Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose

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Osservatorio delle Libertà ed Istituzioni Religiose

Documenti • 27 Settembre 2005

Ordinanza 26 maggio 2005

Tribunale Civile di L’Aquila. Ordinanza 26 maggio 2005: “Rigettato il reclamo, ex art. 669 terdecies c.p.c., avverso l’ordinanza di rigetto del ricorso per la rimozione del crocifisso dalle sedi elettorali”.

TRIBUNALE CIVILE DI L’AQUILA

Il Tribunale, riunito in camera di consiglio nelle persone dei signori magistrati:

Dr. Carlo TATOZZI PRESIDENTE rel.,
Dr. Silvia FABRIZIO GIUDICE
Dr. Alfonso GRIMALDI GIUDICE

ha emesso la seguente

ORDINANZA

sul reclamo proposto nel procedimento civile iscritto al n. 263/05 R.A.G.C. (n. 660/05 R.G, Recl. Sub 7/05) vertente

TRA

V. D. elettivamente domiciliato presso il proprio studio di L’Aquila che rappresenta e difende sé stesso perché a ciò abilitato;
ricorrente in reclamo

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro-tempore, domiciliato in L’Aquila presso l’Avvocatura Distrettuale dello Stato che lo rappresenta e difende per legge;
resistente in reclamo

E

PREFETTURA DI L’AQUILA – UFFICIO TERRITORIALE DEL GOVERNO, in persona del legale rappresentate pro-tempore, domiciliato in L’Aquila presso l’Avvocatura Distrettuale dello Stato che lo rappresenta e difende per legge;
altro resisitente in reclamo

OGGETTO: Reclamo ai sensi dell’art. 669 terdecies cod. proc. civ. avverso il provvedimento di rigetto del ricorso ex art. 700 stesso codice del 31.3.2005;

