Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

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Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Documenti • 18 Gennaio 2007

Sentenza 28 gennaio 2005, n.1822

Corte di Cassazione. Sezioni Unite.
Sentenza 28 gennaio 2005, n. 1822.

La Corte Suprema di Cassazione
Sezioni Unite

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. Ugo Riccardo PANEBIANCO – Presidente
Dott. Paolo GIULIANI – Consigliere
Dott. Sergio DEL CORE – Consigliere
Dott. Maria Cristina GIANCOLA – Consigliere
Dott. Luigi SALVATO – Relatore Consigliere

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

V.G.M., elettivamente domiciliata in ROMA VIALE GIULIO CESARE 109, presso l’avvocato LUCIANO D’ANDREA, che la rappresenta e difende, giusta procura speciale per Notaio Balbiani Giovanni Walter di Nizza
Monferrato, rep. 27913 del 26.2.03 – ricorrente

contro

R.M.L., elettivamente domiciliata in ROMA VIALE BRUNO BUOZZI 99, presso l’avvocato ANTONIO D’ALESSIO, che la rappresenta e difende, giusta procura a margine del controricorso – controricorrente –

contro

Procuratore Generale presso Corte d’Appello di Venezia; Procuratore Generale presso Cassazione – intimati –

avverso la sentenza n. 1629/02 della Corte d’Appello di Venezia, depositata il 15/10/02;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 01/12/2004 dal Consigliere Dott. Luigi SALVATO; udito per resistente, l’Avvocato D’ALESSIO che ha chiesto il rigetto del ricorso;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Carlo DESTRO che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto
G.M.V., con atto notificato il 26 gennaio 2002, conveniva in giudizio davanti alla Corte d’appello di Venezia M.L.R. esponendo che il 3 giugno 1972, nel Comune di Rovigo, aveva contratto con la convenuta matrimonio concordatario, dichiarato nullo con sentenza in data 25 novembre 1994 del Tribunale Ecclesiastico Regionale Ligure, confermata con sentenza del Tribunale ecclesiastico della Rota Romana e dichiarata esecutiva dal Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica con decreto del 29 marzo 2001. L’attore chiedeva, quindi, che fosse dichiarata l’efficacia, agli effetti civili, della pronuncia di nullità del matrimonio.
La convenuta, nel costituirsi in giudizio, si opponeva alla domanda, deducendo, tra l’altro, che la pronuncia di nullità era in contrasto con l’ordine pubblico italiano, in quanto mancava la prova che il suo rifiuto di avere figli fosse anteriore al matrimonio; in linea gradata, la convenuta chiedeva l’emissione di provvedimenti economici provvisori in suo favore, ai sensi dell’art. 8, legge n. 121 del 1985.
Instauratosi il contraddittorio con la costituzione di entrambe le parti ed intervenuto il P.M., che concludeva, deducendo che «nulla oppone», la Corte d’appello di Venezia, con sentenza depositata il 15 ottobre 2002, rigettava la domanda e condannava l’attore a pagare le spese del giudizio, osservando in motivazione che dagli atti del processo ecclesiastico non risultava che la R. avesse manifestato al coniuge, prima del matrimonio, la sua volontà di non avere figli e neppure che questo intento fosse conoscibile dal predetto e, conseguentemente, la sentenza del Tribunale ecclesiastico doveva ritenersi in contrasto con l’ordine pubblico.
Per la cassazione di questa sentenza ha proposto ricorso G.M.V., affidato a due motivi; ha resistito con controricorso M.L.R.. Il ricorrente e la controricorrente hanno depositato memoria difensiva ex art. 378, cod. proc. civ.

