrizione delle persone giuridiche italiane nel corrispondente registro prefettizio.
Dall’insieme delle pronunce giurisdizionali e consultive del Consiglio di Stato, si ricavano, pertanto, le seguenti coordinate giuridiche:
a) le norme di cui alla legge n. 1159/1929 sono ordine pubblico, e perciò inderogabili;
b) esse si applicano ogni qualvolta si verifichi, nell’organizzazione, la presenza “anche” di una finalità religiosa e/o di manifestazioni cultuali, indipendentemente dal rilievo complessivo che queste possano assumere nel complesso dell’attività svolta dall’Ente.
1.3. Il quesito iniziale, circa l’applicabilità o meno della legge n. 1159/29, deve, pertanto, essere risolto alla stregua delle anzidette coordinate, le quali impongono la prioritaria verifica sull’esistenza di una finalità anche religiosa in seno all’Associazione ricorrente.
Ebbene, dagli atti di causa emergono, sotto questo profilo, le seguenti circostanze:
i) all’art. 3 del nuovo Statuto – registrato il 23.2.2001 ed aggiornato a seguito delle indicazioni ministeriali (cfr. punto 4 della lettera 7.6.2001, di risposta dell’Associazione alle richieste istruttorie del Ministero) – si legge che “l’Associazione ha scopi umanitari, culturali e non lucrativi, è apartititica ed apolitica. Ha per oggetto la professione e la diffusione della Religione Universale originale sulla base del Cristianesimo vivente e si prefigge l’unione dell’umanità alla Chiesa Universale dell’Origine. Per il raggiungimento del proprio scopo, sono previste: a) la celebrazione di servizi religiosi” – omissis -;
ii) rispetto al corrispondente art. 3 dello statuto costitutivo dell’Associazione (10.9.1980), si nota un’accentuazione della finalità religiosa (professione della Religione Universale in luogo di “propagandare i Misteri” della stessa), testimoniata anche dal fatto che la celebrazione dei servizi religiosi passa al primo posto tra le attività statutarie dell’Associazione stessa;
iii) nell’allegato F alla citata nota 7.6.2001 (Quadro riassuntivo delle attestazioni bancarie e postali), vengono, “per completezza”, forniti anche i saldi della partecipata s.a.s. Edizioni Lectorium Rosicrucianum, con la specificazione che “come già illustrato nella documentazione già a vostre mani, l’Associazione Lectorium Rosicrucianum partecipa in qualità di unico socio accomandante alla suddetta società in accomandita semplice. Detta società è stata creata appositamente per tenere separate le attività commerciali dalle attività tipiche di un’associazione religiosa senza fini di lucro svolte dal Lectorium Rosicrucianum”;
iv) nel successivo allegato G alla medesima nota (Relazione relativa ai servizi religiosi) si indica la celebrazione, da parte dell’Associazione, di due tipi di servizi religiosi:
– servizi religiosi officiati dai membri più anziani dell’Associazione e denominati Sacramenti del battesimo (per i non battezzati con altri riti), del matrimonio (per i non già sposati né civilmente né religiosamente), della benedizione del matrimonio (per i divorziati), del Consolamentum (in punto di morte) e del distacco (per i defunti);
– servizi religiosi officiati da allievi anziani della Scuola (lettura di un rituale con brani sacri e di un’allocuzione).
Sulla scorta degli atti provenienti dalla stessa Associazione ricorrente (ed in primis dal suo statuto, quale “indice sicuro” – secondo la dottrina – del carattere religioso di un’Associazione) e dalla medesima versati nel procedimento amministrativo conclusosi con i provvedimenti qui impugnati, pare difficilmente contestabile che detta Associazione persegua anche finalità religiose e svolga anche attività “tipiche di un’associazione religiosa”: basti, per tutte, quella di officiare “sacramenti” (in alcuni casi tassativamente alternativi a quelli “di altri riti”), che – già solo nell’etimologia latina da cui derivano – stanno ad indicare la funzione di consacrare.
