Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

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Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Documenti • 17 Ottobre 2007

Sentenza 15 giugno 2001, n.567

TAR.Sentenza 15 giugno 2001 n. 567: “IRC e giurisdizione del giudice amministrativo”.

IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER L’ABRUZZO – PESCARA –
composto dai signori:
Dott. Antonio Catoni Presidente
Dott. Michele Eliantonio Consigliere, relatore
Dott. Dino Nazzaro Consigliere

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sui ricorsi nn. 735/00 e 73/2001, entrambi proposti da F.G., rappresentato e difeso dall’avv. M.F., elettivamente domiciliato presso il proprio difensore in Pescara

contro

il Ministero della Pubblica Istruzione ed il Provveditorato agli Studi di Pescara, rappresentati e difesi dall’Avvocatura distrettuale dello Stato di L’Aquila presso cui per legge domicilia;

per l’annullamento

del provvedimento con il quale il ricorrente è stato escluso dalla partecipazione alla sessione riservata di abilitazione per l’insegnamento nella scuola secondaria, indetta con D.M. 15 giugno 1999, n. 153; nonché degli atti presupposti e connessi, tra cui il decreto ministeriale di rigetto del ricorso gerarchico proposto avverso tale atto e l’atto di esclusione dalla graduatoria definitiva.

Visti i ricorsi con i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero della Pubblica Istruzione ed il Provveditorato agli Studi di Pescara;
Vista la memoria prodotta dalle Amministrazioni resistenti a sostegno delle proprie ragioni;
Visti gli atti tutti del giudizio;
Udito alla pubblica udienza del 10 maggio 2001 il relatore consigliere Michele Eliantonio e uditi, altresì, l’avv. Sabina Boccardo – su delega dell’avv. Massimo Faugno – per la parte ricorrente e l’avv. dello Stato Maria Grazia Lopardi per le Amministrazioni resistenti;
Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:

FATTO:

Il ricorrente, insegnante di religione cattolica, ha chiesto di partecipare alla sessione riservata di abilitazione per l’insegnamento nella scuola secondaria, indetta con D.M. 15 giugno 1999, n. 153.
Con i ricorsi in esame ha adito questo Tribunale al fine di ottenere l’annullamento del provvedimento con il quale è stata disposta la sua esclusione dalla sessione di abilitazione in parola per non essere l’insegnamento della religione servizio valido ai fini della richiesta ammissione ai corsi in parola. Ha impugnato, altresì, tutti gli atti presupposti e connessi, tra cui il decreto ministeriale di rigetto del ricorso gerarchico proposto avverso tale atto, nonchè l’atto di esclusione dalla graduatoria definitiva.
Ha dedotto a tal fine le censure di violazione dell’art. 2 del D.M. 15 giugno 1999, n. 153, e dell’art. 2, IV comma, della L. 3 maggio 1999, n. 124, in relazione al T.U. 1994, n. 287, e del c.c.n.l. del comparto scuola, di violazione della L. 3 maggio 1999, n. 124, e di eccesso di potere per illogicità, per contraddittorietà e per ingiustizia manifesta.
Il Ministero della Pubblica Istruzione ed il Provveditorato agli Studi di Chieti si sono costituiti in giudizio a mezzo dell’Avvocatura distrettuale dello Stato di L’Aquila, che con memoria depositata il 21 aprile 2001 ha pregiudizialmente eccepito l’inammissibilità del gravame in ragione della mancata impugnativa del predetto D.M. che all’art. 2, ultimo comma, esclude la validità ai fini della richiesta ammissione dei servizi prestati nell’insegnamento della religione cattolica. Nel merito ha, poi, diffusamente confutato il fondamento delle censure dedotte.
Alla pubblica udienza del 10 maggio 2001 le cause sono state trattenute a decisione.

DIRITTO:

1. – I ricorsi in esame, per evidenti ragioni di connessione debbono pregiudizialmente essere riuniti al fine di essere decisi con un’unica sentenza.
Con tali ricorsi invero, come sopra esposto, la parte ricorrente, insegnante di religione cattolica, ha adito questo Tribunale al fine di ottenere l’annullamento del provvedimento con il quale è stata disposta la sua esclusione dalla sessione riservata di abilitazione per l’insegnamento nella scuola secondaria, indetta con D.M. 15 giugno 1999, n. 153, per non essere l’insegnamento della religione servizio valido ai fini della richiesta ammissione ai corsi in parola.
Ha impugnato, altresì, tutti gli atti presupposti e connessi.