Con ricorso proposto ai sensi degli artt. 700 e 669 bis, ter e segg. cod. proc. civ. V. D., premesso che l’Associazione U.A.A.R. (Unione degli Atei e degli Agnostici Razionalisti) aveva richiesto, verso la fine del 2000, al Ministero dell’Interno di rimuovere dai seggi, in occasione di tutte le future consultazioni elettorali, il simbolo religioso del crocefisso ma che l’Amministrazione, con nota del 27.1.2001 aveva opposto rifiuto alla richiesta argomentando sulla legittimità di tale condotta poiché non si rinveniva nella legislazione vigente alcuna disposizione che, anche solo indirettamente, farebbe divieto di esposizione del crocefisso nei seggi elettorali ovvero obbligo di rimozione dagli stessi di simboli od immagini proprie di un’unica fede religiosa, ed aggiunto che in tutte le successive votazioni o consultazioni referendarie il Ministero dell’Interno aveva deliberatamente omesso di rimuovere tale simbolo religioso, tanto premesso e considerata l’imminenza della elezioni regionali e della consultazione referendaria sulla abrogazione della legge sulla procreazione assistita in occasione delle quali era da dare per certa la protrazione dell’inerzia dell’Amministrazione dell’interno in ordine alla detta rimozione, sollecitata pure da molti altri cittadini, chiedeva il 21.2.2005 all’autorità giudiziaria ordinaria, ritenuta competente, la tutela urgente e provvisoria dei propri diritti, in funzione della loro successiva tutela in sede ordinaria, e, segnatamente, di “…ordinare al Prefetto dell’Aquila e al Ministero dell’interno pro-tempore…di rimuovere da tutti i seggi elettorali italiani o, in subordine, da tutti i seggi elettorali dell’Abruzzo o, in ulteriore ed estremo subordine, dal seggio elettorale di Ofena, dove gli scriventi sono chiamati a votare, il simbolo religioso del crocefisso per tutta la durata delle operazioni elettorali…”.
Costituitisi ritualmente, dopo l’avvenuta disposizione della comparizione della parti, il Ministero dell’Interno e la Prefettura di L’Aquila, entrambi si opponevano alla richiesta avanzata eccependo, in via gradata, la carenza di giurisdizione dell’organo adito, il difetto di legittimazione ad agire del ricorrente, in relazione all’istanza di rimozione del crocefisso da tetti i seggi che non avrebbero potuto riguardare l’espressione del voto da parte di esso V., di legittimazione a resistere da parte della Prefettura, per essere unico titolare dell’organizzazione delle consultazioni, con riferimento all’azione intrapresa dal ricorrente, il Ministero dell’Interno, ed, infine, l’insussistenza dei presupposti per l’accoglimento dell’invocato provvedimento cautelare.
In esito all’instaurato contraddittorio ed allo svolgimento delle difese delle parti, il giudice designato, con provvedimento assunto il 31.3.2005, rigettava il ricorso disponendo la compensazione tra le parti delle spese della fase del procedimento: considerando il thema decidendum ricompresso nel novero della materia della “..lesione di un diritto assoluto costituzionalmente tutelato..” e, quindi, riservato alla giurisdizione ordinaria ma, al contempo, ridimensionando entro i ben precisi limiti concernenti il “..seggio elettorale di destinazione del ricorrente…” l’ambito entro il quale era, in astratto, ipotizzabile la dedotta situazione di possibile pregiudizio del V. (con il che restava superata pure la questione sollevata dalla Prefettura sulla propria legittimazione a resistere), il giudice riteneva insussistenti nel merito tutti i presupposti del, fumus boni iuris e del periculum in mora, prescritti dal legislatore per l’accoglimento dell’invocata urgente tutela.
Con atto depositato il 28 aprile 2005 il V. proponeva reclamo contro il rigetto del provvedimento cautelare richiesto svolgendo le seguenti censure sostanziali (sostanziali perch non articolate in maniera specifica ma soltanto deducibili dalle argomentazioni espresse a sostegno dell’atto di reclamo) all’ordinanza impugnata davanti al collegio: a) erroneità dell’apprezzamento operato dai giudice adito per non avere tenuto conto che l’ostentazione del simbolo monoconfessionale costituisce un indebito motivo di “..preferenza e discriminazione inerente la libertà di religione..” ed una “..forma simbolica di comunicazione iconografica non certo trascurabile in relazione all’imminente referendum..”, ostensione nei seggi non legittimata, peraltro, da alcuna norma di legge e/o regolamentare che autorizzi l’Amministrazione degli Interni a far ciò ed, anzi, concretante la palese lesione di diritti soggettivi assoluti addirittura di rango costituzionale quali quello alla libertà religiosa, alla libertà di pensiero, alla riservatezza, all’eguaglianza dei cittadini senza distinzione, tra l’altro, di religione, alla libertà di coscienza, in relazione all’adesione al principio supremo della laicità dello Stato, e dell’imparzialità della pubblica amministrazione; b) erroneità della decisione fondata sull’assunto che la “presenza fisica” del crocefisso non si concretizzerebbe in un concreto ostacolo all’esercizio del diritto di voto `attesa la sua “valenza passiva” e la funzione di mero “arredo” nei seggi ove risulti presente: sul punto sarebbero state ignorate e disattese, senza spiegarne le ragioni, le statuizioni contenute in una nota pronuncia della S.C, (Cass. pen. Sez. IV, 1.3.2000 n, 4273, Montagnana) che aveva, contrariamente al convincimento espresso dal giudice di questo Tribunale, considerato la rimozione del simbolo religioso del crocefisso da ogni seggio elettorale condizione imprescindibile per la garanzia di “laicità” e di “pluralismo” ed, inoltre, di “neutralità …dei luoghi deputati alla formazione del processo decisionale nelle competizioni elettorali…”. Concludeva, perciò, il reclamante a questo collegio perché esso “previa rimozione permamente, in rito, di tutti i crocifissi esposti nelle aule del Tribunale di L’Aquila o, in alternativa, dell’esposizione permanente dei simboli non simboli delle altre religioni nelle aule del Tribunale di L’Aquila, accolga il presente reclamo e, per l’effetto, ordini al Prefetto di L’Aquila e al Ministro dell’Interno pro-tempore, di rimuovere da tutti i seggi elettorali italiani o, in subordine, da tutti i seggi elettorali dell’Abruzzo o, in
