Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

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Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Documenti • 19 Ottobre 2005

Sentenza 04 febbraio 2005, n.2243

Corte di Cassazione. Sezione Civile. Sentenza 4 febbraio 20005, n. 2243: “Nomine dei docenti di religione cattolica: autonomia di poteri dell’Ordinario diocesano in relazione alle esigenze di continuità didattica dell’insegnamento”.

(Omissis)

Svolgimento del processo

Con ricorso depositato in data 23 agosto 1999 davanti al Tribunale di Campobasso, R. S. esponeva di avere impartito sin dall’anno scolastico 1987/1988 l’insegnamento della religione cattolica su designazione dell’ordinario diocesano della curia Vescovile di Trivento. Ogni anno detta Curia disponeva di una graduatoria degli insegnanti di religione e sino all’anno 1991/1992 essa si era sempre classificata tra il 4^ ed il 5^ posto della stessa. Per prassi consolidata sino all’anno scolastico 1997/1998 i capi dell’istituto comunicavano alla Curia il numero di insegnamenti disponibili ed il numero degli insegnanti richiesti, e questi ultimi venivano interpellati in base all’ordine della graduatoria. Nel predetto anno scolastico l’insegnante prima in graduatoria – M. G. P. – aveva rinunziato all’incarico, così determinando la vacanza delposto presso la scuola elementare di Trivento-centro, per cui essa ricorrente era stata interpellata per ricoprire il posto resosi vacante, dando la sua disponibilità. Successivamente le era stato comunicato che le ore della P. erano state assegnate a completamento cattedra ad altri insegnanti della scuola di Trivento, collocati dopo di essa nella graduatoria della Curia. Nel successivo anno scolastico 1998/1999 le ore venivano confermate ai predetti insegnanti ed essa non era stata più interpellata ma anzi si era vista costretta a scegliere – addirittura dopo la scelta di altre colleghe, che la seguivano in graduatoria e dopo l’apertura delle scuole – le sedi di Frosolone (otto ore), Civitanova del Sannio (tre ore) e Bagnoli del Trigno (due ore). Per tale procedura, seguita in violazione della prassi sempre adottata sulla scorta della normativa applicabile, aveva subito numerosi ed ingenti danni economici, consistenti nelle spese di viaggio sopportate e nelle differenzeretributive che avrebbe riscosso se avesse ottenuto la titolarità di una cattedra completa.
Tutto ciò premesso, R. S. chiedeva il riconoscimento del proprio diritto a ricoprire la cattedra completa di religione presso la scuola elementare di Trivento-centro per l’anno 1998/1999, la declaratoria dell’illegittimità delle nomine degli altri insegnanti scelti per ricoprire la predetta cattedra, nonchè la condanna dell’amministrazione scolastica al risarcimento dei danni patrimoniali ed al pagamento delle differenze retributive, il tutto con vittoria delle spese di lite.
Dopo la costituzione del Ministero della Pubblica istruzione, il Tribunale di Campobasso, in composizione monocratica ed in funzione di giudice del lavoro, con ordinanza del 1 marzo 2000 disponeva l’integrazione del contraddittorio nei confronti dell’OrdinarioDiocesano di Trivento, che non si costituiva. Dopo l’espletamento della prova per testi, lo stesso giudice, con sentenza del 3 maggio 2001, accoglieva la domanda della S. e condannava il Ministero al pagamento a suo favore della somma di lire 12 milioni oltre interessi e rivalutazione monetaria.
A seguito di gravame del Ministero, la Corte d’appello di Campobasso con sentenza del 28 maggio 2002 dichiarava la contumacia dell’Ordinario Diocesano di Trivento, accoglieva l’appello e per l’effetto, in riforma dell’impugnata sentenza, rigettava la domanda proposta da R. S. e dichiarava integralmente compensate tra le parti le spese del doppio grado di giudizio. Nel pervenire a tale conclusione la Corte territoriale, dopo avere evidenziato che nonostante la regolare notifica dell’atto di appello l’Ordinario diocesano non si era costituito, osservava che nella procedura di nomina degli insegnanti di religione è duplice il ruolo del suddetto Ordinario, perchè lo stesso deve dapprima emettere il giudizio di idoneità dei singoli insegnanti affinchè gli stessi possano assumere gli incarichi ordinari di docenza e di poi, all’inizio di ogni anno scolastico, segnalare all’amministrazione scolastica – per le sedi e le cattedre da quest’ultima indicate – i nominativi dei singoli insegnanti.