2. – In via pregiudiziale il Collegio deve farsi carico di accertare se la questione dedotta rientri o meno nella giurisdizione di questo Tribunale.Premesso che, in applicazione del criterio del petitum sostanziale, al fine di stabilire se sussista la giurisdizione del giudice ordinario oppure quella del giudice amministrativo occorre dare rilievo decisivo non già alle richieste e alle deduzioni avanzate formalmente dalle parti, ma alla vera natura della controversia, con riferimento alle concrete posizioni soggettive delle parti in relazione alla disciplina legale della materia, deve evidenziarsi che, in base ai principi generali, esclusi i casi di giurisdizione esclusiva, è devoluta alla giurisdizione del giudice ordinario la tutela dei diritti soggettivi, mentre sono devolute al giudice amministrativo le controversie in cui si assumano lese posizioni di interesse legittimo.
Ciò posto, deve rilevarsi che nel caso di specie l’interessata ha impugnato la sua esclusione dalla sessione degli esami per conseguire l’abilitazione all’insegnamento, cioè di un atto finalizzato a conseguire la possibilità di ingresso nei ruoli della P.A. in qualità di insegnante, ovvero la creazione dei presupposti per l’attività di insegnamento.
Ora, pronunciandosi in relazione a fattispecie per alcuni versi analoghe a quella ora all’esame questa stessa Sezione con sentenza 25 maggio 2001, n. 469, ha già avuto modo di chiarire che tale controversia non attiene al pubblico impiego (peraltro oggi attribuita alla giurisdizione del giudice ordinario), né alla materia dei concorsi per l’ingresso nella P.A. oggi residuata al giudice amministrativo.
In realtà, la questione deve essere compresa tra quelle che attengono ai pubblici servizi i quali, a mente dell’art. 33 del decreto legislativo n. 80 del 1998, come sostituito dall’art. 7 della legge n. 205 del 2000, sono stati attribuiti al giudice amministrativo in via esclusiva.
Invero, tra questi, la norma rammentata comprende anche le attività e le prestazioni di ogni genere, rese nell’espletamento di pubblici servizi, ivi comprese quelle rese nell’ambito della pubblica istruzione.
E nella specie si tratta certamente di un servizio di questo genere.
Tuttavia, la stessa norma effettua una esclusione, relativamente ai rapporti individuali di utenza con soggetti privati; questi rapporti non possono, quindi, essere ricondotti nell’ambito della giurisdizione esclusiva e, pertanto, la giurisdizione di essi va individuata in base ai principi che radicano il giudizio presso il giudice amministrativo con riferimento ai principi vigenti in tema di giurisdizione generale di legittimità, per cui il relativo giudizio verrà assorbito nell’alveo della giurisdizione amministrativa solo nel caso che il provvedimento della pubblica amministrazione rientri nel novero degli atti autoritativi, permeati della discrezionalità piena della Pubblica Amministrazione.
Infatti, come la Cassazione ha avuto modo di rilevare in una sua sentenza (Cfr. SS.UU. 24 novembre 2000, n. 1203) laddove la valutazione dei requisiti in un sistema di reclutamento basato su graduatorie è fatta in base a criteri fissi e prestabiliti il soggetto che chiede l’inserzione fa valere un suo diritto soggettivo per cui la relativa controversia deve esser conosciuta da giudice ordinario.
Nella specie, se è vero che non si è nell’ambito di un reclutamento ma solo in tema di ammissione ad un esame di idoneità, mutuando il principio enunciato nella sentenza di che trattasi ed applicandolo al caso di specie si ha agio di osservare che si è in presenza dei seguenti elementi:
– la questione non afferisce a giurisdizione esclusiva dato che si è in presenza di un rapporto individuale di utenza con soggetto privato nell’ambito della materia scolastica;
– l’Amministrazione ha agito valutando i requisiti per l’ammissione;
– il diritto soggettivo della ricorrente a partecipare alla sessione riservata in parola è stato affievolito ad interesse legittimo in ragione del predetto D.M. 15 giugno 1999, n. 153, di indizione della sessione riservata di abilitazione per l’insegnamento nella scuola secondaria, che all’art. 2, ultimo comma, ha escluso la validità ai fini della richiesta ammissione dei servizi prestati nell’insegnamento della religione cattolica.
Ne consegue che la controversia rientra tra quelle che riguardano un rapporto individuale di utenza con un soggetto privato al di fuori della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo e riguarda la tutele di una situazione giuridica soggettiva di interesse legittimo.
Con riferimento a tale posizione giuridica soggettiva dedotta deve, pertanto, ritenersi sussistente la giurisdizione di questo Tribunale a conoscere della controversia in esame.