Al riguardo occorre, poi, tener presente che la giurisprudenza della Cassazione penale (cfr. Sez. VI, 8 ottobre 1997, n. 9476 sulla Chiesa di Scientology; Sez. V, 2 febbraio 1999 e Sez. III, 7 ottobre 1998, n. 12744, sulla Chiesa Syro-Antiochena) ha ripetutamente sottolineato «la voluta ed estrema genericità della nozione di religione, utilizzata dalla Costituzione»: invero, è noto che i Costituenti si sono preoccupati di porre il solo limite del non contrasto con l’ordinamento giuridico italiano, giusta l’avvertenza, espressa dal presidente della prima sottocommissione, Ruini, che «oltre alle confessioni venerate, rispettabilissime, che tutti conosciamo, potrebbero sorgere culti strani, bizzarri (l’America insegna) che non corrispondessero all’ordinamento giuridico italiano».
1.4. Risulta, così, poco plausibile la tesi difensiva di parte ricorrente (esposta all’inizio dei rispettivi capi A e B del ricorso), secondo cui questa avrebbe inteso chiedere il riconoscimento quale semplice istituzione di diritto privato: se così fosse, sussisterebbe – rispetto all’ di associazione religiosa fornita dalla stessa Associazione negli atti prodotti a corredo della propria istanza – una palese incongruenza logica, se non proprio giuridica (viste le cautele con cui correttamente la Corte Costituzionale circonda gli atti autoqualificativi in subiecta materia, specie se volti a beneficiare di agevolazioni tributarie: sentenze n. 467/92 e n. 346/2002).
In ogni caso, come esattamente osservato dalla difesa delle Amministrazioni resistenti, l’istruttoria del procedimento è stata svolta dalla competente Direzione degli Affari dei Culti e, soggiunge il Collegio, la citata nota di integrazione documentale in data 7.6.2001, è stata indirizzata dall’Associazione – dopo che l’invocato D.P.R. n. 361/2000 era entrato in vigore – alla specifica “Divisione Affari dei Culti diversi dal Cattolico”: né risulta dagli atti di causa che, nel corso di questa nuova fase del procedimento, l’Associazione abbia chiesto l’applicazione nei propri confronti del menzionato D.P.R.
Infine, non può neppure essere sottaciuto – seppure come mero dato empirico – che nel corso di un importante convegno svoltosi il 3 dicembre 1999 presso l’Università Federico II di Napoli e dedicato alle nuove dimensioni della libertà religiosa, la relazione di un ordinario di diritto canonico abbia dato conto di una sorta di revival della procedura stabilita dall’art. 2 della legge n. 1159 del 1929 per il riconoscimento degli enti dei culti diversi da quello cattolico, menzionando espressamente l’Associazione ricorrente fra quelle, che ne avevano fatto richiesta, ancora in attesa di riconoscimento.
1.6. Anche sotto il profilo della natura del potere esercitato, non pare, poi, dubitabile che il Ministero abbia inteso fare applicazione del potere espressamente attribuitogli in tema di riconoscimento della personalità giuridica degli istituti di culto diversi dalla religione cattolica: infatti, l’impugnata nota ministeriale 8.11.2004, di reiezione dell’istanza, ritiene non sufficientemente provata “anche sotto il profilo della natura di confessione religiosa e dei rapporti di carattere internazionale, l’esistenza dei requisiti richiesti dalla normativa di specie per l’adozione del richiesto provvedimento di riconoscimento della personalità giuridica”; e si chiude preoccupandosi, comunque, di “rappresentare che l’opera di diffusione della fede con tutte le iniziative ad essa collegate e l’esercizio del culto in genere sono liberi e protetti ai sensi degli artt. 8, 19 e 21 della Costituzione”.
1.6. Riassuntivamente, le censure svolte sub A) del ricorso introduttivo devono essere disattese, siccome tutte rapportate ad un parametro legale (il citato D.P.R. n. 361/2000), la cui applicabilità occorre escludere nel caso de quo.
2.1. Si tratta ora di vedere, con riferimento al Capo B del ricorso, se il Ministero abbia o meno fatto corretto utilizzo dell’effettivo parametro legale (legge n. 1159/29), che governa la fattispecie.