Pertanto, per l’assegnazione alla S. della cattedra dalla stessa rivendicata erano necessari due presupposti: permanenza del giudizio di idoneità (tacita permanenza nel caso di non revoca) e designazione, da parte della Curia, della sede specificamente indicata dall’amministrazione scolastica. Orbene, era nel caso di specie mancato il secondo presupposto in quanto, in riscontro alla nota del 29 settembre 1998 della Direzione didattica di Trivento (nella quale erano state indicate le cattedre e le ore di ciascuna diesse per le quali doveva nominarsi l’insegnante di religione), l’ordinario diocesano aveva risposto di volere riconfermare i nominativi già inviati in precedenza, nelle le stesse cattedre e con le stesse ore dell’anno precedente, per “motivi di continuità didattica”. In pratica erano state segnalate insegnanti diverse dalla Scarano e, precisamente, le stesse alle quali la medesima cattedra era stata assegnata già nel precedente anno scolastico e cioè, per la cattedra di Trivento centro. B.A. a copertura di 10 ore nonchè D. B. N. a copertura delle restanti 10 ore, il tutto nel pieno e legittimo esercizio del potere spettante all’ordinario diocesano.
In particolare la Direzione didattica aveva segnalato la cattedra di Trivento-centro come cattedra completa di 20 ore, mentre l’ordinario diocesano aveva ritenuto di dovere spezzare la cattedra in due raggruppamenti di 10 ore ciascuno. Conseguiva da tutto ciò che alcuna pretesa risarcitoria poteva essere avanzata nei confronti del Ministero della Pubblica Istruzione che in relazione alla ripartizione dei ruoli istituzionali con l’autorità ecclesiastica – aveva tenuto un comportamento pienamente conforme alla disciplina legislativa in materia.
Avverso tale sentenza R. S. propone ricorso per Cassazione, affidato a tre motivi.
Resiste con controricorso il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca. Non si è costituito l’ordinario diocesano di Trivento.

Motivi della decisione

1. Con il primo motivo la ricorrente denunzia violazione e falsa applicazione dell’art. 7 e dell’art. 97 Cost nonchè dell’art. 1 della legge 25 marzo 1985 n. 121. In particolare lamenta che il giudice d’appello, dopo avere riconosciuto all’ordinario diocesano “un duplice ruolo” (quello di emettere il giudizio di idoneità dei singoli insegnanti e, quindi, all’inizio di ogni anno scolastico, segnalare all’amministrazione scolastica – per le sedi e le cattedre da quest’ultima indicate – i nominativi dei singoli insegnanti), aveva poi “stravolto” le funzioni assegnate per legge e per prassi amministrativa all’ordinario, attribuendogli compiti (di formazione di raggruppamenti orari con facoltà di sdoppiare la cattedra formata dalla scuola, di assegnare le ore, di disattendere le richieste dell’autorità scolastica e di sottrarsi al rispetto di una prassi amministrativa consolidata, impedendo così il corretto formarsi dell’intesa con la scuola), che nè l’ordinamento nè le norme concordatarie gli attribuiscono, finendo così per dare una erroneainterpretazione anche dell’art. 7 della Costituzione e dell’art. 1 della citata legge 121/1985. Lamenta ancora la ricorrente che, non tenendo conto del disposto dell’art. 97 Cost., la Corte d’appello aveva supervalutato lo spazio di autonomia, legislativamente attribuita dalla legge alla Chiesa nell’esercizio della designazione degli insegnanti di religione cattolica, riconoscendo all’ordinario il potere di fare riferimento alla esigenza di “continuità didattica” per confermare per l’anno scolastico 1988-1999 le ore e le modalità di insegnamento della cattedra di Trivento-centro, con una condotta che aveva determinato, come denunziato dalla stessa scuola,l’inconveniente dello “spezzettamento della cattedra”, con “problemi di tipo organizzativo e didattico” di cui si auspicava il superamento. Una interpretazione della normativa, come quella seguita dai giudici del gravame, avrebbe portato ad un acritico recepimento di atti autorizzativi dell’Autorità