3. – Una volta giunti a tale conclusione, può utilmente passarsi all’esame della pretesa fatta valere in giudizio.
Il ricorso in esame – così come puntualmente evidenziato dalla Amministrazione resistente – non può non essere dichiarato inammissibile.La mancata impugnativa del predetto D.M. di indizione della sessione riservata in parola, che, come sopra precisato, ha escluso la validità ai fini della richiesta ammissione dei servizi prestati nell’insegnamento della religione cattolica, preclude, invero, alla ricorrente di ottenere l’ammissione richiesta.
Purtuttavia, prescindendo da tale considerazione, deve rilevarsi che, in ogni caso, il ricorso non appare fondato.
Con il gravame, invero, la ricorrente ha nella sostanza sostenuto che i docenti di religione cattolica svolgono un’attività educativa nell’ambito delle scuole statali, al pari degli altri docenti, ancorché differiscono le rispettive procedure di nomina, e che l’art. 2, IV comma, della L. 3 maggio 1999, n. 124, in attuazione del quale è stata indetta la menzionata sessione riservata di esami di abilitazione idoneativi all’insegnamento, laddove riconosce quale servizio utile per la partecipazione a tale sessione soltanto i servizi prestati in insegnamenti corrispondenti a posti di ruolo o relativi a classi di concorso, contrasta con l’art. 3, comma 1, e 97, comma 1, della Costituzione, poiché discrimina fra insegnamenti parimenti svolti nell’ambito del medesimo sistema scolastico.
La discriminazione sarebbe tanto più evidente se si considera che per l’ammissione alla procedura abilitativi o idoneativa non occorre che il servizio sia stato prestato in insegnamenti corrispondenti alla classe di concorso per la quale si chiede di partecipare.
Deduce, inoltre, che l’art. 2, comma 4, della L. 3 maggio 1999, n. 124, non avrebbe richiesto che il servizio utile per l’ammissione alla sessione riservata di esami di abilitazione all’insegnamento dovesse essere prestato in insegnamenti della stessa classe di concorso per la quale si chiede l’abilitazione o l’idoneità.
Tali doglianze sono state già sottoposte al vaglio del Consiglio di Stato, che in sede consultiva (Cons. St., II, 10 gennaio 2001, n. 1606/2000) le ha già ritenute prive di pregio.
In tale occasione, innanzi tutto, è già stata ritenuta manifestamente infondata l’ipotizzata illegittimità costituzionale dell’art. 2, comma 4, della L. 3 maggio 1999, n. 124, per violazione degli artt. 3, I comma, e 97, I comma, della Costituzione, e ciò in quanto l’ordinamento scolastico dello Stato italiano è articolato in una molteplicità di classi di concorso, corrispondenti alle varie materie d’insegnamento, alle quali si accede sulla base di particolari procedure, richiedenti per la partecipazione specifici titoli di studio e professionali.
In tale quadro normativo restano differenziati gli insegnamenti svolti in posti corrispondenti a classi di concorso dai diversi insegnamenti parimenti disimpegnati nell’ambito della scuola statale.
Per quanto concerne l’insegnamento della religione cattolica, su cui verte la questione posta con il ricorso, esso viene impartito in attuazione di un accordo stipulato tra lo Stato Italiano e la Santa Sede (Concordato lateramense dell’11 febbraio 1929, modificato con il successivo accordo del 18 febbraio 1984, cui ha fatto seguito il D.P.R. 16 dicembre 1985, n. 751, esecutivo dell’intesa intervenuta il 14 dicembre 1985 tra l’Autorità scolastica italiana e la Conferenza episcopale italiana). In base a tali accordi gli insegnanti di religione cattolica vengono nominati su scelta dell’Autorità ecclesiastica e la loro nomina, a termine, ha caratteristiche del tutto peculiari, escludenti l’incardinamento scolastico dello Stato italiano.
Ciò stante, i docenti di religione cattolica hanno un rapporto del tutto precario, instaurato con procedure diverse rispetto a quelle previste per gli atri insegnamenti e mancano dello status giuridico nonché economico riservato dallo Stato italiano ai propri docenti, nominati in ruolo attraverso particolari procedure selettive.
Attesa, pertanto, la sostanziale differenza dei docenti di religione cattolica, rispetto agli altri insegnanti, è stato escluso che tale art. 2 della L. 3 maggio 1999, n. 124, nel prescrivere, quale requisito per la partecipazione al corso riservato per il conseguimento dell’idoneità all’insegnamento, 360 giorni di servizio prestato in posti corrispondenti a classi di concorso, sia incorso nella violazione delle citate norme costituzionali.