Diritto

1. – G.M.V., con il primo motivo di censura, denuncia, in riferimento allo «art. 360 n. 5 c.p.c., omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, in relazione all’art. 116 c.p.c.», deducendo che la Corte d’appello ha assunto quale premessa la necessità di accertare che egli fosse a conoscenza del rifiuto di avere figli da parte della moglie ed erroneamente ha ritenuto che ciò non risultava dalle sentenze dei giudici ecclesiastici. Infatti, in tal senso la Corte territoriale ha valorizzato un inciso della sentenza del Tribunale Regionale Ecclesiastico Ligure, nel quale si fa cenno alla «mancanza di testi con conoscenza prenuziale», senza considerare che, per l’ordinamento ecclesiastico, è sufficiente verificare l’esistenza della riserva mentale da parte di uno dei coniugi, essendo irrilevante la sua conoscibilità da parte dell’altro coniuge, che è invece circostanza che il giudice italiano è tenuto ad accertare. In ogni caso, le sentenze dei giudici ecclesiastici conterrebbero elementi dai quali risulta che la R. gli manifestò l’intenzione di non avere figli.
Secondo il ricorrente, le dichiarazioni rese dai testimoni sulla avvenuta manifestazione prenuziale da parte della R. della succitata intenzione sarebbero state ignorate dalla Corte d’appello. In particolare, rilevanti in tal senso sarebbero sia il riferimento contenuto nella pronuncia del Tribunale della Rota Romana alla significativa deposizione del testimone C.G. (trascritta nel ricorso), sia la stessa sentenza di primo grado, nella parte in cui precisa che «il matrimonio fu deciso a Bologna e sappiamo anche che la convenuta ha espresso le sue condizioni contro la prole proprio a Bologna prima delle nozze». Inoltre, senza alcuna motivazione, la Corte veneta ha disatteso le significative testimonianze rese da P.B. e D.F. (i cui brani salienti sono riportati nel ricorso), non considerando che la sentenza ecclesiastica di primo grado fa comunque riferimento a testi che avevano una conoscenza, sia pur postmatrimoniale, dell’intenzione della R. di non avere figli.

1.1. – Il ricorrente, con il secondo motivo, denuncia, in riferimento allo «art. 360 n. 3 c.p.c., violazione o falsa applicazione di norme di diritto, in relazione all’art. 797 c.p.c. come richiamato dalla l. 121/85, ed in relazione con gli artt. 65 e ss l. 218/95».
Ad avviso del Vensi la Corte d’appello ha ritenuto ostativa alla delibazione la circostanza che l’esclusione di uno dei bona matrimonii «non è stata dall’altro coniuge conosciuta o non è stata dallo stesso conoscibile con l’uso della normale diligenza». Orbene, anche condividendo questa premessa, l’errore che vizia la sentenza impugnata risiede nella circostanza che i giudici veneziani non hanno considerato che la domanda di delibazione è stata proposta dalla parte che non ha dato causa alla nullità del matrimonio, la cui buona fede è, però, tutelata qualora non sia stata essa ad agire per ottenere la delibazione della pronuncia ecclesiastica. In tal senso, secondo il ricorrente, si sarebbero espresse le Sezioni Unite civili, affermando, con la sentenza n. 6128 del 1985, che «l’interesse protetto dalle norme del diritto italiano che fanno applicazione del principio dell’affidamento è l’interesse di un soggetto a che certe situazioni producano effetti quando egli conosce (o erroneamente, ma incolpevolmente, ritiene esistenti) le condizioni di fatto necessarie per la produzione di quegli effetti».
Il coniuge che non accetta di conservare un vincolo che è soltanto una parvenza di matrimonio non corrispondente all’intimo volere dell’altro coniuge chiede la tutela di un diritto acquisito e la sua domanda non può essere contrastata con l’osservazione che egli, senza sua colpa, non conosceva la validità del vincolo, a meno di non ritenere che «il valore di ordine pubblico consista nella validità del vincolo».
Secondo il ricorrente, la sentenza delle Sezioni Unite civili n. 6128 del 1985, decidendo una fattispecie analoga a quella in esame, ha affermato che l’ordinamento tutela il soggetto che non ha dato luogo alla nullità, permettendogli di mantenere il vincolo, benché viziato, quando l’accertamento della nullità è stato chiesto dal coniuge che vi ha dato causa, nel caso in cui egli non conosceva la riserva mentale, né poteva conoscerla. Questa esigenza, invece, non sussiste qualora la parte tutelata non si opponga alla domanda di delibazione proposta da chi ha espresso una volontà contraria ai bona matrimonii, ovvero sia addirittura essa stessa a proporla.
Pertanto, conclude il ricorrente, «la tutela dell’ordine pubblico, ovvero della buona fede, non è oggettiva, ma acquista rilevanza solo quando il coniuge incolpevole esterna la sua opposizione e che il coniuge colpevole si avvalga della riserva unilaterale», sicché l’eventuale conferma della sentenza impugnata condurrebbe a gravare il coniuge incolpevole di una ingiusta sanzione, «consistente nel rimanere legato a vita ad un vincolo nullo per colpa dell’altro coniuge», in contrasto con il principio di tutela della buona fede, il quale impone di permettere al coniuge incolpevole di avvalersi degli effetti della riserva mentale apposta dall’altro coniuge all’atto della manifestazione del consenso al matrimonio.