ecclesiastica, palesemente abusivi e privi delle fondamentali caratteristiche che l’ordinamento riconduce all’atto amministrativo, con conseguente ed automatico giudizio di non conformità della normativa medesima ai principi costituzionali. Con il secondo motivo del ricorso la ricorrente denunzia violazione e falsa applicazione di prassi consolidata e di norme di diritto, erronea interpretazione giuridica dell’art. 2.5 del d.p.r. 16 dicembre 1985 n. 751 (esecuzione dell’intesa tra autorità scolastica italiana e conferenza episcopale italiana per l’insegnamento della religione cattolica nelle scuole pubbliche), delpunto 5 del protocollo addizionale alla 1. 25 marzo 1981 n. 12 (ratifica e esecuzione del concordato), dell’art. 309, 2 comma, d.lgs. 297/94, dell’art. 47 del c.c.n.l. applicabile e della circolare del Ministero della Pubblica Istruzione n. 211/86, nonchè contraddittorietà della motivazione su un punto decisivo delle controversia. Precisa la ricorrente che la normativa regolante i rapporti tra la Chiesa cattolica e lo stato italiano in materia di insegnamento religioso nelle scuole pubbliche è volta a favorire l’intesa tra le parti. Nel caso di specie detta intesa si era concretizzata nella prassi in base alla quale nella scuola di Trivento la prima aspirante nella graduatoria della Curia aveva sempre ottenuto l’intera cattedra, sicchè l’avere violato tale prassi da parte dell’ordinario diocesano solo per la S. nonpoteva, contrariamente a quanto sostenuto dal giudice d’appello, indurre l’amministrazione scolastica a rifiutare l’applicazione, per l’anno 1998/1999, di essa ricorrente alla richiesta cattedra per complessive venti ore. La scuola, nel rifiutare di accogliere la richiesta dell’ordinario diocesano, che finiva per posporre essa Scarano ad altre colleghe che la seguivano in graduatoria, non avrebbe poi in alcun modo sindacato il giudizio di idoneità o meno dell’insegnante (di esclusiva competenza dell’Ordinario) perchè, per evitare che le nomine risultassero inficiate da una inevitabile illegittimità, la suddetta scuola, pur rimanendo nell’ambito della propria autonomia ordinamentale, avrebbe dovuto rifiutare l’intesa illegittimamente impostale.
Con il terzo motivo la ricorrente deduce violazione di prassi consolidata ed, ancora, omessa ed insufficiente motivazione su unpunto decisivo della controversia. Ribadendo in parte quanto già esposto nelle precedenti censure, la ricorrente lamenta l’insufficienza logica della impugnata sentenza per avere ignorato totalmente l’esistenza della prassi amministrativa seguita (interpello preventivo degli insegnanti con consequenziale interpello della S. a ricoprire la cattedra nella scuola di Trivento-centro a seguito della rinunzia della P.), della graduatoria degli aspiranti per l’insegnamento della religione cattolica e del primo posto che in essa la S. ricopriva dopo la rinuncia della P. Fatti tutti questi che, tenuti in considerazione dal primo giudice, erano stati del tutto ingiustificatamente trascurati in sede di gravame.
I tre motivi di ricorso, da esaminarsi congiuntamente in ragione della interdipendenza sul piano logico-giuridico della tematiche da affrontare, vanno rigettati perchè privi di fondamento.

2. Al fini di un ordinato iter motivazionale appare opportuno premettere il quadro normativo sulla cui base va risolta la controversia in esame.
2.1. E’ noto per quanto riguarda l’insegnamento della religione cattolica nelle scuole pubbliche, che lo Stato si è impegnato ad assicurare, in attuazione della disciplina pattizia, detto insegnamento nel quadro delle finalità della scuola pubblica. E’ stato osservato che il diritto positivo e la realtà effettiva dell’ordinamento giuridico sono stati significatamente segnati sul piano storico da un rapporto privilegiato con la Chiesa cattolica, attenta a difendere, legittimamente, le proprie posizioni ed una propria presenza diffusa all’interno della società italiana e, quindi, anche della scuola pubblica.