2.2. Orbene, dal complesso degli atti in epigrafe che hanno concorso alla determinazione finale dell’Amministrazione (atti tutti impugnati con il presente ricorso dall’Associazione e che sono concatenati l’un l’altro per effetto di vicendevoli rimandi) emerge che il riconoscimento di personalità giuridica, ai sensi della legge di cui sopra, è stato negato sulla scorta delle seguenti argomentazioni:
a) non chiara distinzione tra gli obiettivi di natura culturale che l’ente si prefigge e quelli, invece, di maggiore attinenza agli aspetti di carattere più propriamente religioso;
b) insussistenza di scopi di pubblico interesse e di utilità sociale;
c) mancata previsione, nello statuto, di ministri di culto, pur essendo svolti i due tipi di servizi religiosi sopra indicati sub 1.3.;
d) cittadinanza straniera di alcuni fondatori e registrazione della Fondazione Lectorium Rosicrucianum presso la Camera di Commercio di Amsterdam, senza che l’ordinamento giuridico olandese preveda la regia approvazione di statuti di confessioni religiose, allo scopo di ottenere il riconoscimento della personalità giuridica.
A ciò si aggiunga:
 che nelle proprie premesse, il citato parere 30.6.2004, n. 7738 della Sez. I del Consiglio di Stato, riferisce come, nella propria relazione-richiesta di parere, l’Ufficio Ministeriale avesse ritenuto prioritaria ad ogni altra considerazione “l’assoluta certezza del rispetto della libertà di coscienza dei soggetti che vengono a contatto con l’ente, e cioè che l’adesione al movimento religioso sia frutto di scelte consapevoli maturate lungo un percorso di libera formazione delle coscienze individuali; in particolare dovrebbe essere certa la tutela delle fasce giovanili – dai 6 ai 18 anni -, in quanto più influenzabili sotto il profilo psicologico”;
 che il “considerato” del parere de quo si apre con la dichiarazione di condivisione delle “perplessità espresse dall’Amministrazione”.
Nella disamina di siffatte argomentazioni, il Collegio ritiene di doversi prioritariamente concentrare su quelle che rivelano una più immediata attinenza ai profili religiosi che – come sin qui detto – caratterizzano la presente controversia: e cioè, innanzitutto, sulla questione della mancata previsione statutaria di ministri di culto.
2.3. A questa figura e al suo ruolo istituzionale e religioso, lo Stato presta, invero, da sempre attenzione e ricollega alcune conseguenze giuridiche, disciplinate per via pattizia con le confessioni (intese ex art. 8, comma 3 Cost.), ovvero unilaterale.
Invero, i ministri di culto risultano sempre contemplati in tutte le leggi sin qui emanate (11 agosto 1984, n. 449; 22 novembre 1988, n. 516; 22 novembre 1988, n. 517; 8 marzo 1989, n. 101 e 29 novembre 1995, n. 520), di rispettivo recepimento delle intese riguardanti la Tavola Valdese, le Chiese cristiane avventiste, le Assemblee di Dio, le Comunità ebraiche e la Chiesa Evangelica Luterana in Italia.
In disparte la fitta e variabile griglia di diritti e doveri che tali leggi stabiliscono in relazione a tali soggetti, risulta evidente (ed esplicitata in dottrina) la ratio ad esse comune: quella di individuare un preciso interlocutore per le autorità civili (ed in primo luogo per quelle preposte alla sicurezza e all’ordine pubblico) nei rapporti con l’ente religioso e le sue articolazioni/aggregazioni sul territorio.
Basti pensare, in tempi come questi, alle esigenze di controllo del terrorismo, della criminalità e dell’immigrazione clandestina: esigenze che ben giustificano la richiesta di una siffatta “garanzia” da parte dello Stato nel momento in cui si accinge a riconoscere la personalità giuridica di un’organizzazione religiosa o a stipulare con essa un’intesa bilaterale.