2. – Il secondo motivo di censura, da esaminare per primo in quanto ha carattere logicamente e giuridicamente preliminare, è fondato e deve essere accolto.

2.1. – La quaestio iuris oggetto della pronuncia impugnata è stata in quest’ultima indicata con precisione.
La sentenza, dopo avere premesso che la domanda proposta da G.V. aveva ad oggetto la dichiarazione di efficacia nell’ordinamento italiano della sentenza ecclesiastica che ha dichiarato la nullità del matrimonio tra i coniugi G.V. e M.L.R. «per esclusione da parte della moglie di uno dei bona coniugali (quello relativo alla prole)», ha osservato che «questa Corte deve stabilire se questa esclusione sia stata manifestata all’altro coniuge prima della celebrazione dell’atto nuziale, o se comunque il V. non ne era venuto a conoscenza per sua grave negligenza».
La sentenza, all’esito della valutazione degli atti del processo ecclesiastico, ha escluso che G.M.V. aveva avuto conoscenza della “riserva” di M.L. R. e che la stessa fosse comunque conoscibile dal predetto, ed ha rigettato la domanda proposta dal primo, affermando che «sussiste contrasto con l’ordine pubblico nel “pronunciato ecclesiastico di nullità del matrimonio per esclusione unilaterale di un bonum (o principio essenziale) del matrimonio, in quanto tale volontà simulatoria non è stata dall’altro coniuge conosciuta o non è stata dallo stesso conoscibile con l’uso della norma diligenza».
Risulta dunque chiaro che la Corte d’appello di Venezia ha ritenuto che il limite dell’ordine pubblico impedisce la dichiarazione di esecutività della sentenza ecclesiastica qualora l’intentio contraria ad uno dei bona matrimonii, riferibile ad uno solo degli sposi, non sia stata conosciuta o conoscibile da parte dell’altro, anche se -come accaduto nella specie- la relativa domanda sia stata proposta da quest’ultimo, enunciando ed applicando in tal modo un principio non corretto, che non si sottrae alle censure svolte dal ricorrente.