Invero, è indubbio che anche in uno Stato laico deve assumere specifica rilevanza l’insegnamento di una religione, che di fatto ha segnato la civiltà e la cultura dello Stato stesso, determinandone le tradizioni, i valori e la coscienza collettiva, salvo sempre il rispetto della libertà di coscienza e delle autonome scelte di ciascun cittadino. Per quanto riguarda l’ordinamento italiano, è utile ricordare che l’art. 9, comma 2, della legge 25 marzo 1985 n. 121, stabilisce che la Repubblica italiana “riconoscendo il valore della cultura religiosa e tenendo conto che i principi del cattolicesimo fanno parte del patrimonio storico del popolo italiano” contribuirà ad assicurare nel quadro delle finalità della scuola, l’insegnamento della religione cattolica nelle scuole pubbliche non universitarie di ogni ordine e grado, aggiungendo pure che “nel rispetto della libertà di coscienza e della responsabilità educativa dei genitori, è garantito a ciascuno il diritto di scegliere se avvalersi o non avvalersi di detto insegnamento”.
2.2. In questa ottica va, dunque, esaminata la specifica normativa sull’insegnamento della religione cattolica, rimarcandosi come detto insegnamento nella scuola pubblica debba essere impartito in conformità alla dottrina della Chiesa cattolica, che è chiamata a valutare in piena autonomia l’idoneità degli insegnanti ai loro compiti di docenti; il che spiega ancora come, una volta valutata positivamente detta idoneità, la loro nomina debba essere disposta dall’autorità scolastica d’intesa con quella ecclesiastica (art. 9 n. 2, dell’accordo di revisione del concordato e punto 5 del protocollo addizionale; e cfr. ora art. 3, comma 8, della l. 18 luglio 2003 n. 186 per l’intesa del dirigente regionale con l’ordinario diocesano competente per territorio al fine dell’assunzione con contratto di lavoro a tempo indeterminato degliinsegnanti di religione cattolica).
Il riconoscimento dell’idoneità presuppone una particolare qualificazione professionale degli insegnanti, i quali devono possedere uno del titoli considerati adeguati per il livello scolastico nel quale l’insegnamento deve essere impartito; titoli che, in attuazione della previsione concordataria (punto 5, lett. a e b n. 4 del protocollo addizionale all’accordo di revisione del concordato) sono stati stabiliti con la prevista intesa tra l’autorità scolastica e la Conferenza episcopale italiana (sottoscritta il 14 dicembre 1985 ed eseguita con il d.p.r. 16 dicembre 1985 n. 751). Con il medesimo strumento dell’intesa (alla quale è stata data esecuzione con il d.p.r. 23 giugno 1990 n. 202)si è stabilito poi che il riconoscimento della idoneità dell’insegnamento della religione ha effetto permanente, salvo revoca dell’ordinario diocesano.
2.3. Nell’ambito della sopradescritta discrezionalità della autorità ecclesiastica, lo Stato ha poi regolamentato – con la normativa applicabile ratione temporis – la condizione giuridica degli insegnanti di religione prevedendo la loro nomina con efficacia annuale con un sistema normativo che ha superato il vaglio di legittimità del giudice delle leggi (sulla legittimità dell’efficacia annuale della nomina degli insegnanti di religione, senza inserimento nell’organico dei docenti e con possibilità di revoca ad libitum dell’incarico stesso, cfr. Corte Cost. 22 ottobre 1999 n. 390).
2.4. In questo generale assetto ordinamentale, l’ancora più specifico contesto normativo della legislazione statale, nel quale siinserisce la presente controversia, viene contraddistinto soprattutto dall’art. 5, 1^ comma, e dall’art. 6 l. 5 giugno 1930 n. 824 (insegnamento religioso negli istituti medi d’istruzione classica, scientifica, magistrale, tecnica, artistica); dalla l. 25 marzo 1985 n. 12 (ratifica ed esecuzione dell’accordo, con protocollo addizionale firmato a Roma il 18 febbraio 1984, che apporta modificazioni al Concordato lateranense dell’11 febbraio 1929 tra la Repubblica Italiana e la Santa Sede); dall’art. 309, 2^ comma, d. lgs. 16 aprile 1994 n. 297 (approvazione del t.u. delle disposizioni legislative vigenti in materia di istruzione, relative alle scuole di ogni ordine e grado).