Né deve sorprendere il richiamo congiunto a due così diversi istituti giuridici (quelli del riconoscimento della personalità giuridica ovvero dell’intesa), in quanto autorevoli studiosi di diritto ecclesiastico hanno posto in evidenza:
– come la disciplina del fenomeno religioso in forma associata pare seguire, nella Costituzione, uno schema evoluzionistico che vede progressivamente rafforzarsi le forme di tutela con il crescere della capacità e della forza aggregante del gruppo: dalla formazione sociale all’associazione, dall’associazione alla confessione;
– e come lo stesso art. 8 Cost. segua uno schema similare delineando un sistema di tutela che sembra una “fattispecie a formazione progressiva”: dalla generica garanzia di eguale libertà; al più pregnante riconoscimento di una autonomia organizzativa in forma statutaria, che rafforza l’alterità dell’ente religioso rispetto allo Stato; per finire al principio di bilateralità della regolamentazione dei reciproci rapporti con lo Stato.
Da questo punto di vista, dunque, il valore di “precedente” che parte ricorrente mostra di attribuire, nella sua memoria conclusiva, al citato parere del Consiglio di Stato n. 2158/1989 (cui è seguito il D.P.R. 3.1.1991 di riconoscimento dell’Unione Buddhista italiana), ben può attribuirsi – come peraltro è stato fatto dalla dottrina -anche all’intesa stipulata il 20 marzo 2000 tra la medesima Unione e lo Stato italiano.
Ebbene, quell’esigenza fondamentale per lo Stato di avere, all’interno di ogni entità religiosa, interlocutori ben individuati e responsabili con cui dialogare, è stata riaffermata anche in questo caso ed anche a costo di far compiere una forzatura all’altro soggetto contraente, essendo noto come nel variegato panorama dell’esperienza buddista sia spesso non contemplata la presenza di un clero: ciononostante, l’art. 7 dell’intesa stabilisce che la qualifica di ministro di culto deve essere certificata dall’UBI, che detiene apposito elenco dei ministri stessi, elenco che è tenuta a compilare e a trasmettere alle autorità competenti, così come è tenuta a rilasciare le relative attestazioni ai fini dell’intesa (art. 7).
2.4. E’, poi, del tutto evidente come la presenza di ministri di culto riconosciuti costituisca non solo una garanzia “esterna” nel senso appena indicato, ma, altresì, una fondamentale garanzia “interna” sotto il profilo del rispetto della libertà di coscienza degli aderenti, esigenza, questa, che il Ministero ha collocato al primo posto delle considerazioni che hanno determinato la richiesta di parere al Consiglio di Stato sull’istanza dell’Associazione ricorrente (e, per vero, tra i principi fondamentali previsti dal nostro ordinamento, e come tali rientranti nel limite espressamente contemplato nell’art. 8 comma 2 cost., vi è, innanzitutto, quello previsto dall’art. 2 cost., a tutela e garanzia dei diritti inviolabili della persona umana all’interno delle formazioni sociali nelle quali si svolge la sua personalità): considerazioni e preoccupazioni che il Consiglio di Stato ha dichiarato di condividere nel loro complesso, pur non affrontando la questione specifica della libertà di coscienza.
2.5. Senza dire – quale argomento che viene ultimo solo in ordine di successione, ma non certo di importanza – che la Corte Costituzionale, nella sua prima sentenza dedicata al tema della libertà religiosa (18.11.1958, n. 59, citata anche da parte ricorrente nella sua memoria conclusiva) ha affermato che la formula dell’articolo 19 cost. “non potrebbe, in tutti i suoi termini, essere più ampia, nel senso di comprendere tutte le manifestazioni del culto, ivi indubbiamente incluse, in quanto forma e condizione essenziale del suo pubblico esercizio, l’apertura di templi ed oratori e la nomina dei relativi ministri”: donde un’autorevole, seppur risalente, conferma del legame ineludibile che lega qualsiasi forma, anche nuova, di organizzazione religiosa e la presenza di ministri del relativo culto professato.