2.1.1. – In riferimento al profilo che qui interessa, la questione della conformità all’ordine pubblico delle sentenze dei giudici ecclesiastici di nullità del matrimonio per c.d. “simulazione unilaterale” del consenso è stata affrontata e risolta dalle Sezioni unite civili di questa Corte con la sentenza 6 dicembre 1985, n. 6128, che ha compiutamente identificato i differenti casi ipotizzabili e la disciplina a ciascuno applicabile.
In particolare, la sentenza ha ricordato anzitutto che le stesse Sezioni unite civili (sentenza 1° ottobre 1982, n. 5026), in precedenza, avevano individuato il principio di ordine pubblico che costituisce il limite per il riconoscimento delle sentenze ecclesiastiche dichiarative della nullità del matrimonio per il motivo sopra indicato «nella tutela dell’affidamento e della buona fede incolpevoli», derivandone che esso «comporta necessariamente l’esame […] della posizione soggettiva tutelata da quel principio; posizione che (in quanto la sua indisponibilità non può trarsi semplicemente dalla disciplina inderogabile dell’istituto matrimoniale, dato che i due concetti di inderogabilità della disciplina e di indisponibilità dei diritti delle parti non necessariamente coincidono […]) può essere affidata al soggetto che ne è titolare, nel senso che egli può invocare o meno quella tutela».
Infatti, «l’interesse protetto dalle norme del diritto italiano che fanno applicazione del principio dell’affidamento è l’interesse di un soggetto a che certe situazioni producano effetti quando egli conosce (o erroneamente, ma incolpevolmente, ritiene esistenti) le condizioni di fatto necessarie per la produzione di quegli effetti» (Cass., SS.UU., n. 6128 del 1985).
La legge italiana, hanno ancora sottolineato le Sezioni unite, ha riconosciuto l’efficacia civile del matrimonio canonico, per effetto dell’esercizio di una facoltà di scelta del cittadino che implica la necessità di attribuire rilevanza a questa scelta, intesa come impegno di osservare i principi fondamentali di quell’ordinamento, nonché come aspettativa di ciascuno che anche l’altra parte dia peso e serietà alla scelta compiuta e rispetti le convinzioni del coniuge “osservante”. In particolare, ha puntualizzato la pronuncia, «in linea di principio, ciascuno dei coniugi, in quanto esprime un consenso valido alla stregua dell’ordinamento prescelto, confida che anche l’altro esprima un consenso valido ed acquisisce il diritto alla costituzione di un valido matrimonio. Egli non potrà esser tutelato (ed è esposto alla dichiarazione di nullità del vincolo anche agli effetti civili) se conosce o è in grado di conoscere che invece l’altra parte non esprime un consenso valido, per l’intentio contro l’essenza del matrimonio contratto. Se non versa in tale situazione, la tutela del diritto acquisito si può estrinsecare in una direzione diversa e speculare e cioè nella richiesta di invalidare il matrimonio, perché la volontà dell’altro coniuge non corrisponde all’essenza del matrimonio che il primo ha voluto contrarre».
La relativa richiesta costituisce infatti «l’altra faccia del suo diritto a conservare un matrimonio solo in quanto sia valido secondo le sue convinzioni, perché la serietà della scelta compiuta è un presupposto di ogni discorso relativo alla tutela dei valori morali» (Cass., SS.UU., n. 6128 del 1985).
Il valore di ordine pubblico -ha precisato la sentenza delle Sezioni unite- non consiste nella validità del vincolo, il quale non costituisce un valore in sé, ma la pretesa alla sua validità costituisce un valore ed è protetta da un principio di ordine pubblico soltanto qualora il principio dell’affidamento incolpevole si colleghi con l’interesse del coniuge in buona fede alla persistenza del vincolo stesso. Il soggetto che agisce per la nullità, rinunciando a far valere l’inopponibilità dell’altrui riserva mentale, esercita, quindi, un mezzo di difesa attribuitogli nel suo interesse personale, poggiato sulla sua coscienza religiosa, e «pone al giudice italiano una richiesta non contrastante con l’ordine pubblico, in quanto è conforme al rispetto della libertà individuale, e cioè ad un valore superiore all’interesse obiettivo ed extraindividuale a mantenere in vita un matrimonio invalido».
La sentenza n. 6128 del 1985 ha quindi esemplificato la tipologia delle fattispecie, così individuandole:
a) «il primo caso è quello della nullità pronunciata per l’intentio contraria ad uno dei bona matrimonii riferibile ad uno solo degli sposi, ma conosciuta o conoscibile dall’altro. La delibazione è sempre ammessa» e «pertanto non è necessario dare rilievo all’iniziativa della parte sia in sede canonica che civile, dato che entrambe sapevano (o potevano sapere) fin dall’origine di contrarre un matrimonio nullo»;
b) «il secondo caso è quello della nullità pronunciata per la causa di cui supra non conosciuta né conoscibile da una parte» nel quale, dovendo aversi riguardo, per quanto precisato, «al rispetto della libertà dell’altro soggetto» sono ipotizzabili le seguenti ipotesi:
1) «se il soggetto che ha manifestato una volontà valida si oppone (anche soltanto nella sede della delibazione, per i motivi che già si sono enunciati) si deve applicare il principio di ordine pubblico della protezione del suo affidamento nella validità del vincolo» e «la delibazione non è ammessa»;
2) «se il soggetto che ha avuto l’intentio contraria ai bona matrimonii si oppone alla delibazione, a cui invece l’altra parte, nelle condizioni di questa ipotesi sub b), aderisce, non potrà darsi rilievo all’opposizione del primo, perché egli non può invocare un affidamento che, sotto entrambi gli aspetti qui sottolineati, riguarda la controparte». E ciò in quanto «l’ordinamento non può proteggere il soggetto che ha emesso una dichiarazione viziata da riserva mentale non manifestata né conoscibile e non può attribuirgli la tutela di quell’affidamento altrui che proprio lui ha leso a suo tempo: la delibazione è ammessa»;
3) «se infine […] la parte che ha manifestato una volontà valida non si oppone (o richiede, secondo il nuovo ordinamento concordatario) alla delibazione della sentenza di nullità basata sull’intentio contra bona matrimonii dell’altra parte, la pronuncia canonica non viola in concreto l’ordine pubblico» (ed è questo appunto il caso deciso dalle Sezioni unite nella sentenza n. 6128 del 1985).