3. E, sempre per una migliore comprensione delle difficile e complessa problematica da affrontare – destinata a perpetuarsi inlarga misura pur a seguito dell’entrata in vigore della legge 18 luglio 2003 n. 186 (che, pur avendo previsto con gli artt. 1 e 3, l’inserimento in organico a tempo indeterminato degli insegnanti di religione, contempla, con l’ultimo comma del suddetto art. 3, per tutti i posti non coperti la possibilità del ricorso a contratti a tempo determinato stipulati dal dirigenti scolastici, “su indicazione del dirigente regionale, d’intesa con l’ordinario diocesano competente per territorio”; e che ribadisce, giusta il disposto del comma 9 del già citato art. 3, la piena competenza dell’ordinario diocesano in tema di idoneità all’insegnamento e di sua revoca, con tutti gli effetti da tale potere scaturenti sul rapporto lavorativo) – è utile riportare integralmente le disposizioni che, applicabili ratione temporis all’interno del ricco articolato normativo, sono state oggetto di diversa lettura dalle parti in causa.
L’art. 5.5 d.p.r. 16 dicembre 1981 n. 751 statuisce che “l’insegnamento della religione cattolica è impartito da insegnanti in possesso di idoneità riconosciuta dall’ordinario diocesano e da esso non revocata, nominati d’intesa con l’ordinario diocesano, dalle competenti autorità scolastiche ai sensi della normativa statale. Ai fini del raggiungimento dell’intesa per la nomina dei singoli docenti l’ordinario diocesano, ricevuta comunicazione dall’autorità scolastica delle esigenze anche orarie relative all’insegnamento in ciascun circolo o istituto, propone i nominativi delle persone ritenute idonee e in possesso dei titoli di qualificazione professionale di cui al successivo punto 4”. L’art. 309, 2 comma, d. lgs. 297/1994 prevede poi che “per l’insegnamento della religione cattolica il capo dell’istituto conferisce incarichi annuali d’intesa con l’ordinario diocesano”.
L’art. 47, 6^ comma, del c.c.n.l., richiamato dalle parti in causa, afferma, infine, che “gli insegnanti di religione cattolica vengono assunti secondo la disciplina di cui all’art. 309 d.lgs. 297/94, mediante contratto annuale che si intende confermato qualora permangano le condizioni ed i requisiti prescritti dalle vigenti disposizioni di legge”; disposizioni tra le quali non può, quindi, che essere ricompresa l’intesa con l’ordinario diocesano prevista dall’art. 309 cit., per essere espressamente richiamata dalla norma contrattuale.
3.1. Orbene la ricorrente patrocina una interpretazione del dato normativo volta ad attribuire all’ordinario diocesano il potere di riconoscere l’idoneità per l’insegnamento ed a revocare detta idoneità e volta altresì ad assegnare, invece, all’autorità scolastica, nel caso di specie, il potere di rifiutare le indicazionifornite dallo stesso ordinario in relazione alla prospettata esigenza di soddisfare la “continuità didattica”, la cui osservanza avrebbe portato a disconoscere una prassi che si era formata nel tempo di rispettare le scelte delle singole insegnanti (sulla base dell’esistenza di una graduatoria degli insegnanti di religione cattolica da parte della Curia), ed a negare in tal modo ad essa ricorrente il diritto a vedersi attribuita la cattedra con orario completo in Trivento centro.
Una opposta opzione ermeneutica è, invece, patrocinata dal Ministero, che ha sempre sostenuto che l’autorità scolastica non può esercitare alcun sindacato di merito per quanto riguarda sia la indicazione del docente sia per quanto riguarda tutti gli elementi costitutivi della relativa nomina, comprese quindi la sede e le ore di insegnamento.
3.2. Questa corte ritiene che la domanda della Scarano non abbiagiuridico fondamento e, pertanto, vada rigettata.
Va ribadito, ancora una volta, che nessun dubbio può permanere sulla competenza piena ed esclusiva dell’ordinario diocesano a stabilire l’idoneità dei docenti di religione cattolica ed a revocare ad libitum detta idoneità (cfr. Corte Cost. 22 ottobre 1999 n. 390 cit.), e che tale revoca determini ricadute pregiudizievoli anche sulla stessa esistenza del rapporto di lavoro (cfr. Cass. 24 febbraio 2003 n. 2803, che ha ritenuto – in una fattispecie di una insegnante nubile ed in gravidanza e nel regime contrattuale di diritto privato del relativo rapporto ex d. lgs. n. 165 del 2001 – come la sopravvenuta revoca della idoneità all’insegnamento determini l’impossibilità della prestazione e la conseguente risoluzione del rapporto di lavoro ex art. 1463 c.c. con l’ulteriore effetto diimpedire qualsiasi richiamo alla disciplina del licenziamento sulle lavoratrici madri ex l. n. 1204 del 1971).