ulteriore ed estremo subordine (almeno), dalla sezione elettorale di S.Eusanio Forconese dove parte ricorrente chiamata a votare, il simbolo religioso del Crocifisso per tutta la durata delle operazioni elettorali; oppure, in via alternativa, voglia ordinare ai convenuti di esporre a spese dello Stato, nei seggi elettorali e per tutta la durata delle elezioni, tutti i simboli religiosi (pretesa inammissibile) o, in ulteriore subordine, consentire al ricorrente di esporre nei seggi elettorali, a proprie spese, tutti i simboli religiosi ed ideologici e, comunque, il versetto della Sura 112 del Corano”.
A conclusione della comparizione delle parti davanti a questo Tribunale, dopo la nuova costituzione in causa da parte del Ministero dell’Interno e della Prefettura dell’Aquila che concludevano per la parziale inammissibilità della domande avanzate dal ricorrente e tornavano a ribadire l’infondatezza, nel merito, delle loro pretese, il collegio si riservava di decidere.
Orbene, a scioglimento della riserva, ad avviso del Tribunale s’impone, preliminarmente, la dichiarazione di non ammissibilità di tutte le domande “nuove” introdotte soltanto in questa sede di “reclamo” e sottratte al necessario esame del giudice adito nella fase introduttiva del procedimento: invero, come pure correttamente osservato dai resistenti, il V. ha indebitamente innovato l’originario petitum estendendo la domanda a temi assolutamente diversi da quelli originari, quali la `’rimozione” di tutti i crocifissi esposti nelle aule del Tribunale di L’Aquila o, in alternativa, 1′ “esposizione permanente dei simboli-non simboli delle altre religioni” nelle aule del Tribunale di L’Aquila ovvero, in ulteriore subordine, 1′ “ordine” ai convenuti od, almeno, il “consentire” al ricorrente l’esposizione nei seggi, per tutta la durata delle operazioni elettorali, di “…tutti i simboli religiosi ed ideologici e, comunque, il versetto della Sura 112 del Corano..”.
Posta l’indiscutibile natura di revisio prioris istantiae del reclamo cautelare (e su tale aspetto concorda la giurisprudenza nella sua interezza; cfr. Tribunale di Milano 25.3.1996, Corr. G. 97, 216; Tribunale di Firenze 11.3.1997, F. it. 97, 1, 3429), è giocoforza ritenere inibita e preclusa al reclamante ogni prospettazione di fatti nuovi o diversi da quelli già dedotti nel giudizio e, conseguentemente, di conclusioni nuove e distinte, anche solo in parte, da quella già offerte al vaglio del giudice adito nel primitivo approccio procedimentale: è appena il caso di aggiungere che, ove ciò divenisse per il ricorrente indispensabile, non si potrebbe che tornare alla “riproposizione” dell’istanza ex art. 669 septies cod. proc. civ. per permettere al giudice richiesto in prime cure di esaminare i fatti nuovi o diversi che, ove enunciati unicamente nella fase davanti al collegio e consentiti, finirebbero, appunto, per essergli stati indebitamente sottratti con frustrazione, in tal maniera, dell’anzidetto carattere del reclamo.
Ne discende che tutte le domande introdotte per la prima volta in questa fase della procedura dal reclamante non potranno trovare oggi la loro valutazione perché da ritenere estranee ab inizio dal thema decidendum
Passando, invece, all’analisi delle autentiche ragioni di doglianza, illustrate sia pure con una massiccia reiterazione degli argomenti già trattati (il che non può condurre, però, a considerare vulnerata l’ammissibilità stessa del reclamo per “genericità” dei motivi) che, però, sono stati adeguatamente tenuti in conto e “criticati” dal giudice adito ed alle cui considerazioni, nella loro globalità, ci si riporta, è convinzione del collegio che tali ragioni non siano meritevoli di essere recepite.
Va, anzitutto, condivisa l’impostazione conferita dal giudice adito alla Materia propostagli disattendendo quella, suggestiva ma erronea, fatta valere con tenacia dal ricorrente: non si tratta nel caso in esame di valutare se la rimozione del crocifisso dall’interno del seggio elettorale assegnato al ricorrente (poiché per tutti quelli della nazione o degli altri della Regione Abruzzo ai quali fanno indifferenziato riferimento gli istanti v’é l’ostacolo, insuperato ed insuperabile, del principio, già ricordato, dell’art. 81 c.p.c.) sia un’inadempienza del Ministero dell’interno all’adeguamento al principio della “laicità” dello Stato, ma piuttosto – come puntualmente osservato dai resistenti – se l’eventuale presenza del crocefisso nella sede o nelle sedi di seggio di pertinenza del V. possa costituire una condizione ostativa o limitativa al pieno ed esaustivo esercizio del diritto di voto del reclamante od all’espressione della sua libertà religiosa poiché il possibile pregiudizio al diritto od alla libertà ricordati rappresenta il fondamento ma pure il limite della chiesta tutela ai sensi dell’art. 700 c.p.c..
Ciò riaffermato, non può che venire ribadito quanto già osservato nell’ordinanza – impugnata a proposito del difetto, in primis, del fumus bori iuris, carenza che, anche in questo caso, è oggetto di ineccepibile sottolineatura da parte della difesa dei resistenti: non é dato individuare, infatti, nella denunciata eventuale presenza – e del suo eventuale permanere – del crocefisso nei locali adibiti a seggio in S. Eusanio Forconese, presso cui il reclamante debba e possa esercitare i proprio diritto elettorale anche nel prossimo futuro, alcuna concreta lesione o pregiudizio od, anche solo, turbamento che valga a condizionarne la convinzione “politica” e la conseguente sua pratica espressione mediante il voto. In altre parole non ipotizzabile che un “non simbolo”, qual è il crocefisso per i non, credenti o per i non cristiani, possa interferire negativamente in modo incisivo sulla formazione dell’orientamento “politico” e sulla conseguente espressione del voto elettorale o referendario; tanto ciò è vero che, come ancora puntualmente osservano i resistenti, nel ricorso introduttivo, accanto a diffusissime discettazioni teoriche e di principio, non viene prospettata alcuna situazione o circostanza di fatto che abbia, nella sua effettività, seriamente impedito al V. l’esercizio del proprio diritto o condizionato la sua libera formazione ed espressione. Al di là di notazioni astratte, quali, ad es., “l’incombenza del crocifisso cattolico che troneggia nel seggio elettorale…” che imporrebbe, quanto meno, una scelta, asseritamente lesiva delle proprie libertà, di “espulsione” temporanea del “non simbolo” dal seggio per il tempo occorrente ad esprimere il proprio voto o scelta, il reclamante nel ricorso introduttivo non è andato. Se, poi, il ricorrente volesse fondare il fumus sulla dedotta rinuncia all’espressione del voto nelle ultime consultazioni elettorali determinata, si assume, dalla constatata presenza del “simbolo monoconfessionale cattolico” che costituirebbe “…una condizione di discriminazione e di violazione dei principi costituzionali inerenti la libertà di voto..”, anche tale deduzione sarebbe inadeguata a