2.1.2. – Il Collegio ritiene di dovere fare proprio il principio enunciato dalle Sezioni Unite che, successivamente, con orientamento costante, è stato più volte affermato da questa Corte, ribadendo che «nell’ipotesi in cui il coniuge che ignorava il vizio del consenso dell’altro proponga egli stesso la domanda di esecutorietà, allegando la simulazione unilaterale, va esclusa la ricorrenza di motivi di ordine pubblico ostativi alla delibazione della relativa sentenza ecclesiastica, non potendo ricondursi nei rigorosi limiti dell’ordine pubblico anche la tutela della buona fede del coniuge che detta tutela respinga, invocandola anzi in senso contrario» (Cass., n. 5548 del 1995, che ha appunto deciso un caso identico a quello qui un esame -nel quale la moglie aveva proposto domanda di delibazione della sentenza ecclesiastica dichiarativa della nullità del matrimonio concordatario per esclusione del bonus prolis da parte del marito, volontà non manifestata ad alcuno prima del matrimonio- cassando la sentenza di merito, che aveva rigettato la domanda ritenendo la pronuncia ecclesiatica contraria all’ordine pubblico, sottolineando come «evidente l’errore della sentenza impugnata, per aver negato rilevanza alla circostanza che la domanda di dichiarazione di efficacia della sentenza ecclesiastica era stata proposta dalla parte che aveva manifestato una valida volontà al matrimonio»; in precedenza, negli stessi termini, ribadendo l’inesistenza di ostacoli alla delibazione, quando il coniuge, che ignorava, o non poteva conoscere, il vizio del consenso dell’altro coniuge, chieda la declaratoria di esecutività della sentenza ecclesiastica da parte della corte d’appello, ovvero non si opponga a tale declaratoria, si sono pronunciate Cass., n. 142 del 1987; Cass., n. 3057 del 1986; n. 1202 del 1986).
Inoltre, anche di recente, è stato ribadito che il bene tutelato è appunto quello della buona fede e dell’affidamento incolpevole (Cass., n. 11137 del 2003; all’indirizzo è riconducibile anche Cass., n. 4457 del 2001, in quanto la sentenza ha ritenuto incensurabile la valutazione del giudice del merito, il quale aveva escluso che il mero silenzio, costituito dalla contumacia del coniuge al quale non è ascrivibile la riserva mentale, fosse equiparabile alla mancata opposizione o alla richiesta di delibazione della sentenza, così dimostrando di avere fatto applicazione proprio della regola enunciata dalla sentenza n. 6128 del 1985).
Le argomentazioni svolte nella sentenza e quelle esposte dalla controricorrente non offrono ragioni che possano giustificare una rimeditazione dell’orientamento consolidatosi a partire dalla sentenza n. 6128 del 1985.
In particolare, la pronuncia impugnata non affronta ex professo il profilo in esame, rilevante al fine della decisione, limitandosi a richiamare sentenze di questa Corte che non confortano la conclusione raggiunta, in quanto sono invece anch’esse riconducibili all’orientamento al quale questo Collegio aderisce e non sono affatto riferibili alla fattispecie oggetto della controversia.