L’insieme delle disposizioni di natura costituzionale, cui in precedenza si è fatto riferimento, che fissano i criteri su cui parametrare le varie problematiche riguardanti l’insegnamento religioso, e nell’ambito di queste anche quelle relative al rapporto lavorativo degli insegnanti, sollecita una passaggio argomentativo sicuramente utile ai fini decisori.
3.3. Come è stato anche su questo punto evidenziato da più parti, l’insegnamento scolastico della dottrina cattolica, per quanto svolgentesi “nel quadro delle finalità della scuola” (art. 9, comma 2, l. n. 121 del 1985), e quindi non rivolto alla catechesi o al proselitismo, assume una connotazione naturale di confessionalità ed è permeato da una essenziale esigenza di fedeltà ai dati della rilevazione ed all’ortodossia, in mancanza della quale non si darebbe seguito agli impegni dello Stato italiano assunti nei confronti della Santa Sede, nè si darebbe risposta a quella che può essere ritenuta – come lo è stato da parte della Consulta – una istanza della “coscienza civile e religiosa dei cittadini”. E’ altrettanto vero però che la normativa cui sono assoggettati gli insegnanti di religione si presenta con profili di bilateralità atteso che la collocazione del docente e la sua disciplina appartengono a due distinti ordinamenti, rispettivamente condizionati da un lato dal peculiare rapporto sussistente tra docente e confessione religiosa, e dall’altro dalla valorizzazione, a seguito della disciplina di cui al punto 2.5 dell’intesa, della normativa statale che assoggetta lanomina dei docenti alla “vigente normativa statale”, determinando – come è dimostrato dalla fattispecie in esame – la configurabilità di quello che è stato definito “un atto complesso improprio”, cioè di un atto risultante dalla confluenza delle volontà di distinti ordinamenti e delle rispettive esigenze da soddisfare.
3.4. Da qui la particolarità della situazione dei docenti di religione cattolica che, pur facendo parte del corpo insegnante delle istituzioni scolastiche, non si trovano in una condizione di piena parità con il restante corpo degli insegnanti. E detta peculiarità è stata, così, più volte rimarcata, con la declaratoria di legittimità della relativa disciplina, dal giudice delle leggi (Corte Cost. 22 ottobre 1999 n. 390 cit.; Corte Cost. 22 luglio 1999 n. 343).
L’intreccio della normativa sui docenti di religione, incentrato,come visto, su disposizioni di rango costituzionale (art. 7 Cost.), su fonti di diritto di natura pattizia (Patti Lateranensi, prima, ed Accordo concordatario stipulato nel 1984, poi) e su leggi statali (art. 5 l. 30 giugno 1930 n. 824; art. 9, comma 2, l. 25 marzo 1985 n. 121; art. 309 del d. lgs. 16 aprile 1994 n. 297; e, da ultimo legge n. 186 del 2003), induce ad evidenziare – per la già sottolineata esigenza di un ordinato sviluppo espositivo – come il rapporto lavorativo di detti docenti si possa, in linea di massima, articolare in due distinte fasi.
3.5. Una prima fase attinente all’assunzione al lavoro degliinsegnanti si caratterizza (anche nel regime della legge n. 186 del 2003) per il riconoscimento da parte dell’autorità ecclesiastica dell’idoneità all’insegnamento dell’aspirante docente; idoneità, che una volta attestata, ha effetto permanente, salvo la revoca dell’ordinario diocesano che esercita così in piena autonomia e senza condizionamento alcuno ad opera dell’autorità statale i suoi poteri destinati ad incidere sulla stessa esistenza del rapporto lavorativo – senza che risulti necessaria una particolare motivazione del suoi atti(ex plurimis: Cons. stato 10 novembre 1993 n. 809; Cons. stato 6 agosto 1992 n. 598; Cons. Stato 5 marzo 1985 n. 78).