configurare quella condizione oggettiva e concreta di violazione di un “diritto da far valere in via ordinaria” indispensabile in funzione dell’ottenimento della tutela urgente richiesta. E ciò per più dì una ragione. Anzitutto perché la presunta “rinuncia” all’espressione del voto, così come viene delineata, non sarebbe stata concretamente dimostrata, neppure in quel modo sommario ed approssimativo comunque necessario ed imprescindibile pure nella procedura cautelare intrapresa, e, men che meno, nelle sue eventuali autentiche motivazioni. In secondo luogo perché il reclamante, tutto ammettendo, neppure si è peritato di allegare fatti o circostanze che avrebbero impedito, perché inevitabili od insuperabili per fatto del reclamante stesso, la concreta rimozione, quanto meno temporanea, del crocefisso dal seggio per consentirgli il “libero” esercizio del diritto, rimozione che, come ancora correttamente sottolineato dal primo giudice, costituisce condotta non infrequente (cfr. a fol. 3 del ricorso del 26.2.2005) attraverso la quale altri cittadini, in condizioni analoghe a quelle descritte dal V., hanno potuto esercitare il voto in totale tranquillità.
Vale la pena di sottolineare, poi, come il principio di “laicità”, cui sembra vogliano ispirarsi le osservazioni deli ricorrente, si é andato, via via negli anni, affermando con gradualità, ma concretamente, anche nello Stato italiano, attraverso revisioni di vecchie discipline proprie di una anacronistica confessionalità, e che esso è garantito, per quanto attiene all’organizzazione dei seggi elettorali, dal fatto che nell’attuale Ordinamento mancano disposizioni di legge (residuali norme prevedenti l’esposizione del crocefisso hanno tutte il carattere di disposizioni regolamentari e, in ogni caso, non riguardano i seggi) che prevedano in essi l’ostentazione obbligatoria del crocefisso, come ricordato dal giudice di prime cure.
Quanto, poi, al fatto che, residualmente, in taluni dei locali scolastici da adibire a seggi possa capitare che siano presenti crocefissi – residuo di una ben precisa ed ancora condivisa. (almeno da gran parte della collettività) scelta “culturale e storica” della nostra gente com’è ritenuto dalla maggioranza stessa degli orientamenti
giurisprudenziali (e qui valga in toto il richiamo a tali precedenti contenuto nell’ordinanza impugnata) – la circostanza non può certo essere considerata come l’espressione di una vincolante o, comunque, impegnativa e condizionante scelta turbatrice della libertà religiosa o di pensiero, del principio cardine dell’uguaglianza tra i, cittadini o del diritto alla riservatezza: anche a voler trascurare il fatto che la scelta, in taluni casi, di locali scolastici (in cui capita ancora di trovare presente il simbolo principe della “cristianità” ) nei quali allocare i seggi elettorali è dettata esclusivamente da esigenze che scaturiscono dall’indisponibilità di altri spazi idonei, è assorbente il rilievo, già rappresentato dal giudice singolo, che la presenza, sporadica e solo casuale nei seggi elettorali, di un simbolo “passivo” come il crocefisso non impone alcuna condivisione religiosa, non vincola ad atti o comportamenti, anche solo di carattere gestuale, che siano anche solo indirettamente espressione di una sintonia o di una convinzione di implicita aderenza ad una fede o culto diversi da quelli propri, in una parola resta una presenza assolutamente anodina e totalmente trascurabile per chi non vi si riconosca impossibilitata, in quanto tale, a sollecitare o condizionare scelte e comportamenti personali (nella gran parte dei casi gli elettori che accedono ai seggi non percepiscono, in genere, neppure l’esistenza dell’ “arredo-crocifisso” se presente, a meno che su di esso non si accentrino volontariamente soverchie attenzioni).
Tornando ai requisiti previsti dall’art. 700 c.p.c. v’è, ancora, da aggiungere che nel caso che ne occupa difetterebbe pure l’altro requisito dell’ “imminenza del pregiudizio” cui si riferisce il reclamante, posto che non apparirebbe neppure provato – non essendo stata fornita dimostrazione di alcun genere, neppure iniziale ed approssimativa, che nei locali cui dovrebbe accedere il V. per l’eventuale espressione di voto sia stato presente e sarà. ancora presente il simbolo contestato (circostanze queste che, contrariamente a quanto chiosato nelle sue deduzioni difensive del 26.5.2005, il reclamante avrebbe ben potuto dare con mezzi o strumenti elementari e significanti — che la produzione dell’eventuale danno sia già iniziata o si siano comunque verificati situazioni od accadimenti prodromici sintomo di una probabile verificazione dell’evento dannoso in tempi brevi.
Merita, dunque, conferma, nei limiti prima precisati, l’apprezzamento operato del ricorso dal giudice monocratico che, con osservazioni esaustive e tutte pertinenti (noti risponde al vero neppure quanto lamentano i reclamanti – cfr. a foll. 15, 16 e segg. del reclamo in atti – circa l’assenza, nell’ordinanza gravata, di un vaglio critico alla pronuncia della S.C. del 1.3.2000 n. 4273 ovvero ali’ orientamento di altro giudice di questo Tribunale in diversa causa, in quanto ad esse sono stati dedicati passi specifici — vedi ai foll. 6 e 7 dell’ordinanza impugnata – per spìegare la ragioni della loro non rilevanza nell’ambito del presente procedimento), ha rigettato l’istanza del V..
Quanto alle spese di questa fase di reclamo, le già richiamate ragioni di inammissibilità di porzione dell’impugnazione a questo collegio e la sostanziale reiterazione di argomenti frusti, perché già affrontati ed esauriti nella primitiva fase, potrebbero legittimare l’accollo delle spese stesse sul soccombente: pare, però, al collegio prevalente la natura, indubbiamente complessa, della controversia che, a dispetto dei motivi che hanno condotto all’assunzione dei giudizio di parziale non ammissibilità e rigetto, nel resto, del “reclamo”, milita nel senso di rendere ancora ricorrenti i “giusti motivi” per la loro compensazione tra le parti.