Le sentenze n. 2138 del 1996 e n. 2330 del 1994 hanno, infatti, escluso l’ammissibilità della delibazione in due casi nei quali la riserva mentale non era conosciuta, né conoscibile, da parte del coniuge al quale la stessa non era ascrivibile e che, però, si era addirittura opposto al riconoscimento dell’efficacia del provvedimento reso dai giudici ecclesiastici. E questo stesso caso è stato affrontato dalle sentenze n. 4875 del 1988 e n. 5261 del 1984, le quali hanno confermato un principio pure pacifico, che questo Collegio condivide, secondo il quale osta alla delibazione la mancata prova della conoscenza o conoscibilità dell’esclusione da parte di uno dei coniugi di uno dei bona matrimonii, qualora il coniuge al quale questa intentio non sia ascrivibile non proponga o si opponga alla domanda di delibazione ne impedisce l’accoglimento. Il richiamo della sentenza delle Sezioni unite n. 5026 del 1982 non è pertinente, dato che -come ha precisato la sentenza delle stesse Sezioni unite n. 6128 del 1985- essa non si è occupata del «problema ulteriore» che concerne il caso in cui il coniuge che ignora (o non poteva conoscere) il vizio del consenso dell’altro e che ha espresso validamente il consenso matrimoniale proponga la domanda, ovvero non si opponga, che è stato invece risolto dalla più recente pronuncia.
Relativamente alle deduzioni della controricorrente, va invece osservato che non risulta pertinente il richiamo della sentenza n. 10143 del 2002, concernente una fattispecie nella quale il giudice del merito aveva delibato la sentenza ecclesiastica di nullità, senza tuttavia motivare in ordine alla conoscenza ed alla conoscibilità della riserva mentale da parte del coniuge che non l’aveva formulata e si era opposto proprio contestando conoscenza e conoscibilità della medesima, che è quindi assolutamente diversa da quella qui in esame. Neppure corretto e pertinente è, altresì, il riferimento alla sentenza delle Sezioni unite n. 4700 del 1988, della quale la parte sottolinea ed enfatizza che è successiva alla sentenza delle stesse Sezioni Unite n. 6128 del 1985. La pronuncia del 1988 ha, infatti, avuto ad oggetto la delibazione della sentenza ecclesiastica di nullità del matrimonio concordatario per esclusione unilaterale di uno dei bona matrimonii -peraltro anche manifestata all’altro coniuge- ritenuta ammissibile anche se la nullità sia stata dichiarata su domanda proposta dopo il decorso di un anno dalla celebrazione, ovvero dopo il verificarsi della convivenza dei coniugi successivamente alla celebrazione stessa, in difformità della disciplina stabilita dall’art. 123, cod. civ. Dunque, questa sentenza non ha affatto affrontato la questione già decisa in precedenza dalle Sezioni unite e non affatto enunciato un principio diverso da quello contenuto nella più remota pronuncia.
Da ultimo, neppure conferente è il richiamo, contenuto nella memoria difensiva, alla sentenza n. 17535 del 2003, che ha deciso un caso nel quale la sentenza ecclesiastica aveva ritenuto la nullità del matrimonio per difetto di consenso ex parte viri, ma la domanda di delibazione era stata proposta proprio da quest’ultimo ed alla stessa si era opposta la moglie, contestando conoscenza e conoscibilità della intentio, che, evidentemente, è assolutamente diverso da quello oggetto della presente fattispecie, non conforta in alcun modo la tesi della R. e non può essere invocata a sostegno della pronuncia della Corte territoriale.
In definitiva, il principio che questo Collegio ritiene di affermare si è consolidato, nella giurisprudenza di questa Corte, a partire dalla sentenza delle Sezioni unite n. 6128 del 1985 e, in mancanza di contrarie pronunce e di argomentazioni che possano indurre alla sua rimeditazione, esso deve essere qui ribadito.

