Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

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Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Documenti • 25 Gennaio 2006

Sentenza 18 gennaio 2006, n.1862

Corte di Cassazione. Seconda Sezione Penale. Sentenza 18 gennaio 2006, n. 1862: “Guaritori ed esercizio abusivo della professione medica”.

Presidente Nardi – Relatore Pagano

(Omissis)

Fatto

L. F. e Z. F. ricorrono avverso la sentenza sopra indicata che ha accertato la loro responsabilità in ordine al delitto continuato di concorso in truffa aggravata ed esercizio abusivo della professione medica (articoli 81, 110, 61 n. 7, 640 comma 2, 348 Cp). L. è stato condannato alla pena di anni 1 mesi 8 di reclusione ed euro 600 di multa e Z. alla pena di anni 1 mesi 2 di reclusione ed euro 350 di multa.
I giudici di merito hanno accertato che il L., svolgendo attività di mago guaritore con somministrazione di sostanze per guarigioni da presunte malattie, e lo Z., effettuando attività di suo aiutante ed assistente, si sono fatte consegnare varie somme da più persone che si sono loro rivolte.
L. deduce la violazione dell’articolo 550 Cpp per nullità del decreto di citazione emesso direttamente dal Pm e non anche con la procedura di cui all’articolo 416 e ss. Cpp, essendo il reato addebitato punito con pena edittale superiore nel massimo a 4 anni di reclusione. Rileva che decreto di citazione è stato notificato ad esso prevenuto dopo l’entrata in vigore della legge 479/99, nulla rilevando che fosse stato emesso prima di detta data. Con altro motivo deduce l’insussistenza del delitto di truffa non essendovi stata coercizione o inganno in quanto “le persone coinvolte hanno scelto liberamente di affidarsi a prestazioni ipoteticamente soprannaturali” consapevoli dell’effetto “aleatorio o meramente placebo della prestazione” liberamente richiesta senza indurre alcuno in errore. Rileva che la fattispecie potrebbe essere compresa nella previsione normativa di cui all’articolo 661 Cp che sanzione con pena contravvenzionale l’abuso della credulità popolare. Eccepisce inoltre l’insussistenza del reato di esercizio abusivo della professione medica in quanto l’attività di mago guaritore è tipica ed è effettuata senza somministrazione di medicinali in quanto la condotta è consistita in presunti sortilegi e suggestioni di carattere metafisico senza esercizio di attività medica. Deduce che nella fattispecie difetta l’elemento materiale del reato non avendo l’attività dell’agente avuto rilevanza esterna e non essendosi esplicata in attività riferibili alla professione medica. Lamenta il difetto di motivazione in ordine alla colpevolezza e la grave entità della sanzione non proporzionata al mutamento di vita di esso ricorrente ed al suo compiuto recupero sociale. Rileva che il giudice di merito doveva considerare l’eventuale continuazione con altra sentenza richiamata da un provvedimento di cumulo di pene presente negli atti del procedimento.
Z. deduce la violazione dell’articolo 640 Cp rilevando che il suo accertato ruolo marginale esclude il delitto, essendo il L. l’unico interlocutore con le persone che si rivolgevano a lui e lo retribuivano direttamente. Eccepisce di non avere diagnosticato malattie e somministrato medicamenti.