P.Q.M.

li Tribunale di L’Aquila, definitivamente pronunciando sul “reclamo” proposto da V. D., con ricorso depositato il 28 aprile 2005, avverso l’ordinanza adottata il 31.3.2005 dal giudice di questo Tribunale sul ricorso, ai sensi degli artt. 669 bis, ter e 700 c.p.c., proposto dallo stesso V. nei confronti del Ministero dell’Interno e della Prefettura di L’Aquila il 21.2.2005, sentite le parti comparse c costituite e disattesa ogni diversa e contraria istanza, così provvede:

1) Dichiara l’inammissibilità del proposto “reclamo” limitatamente alle ragioni e conclusioni afferenti alla “rimozione” di tutti i crocifissi esposti nelle aule del Tribunale di L’Aquila o, in alternativa, ali’ “esposizione permanente dei simboli-non simboli delle altre religioni” nelle aule del Tribunale di L’Aquila ovvero ali’ “ordine” ai convenuti di “esporre”, a spese dello Stato, nei seggi elettorali od a “consentire” al ricorrente l’esposizione negli stessi seggi, per tutta la durata delle operazioni elettorali, di “…tutti i simboli religiosi ed ideologici e, comunque, il versetto della Sura 112 del Corano..”; Rigetta, per il resto, il “reclamo” stesso;

2) Dichiara interamente compensate tra le parti pure le spese di questa fase.

Così deciso in L’Aquila il 26 maggio 2005

Depositato il 9 giugno 2005