2.1.3. – In applicazione dei principi sopra riassunti e condivisi dal Collegio, poiché, secondo quanto risulta dalla sentenza impugnata, i giudici ecclesiastici hanno dichiarato la nullità del matrimonio «per esclusione da parte della moglie di uno dei bona coniugali» e la domanda di delibazione è stata, invece, proposta da G.V., la decisione deve tenere conto della circostanza che l’ordinamento non può proteggere il soggetto che ha emesso una manifestazione viziata, essendo quindi irrilevante la conoscenza o la conoscibilità della riserva mentale da parte del coniuge al quale non è ascrivibile, se sia questi a proporre la domanda.
Pertanto, è evidente l’errore in cui è incorsa la Corte territoriale, negando rilevanza alla circostanza che nel caso deciso la domanda di dichiarazione di efficacia della sentenza ecclesiastica era stata proposta dalla parte che aveva manifestato una valida volontà al matrimonio. Peraltro, dalla sentenza della Corte distrettuale -in particolare, dalle conclusioni trascritte nell’epigrafe- risulta che M.L.R. ha chiesto, «in via subordinata», «disporsi provvedimenti economici provvisori a favore della convenuta, con conferma dell’assegno attualmente in essere, ai sensi dell’art. 8 della legge 121/1985», domanda, ovviamente, non decisa dalla sentenza impugnata, in quanto è stata accolta la tesi difensiva svolta in linea preliminare e principale. I provvedimenti economici previsti dall’art. 8, ult. cit., come da ultimo ha chiarito questa Corte, hanno «funzione ‘strumentale’ e natura ‘anticipatoria», sono «subordinati all’accertamento, da parte della Corte di merito, in via di delibazione sommaria, dei relativi presupposti» e la statuizione resa sul punto non è impugnabile con ricorso per cassazione, neppure ai sensi dell’art. 111, Cost., (Cass., n. 17535 del 2003), sicché la sua decisione è riservata al giudice del merito, con conseguente necessità di cassare la pronuncia impugnata, disponendo il rinvio della causa ai sensi dell’art. 383, primo comma, cod. proc. civ.
L’accoglimento del secondo motivo di censura comporta l’assorbimento del primo motivo e, conseguentemente, la sentenza impugnata deve essere cassata e la causa rinviata ad altro giudice, che si designa nella Corte di appello di Venezia, in diversa composizione, che applicherà il seguente principio di diritto: «La dichiarazione di esecutività nell’ordinamento italiano della sentenza ecclesiastica che dichiara la nullità del matrimonio concordatario, a causa dell’esclusione da parte di uno dei coniugi di uno dei bona matrimonii, trova ostacolo nell’ordine pubblico, qualora detta esclusione sia rimasta nella sfera psichica del suo autore e non sia stata manifestata, ovvero conosciuta o conoscibile dall’altro coniuge, in quanto si pone in contrasto con l’inderogabile principio della tutela della buona fede e dell’affidamento incolpevole, il quale è tuttavia ricollegato ad un valore individuale che appartiene alla sfera di disponibilità del soggetto ed è preordinato a tutelare questo valore contro gli ingiusti attacchi esterni. Pertanto, al suo titolare va riconosciuto il diritto di scegliere la non conservazione del rapporto viziato per fatto dell’altra parte e, conseguentemente, non sussiste ostacolo alla delibazione della sentenza nel caso in cui il coniuge che ignorava, o non poteva conoscere, il vizio del consenso dell’altro coniuge chieda la dichiarazione di esecutività della sentenza ecclesiastica da parte della Corte d’appello».
Il giudice del rinvio pronuncerà anche sulle spese di questo giudizio di cassazione.

P.Q.M

La Corte, accoglie il secondo motivo di ricorso, dichiara assorbito il primo motivo, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese di questo giudizio di legittimità, alla Corte di appello di Venezia, in diversa composizione.