Diritto

Il ricorso relativo alla formalità della citazione a giudizio è infondato in quanto detta citazione è stata disposta con decreto del 21 dicembre 1998, precedentemente all’entrata in vigore della legge 479/99. Nella fattispecie, come già statuito da questa Corte di legittimità, in assenza di specifica disciplina transitoria, trova applicazione il principio tempus regit actum con la conseguenza che deve aversi riguardo al momento in cui è stato emesso il decreto di citazione diretta a giudizio, il quale, in quanto legittimamente formato secondo la previdente disciplina e nel periodo in cui essa era applicabile, ha già prodotto l’effetto della vocatio in ius, con il conseguente valido ed irreversibile trapasso alla fase ulteriore del dibattimento. Si tratta infatti di successione nel tempo di norme aventi natura esclusivamente processuale, soggette al principio tempus regit actum e a quello della irretroattività della legge stabilito nell’articolo 11 comma 1 delle disposizioni sulla legge in generale, disposizione nella specie non derogata stante l’assenza di una apposita norma transitoria (Cassazione, Sezione quarta 4724/00 ud. 25 ottobre 2000, rv 219260; 4313/00, ud. 22 settembre 2000, rv 217761).
Deve essere respinto anche il ricorso relativo alla insussistenza del delitto di truffa non rientrando la fattispecie, così come accertata dal giudice del merito, nel minore fatto contravvenzionale di cui all’articolo 661 Cp (abuso della credulità popolare), il cui elemento costitutivo e differenziato è costituito dal turbamento dell’ordine pubblico e da una azione rivolta nei confronti di un numero indeterminato di persone, come testualmente prescritto dal termine “pubblicamente”, il cui contenuto è indicato nell’articolo 266 comma 4 Cp. Il fatto, così come ricostruito dalla Corte territoriale è correttamente compreso nel delitto di truffa aggravata, come già statuito da questa corte in analoga fattispecie nei confronti di colui che, sfruttando la notorietà creatasi di mago o di guaritore, ingeneri nelle persone offese il pericolo immaginario dell’avveramento di gravi malattie e faccia credere alle stesse di poterle guarire o di poterle preservare e le induca in errore, compiendo asseriti esorcismi o pratiche magiche o somministrando e prescrivendo sostanze e si procura così, nel richiedere e accettare da quelle, un ingiusto profitto con danno delle stesse (Cassazione, Sezione seconda, 1910/05, ud. 230694/04; Sezione terza 5265/96, ud. 24 aprile 1996 rv 205106).
È invece fondato il ricorso alla sussistenza del ritenuto delitto di esercizio abusivo della professione medica (articolo 348 Cp) non avendo i ricorrenti, come in fatto accertato, posto in essere comportamenti di esclusiva pertinenza e competenza del medico. L’articolo 348 Cp (abusivo esercizio di una professione) è norma penale in bianco, che presuppone l’esistenza di norme giuridiche diverse, qualificanti una determinata attività professionale, le quali prescrivono una speciale abilitazione dello Stato ed impongono l’iscrizione in uno specifico albo, in tal modo configurano le cosiddette professioni protette (Cassazione, Sezione sesta, 1632/97, ud. 6 dicembre 1996, rv 208185; 9089/95, ud. 3 aprile 1995 rv 202273). Il delitto presuppone quindi l’accertamento di una condotta costituente espletamento di professione medica; il reato sussiste solo nei casi in cui il prevenuto abbia posto in essere condotte proprie dei professionisti abilitati, non essendo sufficiente una mera assimilazione analogica tra le finalità perseguite da soggetti che tendano al conseguimento di benessere fisico o psicologico con attività metafisiche non curative del corpo e della psiche senza con ciò porre in essere attività medica. Questa è genericamente definibile come una professione che si estrinseca nella individuazione e nella diagnosi di patologie con prescrizione di cure e rimedi (Cassazione, Sezione quarta 4724/00 ud. 25 ottobre 2000, rv 219260) ed è una attività dalla quale sono escluse mere pratiche che hanno riferimento a supposti poteri paranormali esclusivi di guaritori che accampino personali doti connaturate alla propria persona che influenzano ed agiscano in un supposto campo metafisico e non fisico del soggetto. La professione medica per le sue caratteristiche di scientificità è praticabile e controllabile da qualunque soggetto munito di idoneo titolo professionale e non è riservata, per presunti doti personali metafisiche e metascientifiche, a soggetti che pretendono di possedere ed usare poteri superiori alla norma per il conseguimento di benessere fisico (v. Cassazione, Sezione sesta 20 ottobre 1995, ric. Ottobre, dep. 5 aprile 1996 in Cassazione penale 1817/96, sentenza che ha escluso il delitto con riferimento alla pratica della pranoterapia). Non si può conclusivamente affermare che il mago nel somministrare la pozione (che non ha natura di medicamento) per allontanare un male (che non è definita patologia) ha esercitato la professione medica che ha invece fondamenti scientifici ed è riservata a professioni iscritti in apposito albo.
Il ricorso del L. relativo alla determinazione della pena è manifestamente infondato in quanto la quantificazione della pena risponde a criteri discrezionali, il cui esercizio deve essere motivato nei soli limiti idonei a far emergere in misura sufficiente il pensiero del giudice circa l’adeguamento della sanzione alla gravità effettiva del reato ed alla personalità del prevenuto (Cassazione, Sezione prima 6992/92 ud. 30 gennaio 1992, rv 190645). Trattasi di giudizio di fatto sottratto al controllo di legittimità, giudizio conseguente alla valutazione della concreta fattispecie che nel caso in esame il giudice di appello ha compiutamente e logicamente effettuato avendo riferimento ai gravi precedenti penali ed alla entità dei fatti. Parimenti inammissibile il ricorso relativo alla continuazione con altra decisione non richiesta con i motivi di appello e genericamente proposta senza allegare al giudice del merito la sentenza dalla quale riscontrare gli elementi induttivi della preesistenza dell’unicità del disegno criminoso (Cassazione, Sezione seconda 40342/03, ud. 13 maggio 2003, rv 227172).
Il ricorso dello Z. relativo all’accertamento di concorso nella responsabilità è infondato in quanto il contributo concorsuale assume rilevanza non solo quando abbia efficacia causale, ponendosi come condizione dell’evento lesivo, ma anche quando assuma la forma di un contributo agevolatore, e cioè quando il reato, senza la condotta di agevolazione, sarebbe ugualmente commesso ma con maggiori incertezze di riuscita o difficoltà. Ne deriva che, a tal fine, è sufficiente che la condotta di partecipazione si manifesti in un comportamento esteriore che arrechi un contributo apprezzabile alla commissione del reato, mediante il rafforzamento del proposito criminoso o l’agevolazione dell’opera degli altri concorrenti e che il partecipe, per effetto della sua condotta, idonea a facilitarne l’esecuzione, abbia aumentato la possibilità della produzione del reato, perché in forza del rapporto associativo diventano sue anche le condotte degli altri concorrenti (Cassazione, Sezione quinta, 21082/04 ud. 13 aprile 2004 rv 229200). Nella fattispecie corretto è il giudizio di colpevolezza per l’accertamento dell’attività di collaborazione con il L. e i diretti rapporti con le parti offese.
Peraltro anche nei confronti dello Z. la sentenza deve essere annullata con riferimento all’affermazione di colpevolezza per delitto di cui all’articolo 348 Cp il cui aumento in continuazione (non determinato specificamente per questo reato dal giudice di merito che sulla pena base ha operato un aumento anche per un ultore episodio di truffa) deve essere eliminato con nuova determinazione della sanzione, fermo restando il passaggio in giudicato dei restanti punti della decisione confermati in questo giudizio di legittimità (Cassazione, Su 4904/97, ud. 26 marzo 1997, rv 207640).

PQM

Annulla la sentenza impugnata limitatamente al reato di cui all’articolo 348 Cp perché il fatto non sussiste. Rinvia ad altra sezione della Corte di appello di Bari per la determinazione della pena.