Come ha più volte evidenziato il giudice delle leggi l’art. 7 della Costituzione, nel regolare i loro reciproci rapporti, ha riconosciuto allo Stato ed alla Chiesa cattolica una posizione di reciprocaindipendenza e di sovranità stante il carattere originario del due rispettivi ordinamenti, che comporta anche la legittimità di una regolamentazione dei loro rapporti attraverso norme pattizie finalizzate a garantire rilevanza ad atti provenienti da una delle parti, e quindi anche dalla autorità ecclesiastica, sempre che non vengano poste in essere situazioni giuridiche incompatibili con i principi fondamentali dell’ordinamento costituzionale (cfr. Corte Cost. 29 dicembre 1972 n. 195, sulla conformità della normativa del Concordato, che sottopone al nulla osta della Santa Sede la nomina dei professori dell’Università cattolica, Corte Cost. 1 marzo 1971 n. 30).

4. Gli approdi giurisprudenziali sulla portata applicativa del nulla osta dell’ordinario diocesano (e sulle conseguenze per l’ordinamento statale derivanti dal rifiuto e/o revoca di tale idoneità), che peraltro non mostrano una coincidenza nelle statuizioni definitivestante la diversità delle argomentazioni che le supportano (cfr. Cass. 24 febbraio 2003 n. 2803; Cass. 14 giugno 1994 n. 5832), non possono avere – in ragione della indicata diversità della fattispecie oggetto dell’esame di questa Collegio – un rilievo decisorio al di là delle generali considerazioni riguardanti la specifica normativa sui rapporti tra Stato e Chiesa nella regolamentazione del rapporto lavorativo dei docenti della religione cattolica.
Un specifico e nuovo approccio per la diversità della materia oggetto di esame sollecita, quindi, il combinato disposto dell’art. 5. comma 1, l. n. 824 del 1930 e dell’art. 309, comma 2, del d. lgs. n. 297 del 1994 che stabilisce il conferimento di incarichi con durata annuale dell’insegnamento della religione cattolica nellescuole pubbliche a seguito “d’intesa con l’ordinario diocesano” (art. 309, comma 2, d. lgs. n. 297 del 1994).
In un assetto ordinamentale in cui l’insegnamento della religione cattolica è stata assicurata, come già detto, “nel quadro della finalità della scuola” (art. 9, comma 7, della legge n. 121 del 1985), la ratio della suddetta intesa tra autorità statale e autorità religiosa va ricercata nel sollecitare una accordo volto a conciliare le esigenze delle competenti autorità scolastiche di attivazione dell’insegnamento religioso – previo i necessari apprestamenti dell’apparato organizzativo del piano didattico – con quelle di consentire una conoscenza dei valori religiosi, che storicamente fanno parte della tradizione culturale del paese, in ragione della quale ha sempre trovato piena giustificazione unaaccentuata considerazione dei suddetti valori da parte del nostro legislatore.
4.1. Nell’ambito dell’indicato procedimento volto alla ricerca di una comune intesa, l’autorità ecclesiastica conserva, pur dopo l’avvenuto iniziale riconoscimento dell’idoneità, poteri autonomi di valutazione, in sede di conferimento dell’incarico annuale, sulle specifiche modalità attraverso le quali l’insegnamento della religione cattolica è destinato a spiegarsi, per l’evidente ragione che dette modalità possono nella realtà fattuale risultare oggettivamente incompatibili con le istituzionali finalità dell’insegnamento religioso. In una ripartizione di competenze che voglia rispondere alla logica di fondo riscontrabile nell’intero articolato normativo sull’insegnamento della religione cattolica non può che attribuirsi – pur in un contesto volto ad evitare qualsiasi riflesso negativo sull’organizzazione didattica della scuola pubblicae sul perseguimento delle sue finalità – all’ordinario diocesano autonomia di poteri, non limitati al riconoscimento della loro “idoneità” all’atto della nomina degli insegnanti, ma estesi anche alle specifiche modalità attraverso le quali annualmente (ed ora a seguito di contratti a tempo determinato, stipulati ex art. 3, comma 10, della l. n. 186 del 2003) l’insegnamento deve essere spiegato, in ragione del fatto che sovente nella realtà fattuale qualsiasi professionalità non è sufficiente per pervenire agli auspicati risultati se non accompagnata da specifiche modalità oggettive, che ne consentano e favoriscano l’espletamento delle correlate potenzialità.