2.6. Ebbene su questo punto – che il Collegio ritiene di aver dimostrato come dirimente ai fini della soluzione della controversia – della mancata previsione nello statuto dell’Associazione ricorrente della figura dei ministri di culto, l’Associazione stessa non spende deduzioni né nel ricorso introduttivo né nella memoria conclusiva, di talché i provvedimenti impugnati restano sostanzialmente incensurati per questo decisivo profilo, di per sé idoneo a sorreggere in via autonoma la determinazione reiettiva che recano.
Il che dispensa il Collegio non solo dall’insistere oltre sul tema, ma anche dall’esaminare le ulteriori motivazioni addotte nei provvedimenti stessi a sostegno del diniego opposto e le rispettive censure avverso di esse svolte sub B del ricorso.
2.7. Solo un’ultima considerazione va fatta in ordine alla censura di disparità di trattamento, dedotta nel ricorso introduttivo con riferimento alla congregazione dei Testimoni di Geova ed estesa, in sede di memoria conclusiva, alla posizione dell’Unione Buddhista italiana: quest’ultima estensione è, all’evidenza, inammissibile, in quanto contenuta in memoria non notificata e, comunque, già si è detto della posizione sostanzialmente diversa rivestita dall’UBI, quanto alla presenza di ministri di culto; circa la congregazione dei Testimoni di Geova, basterà ricordare che nel medesimo parere Cons. Stato Sez. I n. 1390/1986, più volte richiamato da parte ricorrente in proprio favore, si fa più volte menzione dei ministri di culto della congregazione stessa, cosicché – stante la diversità di situazioni prese a raffronto – neppure rispetto a tale istituzione religiosa può fondatamente invocarsi, da parte dell’Associazione ricorrente priva di ministri di culto, il vizio di eccesso di potere per disparità di trattamento.
2.8. Anche le censure svolte sub B del ricorso introduttivo devono, pertanto, essere disattese, siccome prive di pregio: con il che è il ricorso medesimo a dover essere respinto.
3. Decisa in tal modo la causa, il Collegio si sente tuttavia di esprimere – a mò di intenzionale obiter dictum – considerazioni ulteriori, fondamentalmente giustificate dalla circostanza che diversi mutamenti normativi sono intercorsi dal momento della proposizione dell’istanza de qua da parte dell’Associazione ricorrente e sino alla pronuncia da parte del Consiglio di Stato e del Ministero; sicché non pare contravvenire nessuna regola processuale il segnalare, in questa sede, un’opportunità offerta da alcuni di tali mutamenti, che si collocano esattamente in quel solco di “fattispecie a formazione progressiva” cui innanzi si è fatto riferimento e che sono stati prontamente colti dalla dottrina quali apertura di possibili, nuove forme di organizzazione religiosa nell’ordinamento italiano: ci si riferisce alle Associazioni di promozione sociale “con finalità di ricerca etica e spirituale”, di cui alla l. 7 dicembre 2000, n. 383, che gli studiosi di diritto ecclesiastico hanno espressamente individuato come una fattispecie normativa potenzialmente idonea a rispondere a molte delle attese delle confessioni prive di intesa e alle problematiche dischiuse dallo sviluppo dei nuovi movimenti religiosi, aprendo un canale alternativo di diritto comune al riconoscimento giuridico della più recente fenomenologia religiosa.
Come a dire che il legislatore, resosi conto delle note rigidità della legge 1159/29 nei cui canoni tante formazioni a carattere religioso (tra cui quella ricorrente) non rientrano, ha predisposto anche strumenti giuridici più flessibili ed alle stesse, probabilmente, più consoni.
4. Conclusivamente, il ricorso in epigrafe va respinto.
Per le evidenziate peculiarità della controversia, appare equo compensare integralmente. tra le parti in causa, le spese di lite.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per l’Emilia-Romagna – Bologna, I sezione, respinge il ricorso in premessa.
Compensa integralmente, tra le parti, le spese di lite.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

Così deciso in Bologna, nella Camera di Consiglio dell’11 ottobre 2007.
Presidente f.to Calogero Piscitello
Cons. Rel. est. Giorgio Calderoni