Il pari trattamento garantito ai cittadini dall’art. 3, comma 1, della Costituzione opera, infatti, a parità di situazioni, nel caso non rinvenibile, attesa la diversità di status sussistente tra i docenti di religione cattolica e gli altri.
Del pari è stato escluso che la norma in oggetto contrasti con l’art. 97 della Costituzione, che prescrive l’imparzialità della Pubblica Amministrazione, ove si consideri che, per assicurare l’osservanza di tale principio, situazioni diverse debbono necessariamente essere disciplinate in modo diverso.
Per altro, la Corte Costituzionale, pronunciandosi sull’ordinanza di remissione del T.A.R. Lazio 3 giugno 1996, n. 524, invocata dalla ricorrente, si è già determinata, con la sentenza 22 luglio 1999, n. 343, su le analoghe norme contenute negli artt. 2 e 11 della L. 27 dicembre 1989, n. 417, escludendone l’incostituzionalità, in riferimento all’art. 3, comma 1, ed all’art. 97, comma 1, della Costituzione.
Anche la giurisprudenza amministrativa formatasi sugli atti applicativi della precedente normativa, coincidente con la prescrizione di cui all’art. 2, IV comma, della L. 3 maggio 1999, n. 124, si è sempre determinata per l’impossibilità di riconoscere come utile il servizio di insegnamento della religione cattolica ai fini della partecipazione agli esami abilitativi riservati.
Donde l’insussistenza della dedotta incostituzionalità in parte qua dell’art. 2, IV comma, della L. 3 maggio 1999, n. 124, come, pure, della clausola applicativa della relativa prescrizione contenuta nell’art. 2, comma 4, dell’O.M. 15 giugno 1999, n. 153.
Le altre doglianze svolte dalla ricorrente mancano poi anch’esse di fondamento.
Il fatto, invero, che l’insegnamento della religione cattolica nell’ambito delle scuole statali italiane sia previsto dall’ordinamento e concorra all’azione educativa degli allievi è, invero, del tutto irrilevante, visto che tale insegnamento non avviene con le stesse modalità degli altri insegnamenti, ma in un contesto diverso, sulla base di differenti procedure di scelta dei docenti e senza l’attribuzione agli stessi dello status proprio degli insegnanti delle scuole italiane.
Ugualmente, nessun rilievo favorevole ha il fatto che il servizio richiesto per l’ammissione ai corsi idoneativi all’insegnamento può essere stato prestato in insegnamenti corrispondenti a qualsiasi classe di concorso e non in quella per la quale si chieda di conseguire l’abilitazione o l’idoneità.
L’insegnamento nella varie classi di concorso ha, infatti, identiche caratteristiche, quanto alle procedure di nomina (in base a graduatorie di merito) ed alle finalità didattiche, mancanti all’insegnamento della religione cattolica.
Infine, non rileva il fatto che l’insegnamento della religione cattolica può anche essere affidato agli insegnanti di ruolo delle scuole statali, trattandosi di insegnamento aggiuntivo e non obbligatorio, da svolgersi, comunque, previo assenso della competente Autorità ecclesiastica.
La ricorrente ha dedotto, infine, il vizio di violazione o errata interpretazione dell’art. 2, IV comma, della L. 3 maggio 1999, n. 124, atteso che tale norma non richiede che il servizio utile per l’ammissione al corso idoneativo de quo sia stato prestato nella corrispondente classe di concorso.
L’assunto manca di fondamento per la ragioni sopra già svolte.
Poiché l’insegnamento della religione cattolica non corrisponde ad alcuna classe di concorso, giuste le ragioni prima illustrate, il relativo servizio non può essere in alcun modo assimilato a quello disimpegnato in una qualsiasi classe di concorso.
Il riconoscimento del servizio disimpegnato per una classe di concorso diversa da quella per la quale si chiede di conseguire l’idoneità all’insegnamento non implica, pertanto, che debba essere riconosciuto anche un insegnamento non coincidente con alcuna delle classi di concorso previste dall’ordinamento.
Concludendo, alla luce delle suesposte considerazioni il ricorso in esame deve, pertanto, essere respinto.

Sussistono, per concludere, giuste ragioni per disporre la totale compensazione tra le parti delle spese e degli onorari di giudizio.

P. Q. M.

Il Tribunale amministrativo regionale per l’Abruzzo, Sezione staccata di Pescara, respinge – previa riunione – i ricorsi specificati in epigrafe.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

Così deciso in Pescara nella camera di consiglio del 10 maggio 2001.

Pubblicata mediante deposito il 15.06.2001