In questa ottica devono pertanto reputarsi “dovute” – giusta la dizione adoperata dal Ministero – condotte dell’autorità scolastica, che si concretizzano in piena adesione alle indicazionidell’ordinario diocesano, volte a privilegiare – come è avvenuto nel caso di specie – esigenze di “continuità didattica”,, ovvero ad impedire che specifiche modalità risultino ostative alla funzionalità dell’insegnamento, o, ancora, ad agevolare, ad esempio, una opportuna mobilità del personale in relazione ad una “flessibilità degli organici” in connessione con la particolarità di un insegnamento caratterizzato da un regime di “facoltatività soggettiva”, stante il c.d. “stato di non obbligo” in virtù del quale l’alunno che rifiuta di seguire l’insegnamento della religione cattolica è libero di allontanarsi dall’istituzione scolastica durante l’ora dedicata alla predetta materia (cfr. art. 9, comma 2, l. n. 125 del 1985; e per la legittimità dello “stato di non obbligo”: Corte Cost. 22 giugno 1992 n. 290; Corte Cost. 14 gennaio 1991 n. 13).
4.2. E’ evidente che, a fronte del sistema normativo sinoradescritto, nessun rilievo può assumere l’addebito alla sentenza impugnata di non avere tenuto conto di una prassi consolidata secondo cui la scelta delle cattedre veniva effettuata nel rispetto della graduatoria dei docenti, da sempre osservata dall’ordinario diocesano. Ed invero – a prescindere dalla considerazione che già nell’anno precedente a quello per il quale la ricorrente ha rivendicato il diritto alla cattedra di Trivento, la cattedra stessa era stata assegnata ai due docenti nei cui confronti la ricorrente lamenta la posposizione – non si rinvengono nella fattispecie in esame gli estremi perchè la prassi possa assurgere ex art. 1 delle preleggi a fonte di diritto, come tale vincolante l’autorità scolastica e quella religiosa.

5. Come già detto, il ricorso risulta infondato e, pertanto, va rigettato.
Nel sistema vigente il rapporto lavorativo del docenti della religione cattolica presso le scuole pubbliche deve reputarsi di derivazione contrattuale (e quindi privato) per effetto del d. lgs. 30 marzo 2001 n. 165, e le relative controversie sono allo stato devolute, stante il riparto temporale disegnato dall’art. 69, comma 7, del suddetto decreto n. 165, alla competenza del giudice ordinario, in funzione di giudice del lavoro.
Orbene, è certo in astratto configurabile in ragione della già evidenziata natura bilaterale del rapporto lavorativo – ribadita,come si è visto, anche dalla citata legge n. 186 del 2003, (che pur ha ridisegnato, su base regionale, le competenze della dirigenza scolastica e di quella dell’ordinario diocesano) – un intervento del giudice ordinario volto a sanzionare condotte improntate ad un non corretto esercizio della discrezionalità, che non si spieghino cioè nei limiti innanzi descritti e che vengano a ledere valori e principi di natura costituzionale, o a risolvere conflitti tra autorità religiosa ed autorità scolastica suscettibili di arrecare ingiustificati danni al docente, mentre, di contro, non si rinvengono spazi di tutelabilità di pretese che, pur nella raggiunta intesa tra autorità scolastica ed autorità religiosa, siano per scopi reintegratori o risarcitori finalizzati ad ottenere previo un accertamento giudiziario – la “rivisitazione” di valutazioni devolute alla esclusiva competenza degli autori delle intese. Per concludere, per risultare, alla luce delle considerazioni sinora svolte, lasentenza impugnata supportata da una congrua e corretta motivazione e non rivenendosi in essa alcuna violazione di norme o principi di diritto, la suddetta decisione va confermata.
5.1. Ricorrono giusti motivi per compensare interamente tra la Scarano ed il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, le spese del presente giudizio di Cassazione, mentre nessuna statuizione va presa con riferimento alla parte non costituita.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e compensa tra le parti costituite le spese del presente giudizio di Cassazione.